giovedì 1 novembre 2012

PSICOLOGIA E ANTROPOLOGIA DEL CETO POLITICO di Giovanni Lamagna, http://sinistrainparlamento.blogspot.it

La persona che rientra nella categoria del “ceto politico” ha alcune caratteristiche psicologiche e, potremmo dire, antropologiche specifiche, particolari, che lo distinguono da tutti gli altri ceti.

Provo ad individuarne alcune:

-        è una persona di solito piuttosto chiusa ai rapporti con persone che non fanno parte del suo stesso ceto, che tende a parlare, a “comunicare” solo con le persone del suo stesso ceto o, addirittura, solo con quelli del suo cerchio ristretto, della sua “componente” o “corrente”; che guarda gli “altri” (cioè quelli che non fanno parte del ceto politico) come se appartenessero ad un altra “specie” animale; con una vaga puzza sotto al naso, con un certo senso di superiorità; anche quando questo senso di superiorità non poggia su niente di concreto, su nessuna qualità speciale; in effetti il senso di superiorità le deriva evidentemente dal fatto di appartenere ad un ceto che lei considera di per sé superiore; non è un caso allora che a questo ceto è stato affibbiato negli ultimi tempi il termine “casta”;

-        la chiusura diventa addirittura diffidenza e sospettosità di fronte a chi si avvicina all’organizzazione da neofita e prova a dare un contributo di idee e di azioni concrete all’organizzazione di cui il ceto politico è quadro militante e in alcuni casi dirigente; evidentemente la partecipazione (anche quando è del tutto priva di “secondi fini”, ma è dettata solo dalla passione politica, anzi, forse, proprio perché è dettata solo dalla passione politica) viene vissuta come una minaccia al ruolo acquisito, al piccolo o grande potere raggiunto da chi è “ceto politico”; per cui tale partecipazione, lungi dall’essere incoraggiata, viene in molti casi scoraggiata, se non proprio osteggiata;

-        la chiusura o la diffidenza abituali dell’appartenente al ceto politico si sciolgono, però, improvvisamente, come di incanto, se chi si avvicina ad un’organizzazione politica è disposto ad accettare subito gerarchie di ruoli, se non di potere, già consolidate; la chiusura e la diffidenza abituali si trasformano anzi in vere e proprie manifestazioni di accoglienza e di interessamento alla tua persona (telefonate, inviti a riunioni, anche conviviali…), in occasione di scadenze elettorali, quando il ceto politico è impegnato a ricercare il voto per sé (direttamente) o per qualcuno a cui è collegato in qualche cordata (oggi io appoggio te, domani tu appoggerai me);

-        la persona che fa parte del ceto politico spesso non ha un lavoro; e in molti casi non lo cerca e non lo ha mai cercato; perché ha sempre “lavorato”, fin da giovane, in ruoli politici (nell’apparato tecnico dell’organizzazione, come funzionario di partito, in qualche carica elettiva); ha fatto (potremmo dire) un investimento nella carriera politica; ritiene perciò di avere diritto a dei riconoscimenti, dal momento che da anni fa “lavoro politico”; ha maturato, si dice con un linguaggio tipico; “legittime ambizioni”; che devono trovare col tempo soddisfazioni sempre più elevate; altrimenti il “politico” scalpita, sgomita, fa “lotta politica”; ma mica per qualche nobile causa, a favore e per conto dei cittadini di cui è rappresentante o anche solo del partito di cui è “ceto”; no, la sua “lotta politica” mira a salire qualche altro gradino della scala degli onori, che è il suo vero e principale (se non unico) obiettivo;

-        chi entra a far parte del “ceto politico”, in genere, non si è mai posta la domanda: ma ne ho la predisposizione? ne ho le qualità e le competenze? sarò in grado di corrispondere alla domanda che implicitamente i cittadini (che non fanno parte del ceto politico) ripongono in chi di quel ceto fa parte? No, chi entra a far parte del ceto politico lo fa a partire da una sua ambizione personale, che in genere non ha mai confrontato (per averne conferma o meno) con i cittadini, che pur dice di voler rappresentare; di solito la legittimazione gli viene da coloro che già da prima di lui fanno parte del ceto politico, cioè i “chierici” o i “presbiteri” della politica; è come i preti, che affermano di avere la vocazione, senza aver mai avuto alcuna legittimazione, alcuna “nomina”, dalla comunità di cui sono chiamati a diventare “pastori”;

-        colui che fa parte del ceto politico, in genere, non si espone mai troppo in un dibattito, in una discussione, quando si tratta di prendere una determinata decisione; sta sempre ben attento, prima di parlare e di assumere una posizione, a quello che dice o fa il suo capo cordata, colui che lo precede nella gerarchia dell’organizzazione politica e a cui si è “legato” col progetto di seguirne le orme, di essere tirato su nell’ascesa politica, come si fa in montagna da chi sta più su di noi con la corda; per cui non sviluppa, in genere, un grande acume politico; le sue affermazioni il più delle volte sono banali, opache,quasi sempre scontate, non dicono mai nulla di nuovo e di originale;

-        spesso il personale politico è apatico, amorfo, non coltiva grandi passioni ed entusiasmi, fa politica per mestiere e il mestiere dopo un po’ stanca, toglie energia, vitalità, smalto e freschezza; il “politico” spesso è un “burocrate”; dovrebbe incoraggiare gli altri (quelli che “politici” non sono), dare loro motivi e ragioni di impegno, ma spesso non riesce a motivare neanche se stesso, figuriamoci se riesce a farlo con gli altri

-        siccome i suoi destini economici sono legati alla professione politica è disposto in genere a qualsiasi compromesso, pur di conservare la posizione acquisita; per cui spesso, alla mancanza di entusiasmo e di passione, si unisce anche un certo buon grado di cinismo e di spregiudicatezza; assume o approva, ad esempio, posizioni e scelte che non condivide, ma fa finta di condividere, per non “mettersi contro” quelli che contano più di lui e che gli garantiscono il “posto” e gli “promettono” la agognata carriera; (anche qui) ricorda quei preti che hanno perso la “vocazione” (ammesso che l’abbiano mai avuta) e che continuano a fare i preti, perché, non avendo “né arte né parte”, non saprebbero dove andare a “sbattere” per sbarcare il lunario; 
 
-        per concludere, il ceto che forma l’apparato di una organizzazione politica si trova a incarnare, in genere, questo paradosso: dovrebbe essere il cuore pulsante dell’organizzazione, funzionale alla sua efficienza, alla sua vitalità, alla sua crescita , mentre, invece, il più delle volte ne è un freno, un appesantimento, una zavorra.

Nessun commento:

Posta un commento

Di la tua