Una lettera di Rossana Rossanda
Abbiamo chiesto a Rossana Rossanda di scriverci un articolo su cosa significa essere comunisti oggi, dopo aver perso il riferimento di paesi che si richiamavano al comunismo, anche se nella pratica comunismo non era, ora che il capitalismo ha vinto ormai ovunque. Pubblichiamo la sua risposta.
La domanda “quale significato ha chiamarsi comunisti dopo il muro di Berlino” per me non ha senso. Se qualcuno era comunista perché pensava ai socialismi reali come a società perfette e incapaci di ingiustizia e crudeltà, questo qualcuno aveva preso da un pezzo fieri colpi: nel 1948 (forche di Praga), nel 1953 (anche se passato quasi in silenzio in Italia), infine nel 1956 che in silenzio non è passato affatto ed è stata una lunga ed evidente tragedia. Testimoniata non soltanto da fonti altrui, che potevano essere esagerate, ma da fonti interne all’Urss e altrove. Quel che è seguito, l’invasione di Praga, la Polonia, l’Afghanistan e il tentativo di Gorbaciov non rivelavano niente che non fosse noto.
Ad ogni modo io non sono mai appartenuta ai fedelissimi all’Urss ed infatti sono stata messa fuori dal partito, anche se con un riguardo che di solito i partiti comunisti non prendevano. E fin dal 1956, come non ho cessato di scrivere, l’essere comunista veniva dalla constatazione che il capitalismo è un sistema inumano in senso proprio, non per degenerazione ma per natura, in quanto fa dell’uomo strumento e addirittura merce. Questo non ha cessato di essere, anzi le ineguaglianze sono cresciute, come le oppressioni e crudeltà. Sono esse ad avermi motivata sempre, anche prima – al paradiso russo non avevo né motivo né voglia di credere, come ai paradisi in genere.
Mi sono accorta in ritardo che, pur scrivendo fin troppo sul Manifesto - Pintor mi definiva scherzosamente jena dattilografa, come Kanapa aveva definito Sartre - non ho scritto nulla sulla caduta del Muro. Non certo per nasconderlo, riempiva anche il mio giornale. Non solo essa non mi apparve una rivolta di popolo ma come la presa d’atto festosa di un accordo già intervenuto tra potenze, e quindi felice ritrovamento fra persone divise, e con molte illusioni sull’ovest, ma come una liberazione di tutta la sinistra europea dal silenzio, la possibilità di un ricollocamento del socialismo sulle sue basi originarie. Io speravo questo e mi sono sbagliata, ma questo spiega perché non ho scritto su due piedi, immagino.
Ho dovuto prendere atto invece che proprio quel che di meno marxista e socialista c’era nei “socialismi reali” in primis quello dell’Urss, uno stato repressivo che non si estingueva mai, era quel che era stato considerato una forza, rispettato anche da chi non simpatizzava come una realtà concreta - missili e battaglioni “per il comunismo”, figuriamoci. Mentre il progetto d’una società socialista non ricominciava affatto su basi rese più pulite dall’esperienza. Né sembra interessare più nessuno. L’ex-Urss è un disastro e la Cina, marxisticamente parlando, un mostro. Ma solo i mostri, a quanto pare, vengono presi sul serio. Sono loro che contano nel concreto rapporto di forze, fra le quali la liberazione della specie umana non ha posto.
Non c’è molto di entusiasmante da dedurne. Ma io sono comunista per questo, e potete considerarmi fra coloro che hanno preso la caduta del Muro come un secondo inizio e non una fine.
Rossana Rossanda, Parigi, 28 settembre 2009
Abbiamo chiesto a Rossana Rossanda di scriverci un articolo su cosa significa essere comunisti oggi, dopo aver perso il riferimento di paesi che si richiamavano al comunismo, anche se nella pratica comunismo non era, ora che il capitalismo ha vinto ormai ovunque. Pubblichiamo la sua risposta.
La domanda “quale significato ha chiamarsi comunisti dopo il muro di Berlino” per me non ha senso. Se qualcuno era comunista perché pensava ai socialismi reali come a società perfette e incapaci di ingiustizia e crudeltà, questo qualcuno aveva preso da un pezzo fieri colpi: nel 1948 (forche di Praga), nel 1953 (anche se passato quasi in silenzio in Italia), infine nel 1956 che in silenzio non è passato affatto ed è stata una lunga ed evidente tragedia. Testimoniata non soltanto da fonti altrui, che potevano essere esagerate, ma da fonti interne all’Urss e altrove. Quel che è seguito, l’invasione di Praga, la Polonia, l’Afghanistan e il tentativo di Gorbaciov non rivelavano niente che non fosse noto.
Ad ogni modo io non sono mai appartenuta ai fedelissimi all’Urss ed infatti sono stata messa fuori dal partito, anche se con un riguardo che di solito i partiti comunisti non prendevano. E fin dal 1956, come non ho cessato di scrivere, l’essere comunista veniva dalla constatazione che il capitalismo è un sistema inumano in senso proprio, non per degenerazione ma per natura, in quanto fa dell’uomo strumento e addirittura merce. Questo non ha cessato di essere, anzi le ineguaglianze sono cresciute, come le oppressioni e crudeltà. Sono esse ad avermi motivata sempre, anche prima – al paradiso russo non avevo né motivo né voglia di credere, come ai paradisi in genere.
Mi sono accorta in ritardo che, pur scrivendo fin troppo sul Manifesto - Pintor mi definiva scherzosamente jena dattilografa, come Kanapa aveva definito Sartre - non ho scritto nulla sulla caduta del Muro. Non certo per nasconderlo, riempiva anche il mio giornale. Non solo essa non mi apparve una rivolta di popolo ma come la presa d’atto festosa di un accordo già intervenuto tra potenze, e quindi felice ritrovamento fra persone divise, e con molte illusioni sull’ovest, ma come una liberazione di tutta la sinistra europea dal silenzio, la possibilità di un ricollocamento del socialismo sulle sue basi originarie. Io speravo questo e mi sono sbagliata, ma questo spiega perché non ho scritto su due piedi, immagino.
Ho dovuto prendere atto invece che proprio quel che di meno marxista e socialista c’era nei “socialismi reali” in primis quello dell’Urss, uno stato repressivo che non si estingueva mai, era quel che era stato considerato una forza, rispettato anche da chi non simpatizzava come una realtà concreta - missili e battaglioni “per il comunismo”, figuriamoci. Mentre il progetto d’una società socialista non ricominciava affatto su basi rese più pulite dall’esperienza. Né sembra interessare più nessuno. L’ex-Urss è un disastro e la Cina, marxisticamente parlando, un mostro. Ma solo i mostri, a quanto pare, vengono presi sul serio. Sono loro che contano nel concreto rapporto di forze, fra le quali la liberazione della specie umana non ha posto.
Non c’è molto di entusiasmante da dedurne. Ma io sono comunista per questo, e potete considerarmi fra coloro che hanno preso la caduta del Muro come un secondo inizio e non una fine.
Rossana Rossanda, Parigi, 28 settembre 2009
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