martedì 16 marzo 2010

Dubbi di Napolitano su arbitrato e art. 18

Ferrero: «Il Presidente non firmi. Referendum»

Il Quirinale sta studiando in questi giorni se promulgare o meno la legge che introduce l'arbitrato obbligatorio nei processi del lavoro, quella che minaccia l'articolo 18: si è saputo ieri, dopo una polemica tra il Colle e il quotidiano la Repubblica. Il presidente Giorgio Napolitano potrebbe non firmare, e rinviare il testo (il ddl 1167) alle Camere. Il giornale aveva dato quasi per certo, ieri, con un articolo del vicedirettore Massimo Giannini, il no del Quirinale. Ma a stretto giro di posta, è arrivata una nota della Presidenza della Repubblica, che ha definito «priva di fondamento»la ricostruzione di Repubblica: «Il Capo dello Stato - dice la nota - esamina il merito di questo come di ogni altro provvedimento legislativo con scrupolosa attenzione e nei tempi dovuti; e respinge ogni condizionamento che si tenda a esercitare nei suoi confronti anche attraverso scoop giornalistici». Giannini ha controreplicato, affermando di aver avuto la notizia da fonti interne del Quirinale. Se insomma si deve attendere per sapere cosa farà il Quirinale, il sindacato e i politici restano divisi. Il ministro Maurizio Sacconi difende la legge, e lo stesso fa la Cisl: tra l'altro, proprio in forza dell'avviso comune siglato giovedì scorso con la Confindustria, che escluderebbe l'ambito di applicazione della legge dalle cause di licenziamento, e dunque - affermano - disinnescando il link con l'articolo 18.

Abbiamo parlato della questione con Paolo Ferrero, portavoce della Federazione della sinistra, che per 6 giorni è stato in sciopero della fame contro l'attacco all'articolo 18, e unico tra i leader politici, ha incontrato Giorgio Napolitano per chiedere di non firmare la legge. L'incontro è avvenuto lunedì della settimana scorsa, al Quirinale.
Come vi ha accolto il Presidente?
È stato molto attento alle argomentazioni che noi abbiamo portato sull'incostituzionalità della legge. Vietare a dei cittadini di poter andare di fronte alla legge, al giudice, per questioni di lavoro, come per qualsiasi altro problema, è fuori dal mondo: assolutamente contro la Costituzione.
Avete parlato del merito della legge? Insomma dei diritti del lavoro?
Io ho fatto un intervento molto «politico», perché si minaccia un diritto fondamentale del lavoro. Ma è ovvio che davanti al capo dello Stato metti in rilievo gli elementi di incostituzionalità: l'assurdo che una legge individui un luogo dove le leggi stesse dello Stato, il diritto a essere garantiti dal giudice, non sono applicabili.
E cosa vi ha risposto Napolitano?
Noi siamo andati quando il ddl era appena arrivato al Quirinale, dopo l'approvazione definitiva. Dunque il presidente ci ha comunicato che i giuristi avrebbero a breve esaminato il testo, e che quindi poi si sarebbe espresso. Noi abbiamo portato a sostegno l'appello firmato da studiosi e giuslavoristi, l'analisi di Piergiovanni Alleva. E gli abbiamo chiesto di non firmare.
E se invece il Presidente firma?
Analizziamo entrambe le ipotesi, perché dovremo mobilitarci in ogni caso. Se il Presidente non firma, allora il testo sarà rinviato alle Camere: in quel caso, dovremo fare campagna perché il Parlamento non approvi una nuova legge di quel genere. Se il Presidente firma, come ho già proposto non appena il ddl è stato approvato, e come ho ripetuto sabato in Piazza del Popolo, dovremo andare al referendum.
Non temete di non raggiungere il quorum, come fu già nel 2003, e sempre sul tema articolo 18?
D'accordo, ma non possiamo neanche berci tutto quello che fa passare questo governo. E comunque noi pensiamo a diversi quesiti: sull'acqua, il nucleare, e sul lavoro. Ne stiamo studiando anche uno specifico per l'abrogazione di gran parte della legge 30.
Ne parlate con gli altri partiti? L'Idv non esclude il referendum, anche se dice che preferirebbe evitarlo.
Io, ripeto, ho proposto il referendum in Piazza del Popolo, ma ancora non ho avuto risposta dagli altri.
Come mai il ddl è passato nella totale indifferenza delle persone, e non si è organizzato nulla come fu nel 2002? Colpa del sindacato? O anche vostra, dell'opposizione?
Io credo che sia stato perché non c'è più la sinistra in Parlamento: e l'attuale opposizione parlamentare si occupa di temi «liberali», senza riferimento sostanziale al lavoro e ai lavoratori. E così ora alla sinistra non resta che lo sciopero della fame per farsi notare.
Come mai sposate una forma di protesta quasi autolesionista? Fuori dalla vostra tradizione, mi sembra.
Non ci sono forme che definirei «di destra» o «di sinistra»: l'India è stata liberata con questo tipo di protesta. Noi siamo costretti a queste azioni perché non stando più in Parlamento non godiamo di «corsie preferenziali», di «posizioni di rendita» per accedere ai grandi mezzi di informazione.


di Antonio Sciotto su Il Manifesto del 16/03/2010

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