martedì 9 marzo 2010

C'é poco tempo per fermarli. Urge una scossa

Con tutta la buona volontà, è difficile smorzare i toni. Il decreto salva-liste viola la legge ordinaria e fa strame dei principi costituzionali. La motivazione addotta dal presidente della Repubblica, proprio perché politica (incentrata sull’esigenza di permettere la partecipazione del «maggior partito politico di governo»), tradisce una forzatura delle sue prerogative. Il messaggio trasmesso all’opinione pubblica (chi ha il potere può tutto) è devastante. Si può non dire che siamo alla morte dello Stato di diritto e dell’uguaglianza tra i cittadini, alla nascita dello Stato discrezionale e autoritario?
Ma quando è cominciata la notte della Repubblica? Certo gli ultimi vent’anni pesano come un macigno, non solo per colpa di Berlusconi. Dall’inizio degli anni Novanta si è venuto costruendo un sistema che favorisce la prepotenza del più forte. In politica, col maggioritario e il federalismo, contro il pluralismo e la solidarietà. Nella società, con la guerra neoliberista contro il lavoro. Sul piano internazionale, con l’imperialismo delle «guerre umanitarie e democratiche». Berlusconi ha enormi responsabilità, ma in un contesto diverso non avrebbe potuto fare i danni che ha fatto.La storia però non comincia vent’anni fa. È più lunga e si vendica con chi la rimuove. L’Italia è unita da appena 150 anni, è una (fragile) democrazia da meno di 70 ed è stata il laboratorio del fascismo europeo. Tutto ciò non va dimenticato poiché riflette caratteri profondi della nostra storia nazionale, in primo luogo il particolarismo delle élites e la scarsa educazione democratica dei ceti medi. Un aspetto essenziale di questa cupa vicenda rischia di venire sottovalutato. Ferme restando le responsabilità del presidente Napolitano, in quali circostanze è maturata la sua decisione? Alcuni resoconti descrivono l’aggressione «brutale» compiuta dal presidente del Consiglio ed evocano sue non velate minacce. Il presidente Zagrebelsky ha parlato esplicitamente di «violenza minacciata», ricordando che «la violenza è la fine della democrazia».
Se è così, siamo in una situazione nuova. Non si tratta più di attardarsi in congetture: in questione qui e ora è la tenuta materiale del quadro democratico. È molto probabile che si illuda chi dà per certo il tramonto di Berlusconi. La situazione somiglia piuttosto a quella creatasi nel 1924 all’indomani del delitto Matteotti. Allora il regime nascente (anch’esso capeggiato da transfughi socialisti) vacillò e rischiò di crollare. Mussolini giocò il tutto per tutto, optò per il colpo di forza e vinse. Da quel momento il fascismo ebbe la strada spianata.
Se il paragone è calzante, il frangente odierno è decisivo. Per poco tempo ancora sarà possibile rovesciare lo stato di cose. L’opinione pubblica è sconvolta dagli avvenimenti, percepisce finalmente il grave pericolo che il Paese corre. I cittadini, già costretti a fare i conti con i rigori della crisi, chiedono una guida per uscire dall’incubo. A tutte le forze democratiche del Paese – partiti e movimenti, sindacati e associazioni – spetta di dare risposta a questa domanda.
Verrà poi il momento di discutere su quanto ha diviso queste forze nel corso dell’ultimo ventennio. Verrà il momento dei bilanci, delle riflessioni, dei progetti. Ora non c’è tempo che per la mobilitazione più vasta e unitaria possibile, che chiami a raccolta tutte le energie democratiche in difesa della Repubblica e della Costituzione antifascista.



di Alberto Burgio
su Il Manifesto del 09/03/2010

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