Va
di moda parlare di irresponabilità e si sa che in materia Silvio
Berlusconi non lo batte nessuno. I Tg e i giornali di ieri erano un
monotono e stridulo j’accuse:
dagli all’untore che col suo gesto folle ha diffuso di nuovo la peste
dello spread fra le linde nostre casette. Mario Monti, lui sì che una
persona seria e responsabile.
A mercati freschi di riapertura il
morbo infuria e se continua così ci si può immaginare cosa canterà il
coretto oggi. E’ un coro bugiardo, e, peggio, sa bene di esserlo. Il
ritiro (nominale) della fiducia da parte del Pdl era stato fatto con
tanto felpata diplomazia, concordato tanto meticolosamente con Giorgio
Napolitano, studiato in modo da garantire il passaggio delle leggi e dei
decreti più sensibili da risultare quasi indolore. Si sarebbe votato
con meno di un mese di anticipo rispetto alla scadenza naturale della
legislatura, e in una data che era comunque già probabile per
avvicinarsi almeno, in nome del sacrosanto risparmio, a un election day.
A drammatizzare quanto più possibile
è stato Monti. Lo ha fatto a freddo. Non è affatto vero che fosse un
atto dovuto, tant’è vero che ha colto di sorpresa proprio tutti e dicono
che peggio di tutti la abbia presa proprio Napolitano, che se potesse
diseredare Monti probabilmente a questo punto lo farebbe. Se c’è un
irresponsabile, è il professore in loden
Monti lo ha fatto per calcolo
politico, esattamente come aveva fatto due giorni prima Berlusconi. A
poche settimane dalle elezioni è comprensibile che entrambi si siano
comportati così. La politica non è un pranzo di gala. Ma perché, dei
due, il più cauto passi per guastatore, e il più pazzo per quadrato e
addirittura super responsabile non si capisce. Ma ai politici e ai
giornalisti italiani, che tutto questo lo sanno benissimo anche se
strillano il contrario, qualcuno riuscirà mai a insegnare che la verità
ha una sua importanza
Monti, strappo politico per rientrare in partita e scendere in campo
In
platea si vive un dramma, vero e a sempre più cupe tinte. Ma quella che
si recita sul palco è pura sceneggiata napoletana, con tanto di strilli
e pianti, minacce d’ammazzamenti, recitazione sopra le righe e la
coreografia mediatica a moltiplicare gli effettacci.
Mario Monti non ha “strappato” proprio niente. Grasso che cola se il
voto verrà anticipato di due mesi, ma si può scommettere che saranno
invece poche settimane. Nelle quali, anche se avesse spirato la solita
letargica bonaccia, il Parlamento non avrebbe fatto altro che quel che
farà comunque: approvare la finanziaria, che adesso si chiama legge di
stabilità, per evitare l’esercizio provvisorio.
La drammatizzazione del Sobrio è legittima e dal suo punto di vista
sacrosanta. In meno di 24 ore, dopo la sesta ridiscesa in campo del
detronizzato d’Arcore, pareva di aver fatto un salto indietro nel tempo
di 13 o 14 mesate. In tv, come in un macabro festival mondiale degli
zombies, imperversavano i revenants, capitanati dal lugubre Gasparri. In
un batter d’occhio Pd e Pdl avevano riallestito la sagra del
bipolarismo all’italiana, fatto di urla e insulti, delegittimazione
tosta del nemico, propaganda stentorea quanto bugiarda (unica eccezione
la già temuta Santanché, trasformatasi da pesciarola a gentildonna e il
new look le dona). Inutile recriminare. E’ il sortilegio del mago
Silvio. Se nell’arena c’è lui, la degenerazione in derby è garantita.
Insomma, prima che calasse per due volte la notte, Super Mario era
già un per nulla caro ricordo, citato solo per accusarsi a vicenda di
averlo sostenuto oltre lo strettamente necessario. Infelice parentesi,
per fortuna chiusa.
Gli facevano balenare, è vero, il Colle come premio di consolazione.
Ma l’uomo ha di ingenuo solo l’espressione da studente cresciutello.
Conosce il mondo. Ha dimestichezza con le cabine di regia, anche quelle
più discrete e che contano davvero. Si è reso conto subito che, dopo una
campagna elettorale giocata tutta su prendere le distanze dalla sua
malnata agenda, ad attenderlo non c’era il Quirinale ma la mesta sorte
del trombato in aula.
Sbattendo la porta, rifiutando il ruolo di pecora tranquillamente
avviata al macello cucitogli addosso da tutti, incluso l’ex alto
protettore che dal Colle dovrà presto sloggiare, Mariotto è rientrato in
partito alla grande, e ha fatto saltare con due gomitate al plesso la
festosa revanche bipolarista. Ma i suoi guai sono tutt’altro che finiti.
A questo punto, o tira diritto e in un modo o nell’altro entra in
partita come candidato, oppure tempo pochi giorni e finisce di nuovo
stritolato dalla tenaglia bipolare. Ma se si fa coraggio e osa il gran
gesto, o vince, e non è facile, o finisce ridotto a leaderino di secondo
piano, e non risulta ambisca a tanto poco.
Affari suoi. Quella è la bicicletta e ora pedalare gli tocca. Come e
per dove diretto, deve deciderlo da solo. Nei prossimi tre giorni,
perché di tempo a disposizione ne ha tanto e non di più.
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