La
vittoria di Barack Obama alle presidenziali americane fa da sfondo alla
simulazione di una ritrovata armonia della situazione politica
italiana. Per riflettere sullo stato di incertezza che vive il nostro
quadro politico legato ad una altrettanto incerta prospettiva sociale,
non serve mettere a confronto Usa e Italia: basterebbe mettere a
confronto democratici americani e democratici dell’italica penisola.
Resto convinto che solamente dopo la fine delle primarie del centrosinistra (quindi dopo il 25 novembre) si potrà delineare uno scenario più composto, meno disarticolato e organizzato almeno in settori di prevalenza: in questo momento siamo al tutti contro tutti e al fuggi fuggi generale a seconda delle sensazioni che si provano nel vedere questa o quella nave che affonda.
La fase è, dunque, profondamente complessa proprio perché non esistono parole certe, linee politiche altrettanto certe e strategie individuabili.
In questo contesto, tuttavia, è bene ricordarsi che alcune scelte sono state fatte e che quella di appoggiare il governo Monti rimane senza ombra di dubbio una volontà che è divenuta pratica politica e che si è consolidata nel tempo, smussando gli angoli spigolosi delle teorie anti-tecniciste e costruendo altre teorie propense a valutare positivamente un percorso di austerità economica impiantata su una politica di rigore e di non sconfessione delle imposizioni che la Banca centrale europea ha dettato all’Italia e che hanno trovato applicazione con le politiche di tagli e di decurtazioni antisociali del governo Monti.
Ed ecco che la questione politica si viene ad intrecciare con la tremenda realtà dell’assottigliamento della sinistra in Italia, con il pericolo della sparizione, dell’annichilimento. Esiste la possibilità che le problematiche interpretate dalle nostre analisi non siano capite, addirittura non siano conosciute.
Se questa possibilità esiste – come del resto esiste – allora si può verificare anche una conseguente impossibilità a comunicare quelli che, sempre secondo noi comunisti, dovrebbero essere i rimedi da porre in una situazione di crisi economica come quella attuale.
L’allarme si fa dunque grande: giustificato, sensato. Non si tratta di Pierino che grida “al lupo, al lupo”, ma di un campanello che ci rintocca nella testa e che non ci fa dormire sonni tranquilli perché è veramente difficile poter coniugare le rivendicazioni sociali, e quindi la messa a freno delle attuali politiche liberiste di Monti, Fornero e Passera, con la pragmatica necessità di ritrovare nelle Camere una adeguata presenza istituzionale per poter operare in questo senso.
Non c’è dunque traduzione sociale alle istanze politiche di Rifondazione Comunista: le parole d’ordine che lanciamo sul lavoro, sulle pensioni, sui salari, sulla necessità della ripubblicizzazione di sanità, scuola, trasporti, di un rilancio della ecocompatibilità tra sviluppo e natura, tutte queste nostre indicazioni si fermano poco prima dell’apprendimento mentale da parte delle persone, scivolano via contro le urla di Beppe Grillo, il frastuono atono delle primarie contese tra Bersani, Renzi e Vendola, e non diventano più proprietà sociale di una coscienza che sappia voltarsi e dirigersi verso il cambiamento.
Esiste, dunque, la classe sociale che non ha coscienza di sé: lo è “in sé”, ma non “per sè”. Un aspetto noto già ai tempi di Karl Marx e di cui lo stesso filosofo di Treviri discorre a lungo nelle pagine delle sue voluminose opere.
Ma oggi, rischia di venire meno anche la rappresentanza politica della classe incosciente. Quindi il problema è sempre quello delle alleanze e del “male minore”.
Le domande si ripetono di tempo in tempo, di anno in anno: dialogare con il PD e il centrosinistra (quindi con il PD) oppure formare una lista di sinistra di alternativa che si opponga al liberismo e al montismo moderno?
Le sfumature che si possono dare alle risposte sono molte. Io provo a dare le mie risposte.
Evito di avvolgermi in esercizi di retorica e vado al punto immediatamente: l’alleanza del centrosinistra prevede un patto che vincola le forze che ne fanno parte a rispettare i patti internazionali in merito all’economia e ai rapporti tra l’Italia e l’Unione Europea. Questo significa che la più grande mannaia fino ad ora messa sul collo del Paese, il “fiscal compact”, non potrà essere disconosciuto. E quale potrà essere la capacità di incidenza di forze come SEL nel centrosinistra di nuovo modello dove l’adesione alla compatibilità fiscale targata BCE è praticamente condivisa dal PD e dal PSI?
Inoltre: andando a formare un monogruppo in Camera e Senato, come sarà possibile distinguersi da scelte e da votazioni in linea con le politiche attuali, riproposte come logica continuità dell’attuale gestione di “ristrutturazione” dell’economia del Paese?
Politica e strategia si intrecciano e si legano ad uno stretto connubio che diventa un legaccio mortale e un perfetto superamento delle anche buone intenzioni che si possono avere nel cercare di “spostare a sinistra” l’asse di una coalizione che, è molto probabile, si allargherà al centro di Casini subito dopo il voto, mettendo così la parola “fine” a qualunque speranza di cambiamento, a qualunque possibilità di inversione di marcia sui temi più scottanti per la vita delle persone più deboli, dei ceti meno abbienti.
I detrattori della lista di sinistra alternativa possono certamente affermare che si può fare di più in questi frangenti che presentando una forza politica che, qualora riuscisse ad entrare in Parlamento superando le mille trappole e insidie preparate con qualunque legge elettorale nuova, farebbe esclusivamente opposizione.
Questa obiezione vale se si assume come punto di vista la necessità di governare. E il tema del governo è tanto necessario quanto sono necessari i rapporti di forza che lo sorreggano e diano concretezza ai piani che si intendono portare avanti. Se governare, invece, vuol dire appoggiare criticamente ciò che non si condivide e sostenere ciò che non si dovrebbe sostenere anche solo per timida coerenza, allora non c’è peggiore opposizione di una situazione così mortificante come lo stare in maggioranza per pura opportunità e non per una valenza prettamente politica.
Io credo che oggi, attualmente, non esistano questi rapporti di forza: credo sia palese, sotto gli occhi di tutti. La ricostruzione della sinistra comunista, o comunque delle sinistra italiana in senso anche lato, non può passare oggi attraverso una responsabilità di governo con le forze che condividono col centrodestra e il Terzo polo il sostegno a Mario Monti e al suo governo di soccorso della grande borghesia internazionale e italiana.
Se la sinistra ha perso l’anima e deve ritrovarla, questa ricerca per natura di cose, per obiettiva necessità si dovrà svolgere e si deve già da ora svolgere attraverso una via di opposizione sociale e politica di lunga lena, di lungo periodo.
Il “documento dei 70″ proposto da Luciano Gallino è un punto di partenza che deve essere valorizzato e che deve portarci ad allargare le maglie di un tessuto tutto da ridisegnare: non sappiamo ancora “che fine faremo”. Lo sento dire da molte compagne e molti compagni. Eppure non esistono vie alternative: o si sceglie di rompere con gli schemi della paura e si lavora per un Quarto Polo della Sinistra Italiana capace di farsi largo tra l’avventura del centrosinistra formato da PD-PSI e SEL e il minoritarismo esiziale del massimalismo dei partitini ora trotzkisti, ora stalinisti del caso, oppure – siamone certi – la nuova sinistra di questo Paese non nascerà vera, ma ipocrita. Sotto l’ombra rassicurante di un liberismo mascherato da socialdemocratico temperamento dei danni del capitale.
Resto convinto che solamente dopo la fine delle primarie del centrosinistra (quindi dopo il 25 novembre) si potrà delineare uno scenario più composto, meno disarticolato e organizzato almeno in settori di prevalenza: in questo momento siamo al tutti contro tutti e al fuggi fuggi generale a seconda delle sensazioni che si provano nel vedere questa o quella nave che affonda.
La fase è, dunque, profondamente complessa proprio perché non esistono parole certe, linee politiche altrettanto certe e strategie individuabili.
In questo contesto, tuttavia, è bene ricordarsi che alcune scelte sono state fatte e che quella di appoggiare il governo Monti rimane senza ombra di dubbio una volontà che è divenuta pratica politica e che si è consolidata nel tempo, smussando gli angoli spigolosi delle teorie anti-tecniciste e costruendo altre teorie propense a valutare positivamente un percorso di austerità economica impiantata su una politica di rigore e di non sconfessione delle imposizioni che la Banca centrale europea ha dettato all’Italia e che hanno trovato applicazione con le politiche di tagli e di decurtazioni antisociali del governo Monti.
Ed ecco che la questione politica si viene ad intrecciare con la tremenda realtà dell’assottigliamento della sinistra in Italia, con il pericolo della sparizione, dell’annichilimento. Esiste la possibilità che le problematiche interpretate dalle nostre analisi non siano capite, addirittura non siano conosciute.
Se questa possibilità esiste – come del resto esiste – allora si può verificare anche una conseguente impossibilità a comunicare quelli che, sempre secondo noi comunisti, dovrebbero essere i rimedi da porre in una situazione di crisi economica come quella attuale.
L’allarme si fa dunque grande: giustificato, sensato. Non si tratta di Pierino che grida “al lupo, al lupo”, ma di un campanello che ci rintocca nella testa e che non ci fa dormire sonni tranquilli perché è veramente difficile poter coniugare le rivendicazioni sociali, e quindi la messa a freno delle attuali politiche liberiste di Monti, Fornero e Passera, con la pragmatica necessità di ritrovare nelle Camere una adeguata presenza istituzionale per poter operare in questo senso.
Non c’è dunque traduzione sociale alle istanze politiche di Rifondazione Comunista: le parole d’ordine che lanciamo sul lavoro, sulle pensioni, sui salari, sulla necessità della ripubblicizzazione di sanità, scuola, trasporti, di un rilancio della ecocompatibilità tra sviluppo e natura, tutte queste nostre indicazioni si fermano poco prima dell’apprendimento mentale da parte delle persone, scivolano via contro le urla di Beppe Grillo, il frastuono atono delle primarie contese tra Bersani, Renzi e Vendola, e non diventano più proprietà sociale di una coscienza che sappia voltarsi e dirigersi verso il cambiamento.
Esiste, dunque, la classe sociale che non ha coscienza di sé: lo è “in sé”, ma non “per sè”. Un aspetto noto già ai tempi di Karl Marx e di cui lo stesso filosofo di Treviri discorre a lungo nelle pagine delle sue voluminose opere.
Ma oggi, rischia di venire meno anche la rappresentanza politica della classe incosciente. Quindi il problema è sempre quello delle alleanze e del “male minore”.
Le domande si ripetono di tempo in tempo, di anno in anno: dialogare con il PD e il centrosinistra (quindi con il PD) oppure formare una lista di sinistra di alternativa che si opponga al liberismo e al montismo moderno?
Le sfumature che si possono dare alle risposte sono molte. Io provo a dare le mie risposte.
Evito di avvolgermi in esercizi di retorica e vado al punto immediatamente: l’alleanza del centrosinistra prevede un patto che vincola le forze che ne fanno parte a rispettare i patti internazionali in merito all’economia e ai rapporti tra l’Italia e l’Unione Europea. Questo significa che la più grande mannaia fino ad ora messa sul collo del Paese, il “fiscal compact”, non potrà essere disconosciuto. E quale potrà essere la capacità di incidenza di forze come SEL nel centrosinistra di nuovo modello dove l’adesione alla compatibilità fiscale targata BCE è praticamente condivisa dal PD e dal PSI?
Inoltre: andando a formare un monogruppo in Camera e Senato, come sarà possibile distinguersi da scelte e da votazioni in linea con le politiche attuali, riproposte come logica continuità dell’attuale gestione di “ristrutturazione” dell’economia del Paese?
Politica e strategia si intrecciano e si legano ad uno stretto connubio che diventa un legaccio mortale e un perfetto superamento delle anche buone intenzioni che si possono avere nel cercare di “spostare a sinistra” l’asse di una coalizione che, è molto probabile, si allargherà al centro di Casini subito dopo il voto, mettendo così la parola “fine” a qualunque speranza di cambiamento, a qualunque possibilità di inversione di marcia sui temi più scottanti per la vita delle persone più deboli, dei ceti meno abbienti.
I detrattori della lista di sinistra alternativa possono certamente affermare che si può fare di più in questi frangenti che presentando una forza politica che, qualora riuscisse ad entrare in Parlamento superando le mille trappole e insidie preparate con qualunque legge elettorale nuova, farebbe esclusivamente opposizione.
Questa obiezione vale se si assume come punto di vista la necessità di governare. E il tema del governo è tanto necessario quanto sono necessari i rapporti di forza che lo sorreggano e diano concretezza ai piani che si intendono portare avanti. Se governare, invece, vuol dire appoggiare criticamente ciò che non si condivide e sostenere ciò che non si dovrebbe sostenere anche solo per timida coerenza, allora non c’è peggiore opposizione di una situazione così mortificante come lo stare in maggioranza per pura opportunità e non per una valenza prettamente politica.
Io credo che oggi, attualmente, non esistano questi rapporti di forza: credo sia palese, sotto gli occhi di tutti. La ricostruzione della sinistra comunista, o comunque delle sinistra italiana in senso anche lato, non può passare oggi attraverso una responsabilità di governo con le forze che condividono col centrodestra e il Terzo polo il sostegno a Mario Monti e al suo governo di soccorso della grande borghesia internazionale e italiana.
Se la sinistra ha perso l’anima e deve ritrovarla, questa ricerca per natura di cose, per obiettiva necessità si dovrà svolgere e si deve già da ora svolgere attraverso una via di opposizione sociale e politica di lunga lena, di lungo periodo.
Il “documento dei 70″ proposto da Luciano Gallino è un punto di partenza che deve essere valorizzato e che deve portarci ad allargare le maglie di un tessuto tutto da ridisegnare: non sappiamo ancora “che fine faremo”. Lo sento dire da molte compagne e molti compagni. Eppure non esistono vie alternative: o si sceglie di rompere con gli schemi della paura e si lavora per un Quarto Polo della Sinistra Italiana capace di farsi largo tra l’avventura del centrosinistra formato da PD-PSI e SEL e il minoritarismo esiziale del massimalismo dei partitini ora trotzkisti, ora stalinisti del caso, oppure – siamone certi – la nuova sinistra di questo Paese non nascerà vera, ma ipocrita. Sotto l’ombra rassicurante di un liberismo mascherato da socialdemocratico temperamento dei danni del capitale.
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