lunedì 10 dicembre 2012

Altro che B., l’irresponsabile è Monti, le sue dimissioni non erano un “atto dovuto” di Andrea Colombo, Glialtrionline.it


Va di moda parlare di irresponabilità e si sa che in materia Silvio Berlusconi non lo batte nessuno. I Tg e i giornali di ieri erano un monotono e stridulo j’accuse: dagli all’untore che col suo gesto folle ha diffuso di nuovo la peste dello spread fra le linde nostre casette. Mario Monti, lui sì che una persona seria e responsabile.
A mercati freschi di riapertura il morbo infuria e se continua così ci si può immaginare cosa canterà il coretto oggi. E’ un coro bugiardo, e, peggio, sa bene di esserlo. Il ritiro (nominale) della fiducia da parte del Pdl era stato fatto con tanto felpata diplomazia, concordato tanto meticolosamente con Giorgio Napolitano, studiato in modo da garantire il passaggio delle leggi e dei decreti più sensibili da risultare quasi indolore. Si sarebbe votato con meno di un mese di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura, e in una data che era comunque già probabile per avvicinarsi almeno, in nome del sacrosanto risparmio, a un election day.
A drammatizzare quanto più possibile è stato Monti. Lo ha fatto a freddo. Non è affatto vero che fosse un atto dovuto, tant’è vero che ha colto di sorpresa proprio tutti e dicono che peggio di tutti la abbia presa proprio Napolitano, che se potesse diseredare Monti probabilmente a questo punto lo farebbe. Se c’è un irresponsabile, è il professore in loden
Monti lo ha fatto per calcolo politico, esattamente come aveva fatto due giorni prima Berlusconi. A poche settimane dalle elezioni è comprensibile che entrambi si siano comportati così. La politica non è un pranzo di gala. Ma perché, dei due, il più cauto passi per guastatore, e il più pazzo per quadrato e addirittura super responsabile non si capisce. Ma ai politici e ai giornalisti italiani, che tutto questo lo sanno benissimo anche se strillano il contrario, qualcuno riuscirà mai a insegnare che la verità ha una sua importanza

Monti, strappo politico per rientrare in partita e scendere in campo

In platea si vive un dramma, vero e a sempre più cupe tinte. Ma quella che si recita sul palco è pura sceneggiata napoletana, con tanto di strilli e pianti, minacce d’ammazzamenti, recitazione sopra le righe e la coreografia mediatica a moltiplicare gli effettacci.
Mario Monti non ha “strappato” proprio niente. Grasso che cola se il voto verrà anticipato di due mesi, ma si può scommettere che saranno invece poche settimane. Nelle quali, anche se avesse spirato la solita letargica bonaccia, il Parlamento non avrebbe fatto altro che quel che farà comunque: approvare la finanziaria, che adesso si chiama legge di stabilità, per evitare l’esercizio provvisorio.
La drammatizzazione del Sobrio è legittima e dal suo punto di vista sacrosanta. In meno di 24 ore, dopo la sesta ridiscesa in campo del detronizzato d’Arcore, pareva di aver fatto un salto indietro nel tempo di 13 o 14 mesate. In tv, come in un macabro festival mondiale degli zombies, imperversavano i revenants, capitanati dal lugubre Gasparri. In un batter d’occhio Pd e Pdl avevano riallestito la sagra del bipolarismo all’italiana, fatto di urla e insulti, delegittimazione tosta del nemico, propaganda stentorea quanto bugiarda (unica eccezione la già temuta Santanché, trasformatasi da pesciarola a gentildonna e il new look le dona). Inutile recriminare. E’ il sortilegio del mago Silvio. Se nell’arena c’è lui, la degenerazione in derby è garantita.
Insomma, prima che calasse per due volte la notte, Super Mario era già un per nulla caro ricordo, citato solo per accusarsi a vicenda di averlo sostenuto oltre lo strettamente necessario. Infelice parentesi, per fortuna chiusa.
Gli facevano balenare, è vero, il Colle come premio di consolazione. Ma l’uomo ha di ingenuo solo l’espressione da studente cresciutello. Conosce il mondo. Ha dimestichezza con le cabine di regia, anche quelle più discrete e che contano davvero. Si è reso conto subito che, dopo una campagna elettorale giocata tutta su prendere le distanze dalla sua malnata agenda, ad attenderlo non c’era il Quirinale ma la mesta sorte del trombato in aula.
Sbattendo la porta, rifiutando il ruolo di pecora tranquillamente avviata al macello cucitogli addosso da tutti, incluso l’ex alto protettore che dal Colle dovrà presto sloggiare, Mariotto è rientrato in partito alla grande, e ha fatto saltare con due gomitate al plesso la festosa revanche bipolarista. Ma i suoi guai sono tutt’altro che finiti. A questo punto, o tira diritto e in un modo o nell’altro entra in partita come candidato, oppure tempo pochi giorni e finisce di nuovo stritolato dalla tenaglia bipolare. Ma se si fa coraggio e osa il gran gesto, o vince, e non è facile, o finisce ridotto a leaderino di secondo piano, e non risulta ambisca a tanto poco.
Affari suoi. Quella è la bicicletta e ora pedalare gli tocca. Come e per dove diretto, deve deciderlo da solo. Nei prossimi tre giorni, perché di tempo a disposizione ne ha tanto e non di più.

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