Chissà se nel Connecticut se la sarebbero presa allo stesso modo. Il libro di Stephen Amidon, da cui Paolo Virzì ha tratto l’omonimo film Il Capitale Umano è ambientato negli Stati Uniti, nell’area metropolitana di New York che, con le dovute proporzioni geografiche e sociali, potrebbe assomigliare alla Brianza lombarda.
L’adattamento di Virzì è ambientato nel nord Italia, non molto lontano da Milano in una zona ricca di ville, finanzieri e più modesti immobiliaristi, che vivono nei pressi di piccoli centri storici suggestivi nel cuore della Lombardia ricca e produttiva. I personaggi sono l’anima del film: uomini assetati di soldi e potere, con donne sensibili all’arte e alla solidarietà umana che tentano di ribellarsi alla complicità silenziosa, volta alla distruzione e al declino dell’Italia. Le critiche ingiuste e le scentrate polemiche nei confronti dello sguardo del regista livornese che “offende il nord laborioso”, in realtà mettono in evidenza la lucidità di Paolo Virzì nell’individuare luoghi e racconti simbolici del declino culturale, politico e sociale del nostro paese.
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Con questo nuovo film Paolo Virzì ha cambiato stile, va alla ricerca di nuovi generi: dal thriller, al noir senza perdere di vista i conflitti sociali e umani, spesso presenti nel suo cinema. Le pagine di Amidon sono servite come traccia costante per la sceneggiatura del film scritta con Francesco Bruni e Francesco Piccolo. “Il libro mi aveva colpito per la sua trama da giallo che si adoperava per raccontare paesaggi umani di una società contemporanea e questioni spinose del nostro tempo.
La novità, rispetto ai miei film precedenti in cui mescolavo dramma e ironia facendo prevalere la comicità, è l’ elemento del thriller. L’omissione di un evento narrato, che viene scoperto poco a poco nel racconto alla maniera delle narrazioni di genere.”
Il Capitale Umano non fa ridere ma sorridere, quando nel pieno del dramma trapelano sprazzi d’ironia.
“E’ vero, c’è una corrente d’ironia più beffarda che comica; avrei potuto narrare con più pathos e più melodramma, mi pare che anche nelle scene più tragiche si senta il sogghignare del regista.”
Dietro al sogghignare del regista si intende anche la volontà di raccontare una storia bella e, seppur ambientata negli Stati Uniti, contiene degli elementi molto italiani come la crisi e gli squali della finanza che hanno divorato le ricchezze del paese senza lasciare niente a nessuno: “Avevamo scommesso sulla rovina di questo paese e abbiamo vinto”, dice il finanziere interpretato da Fabrizio Gifuni.
“Abbiamo trovato un bel lavoro già fatto nelle pagine di Amidon, non solo perchè si trattava di traslare un racconto ambientato nel Connecticut in un altro contesto socio-geografico, ma anche perchè questo materiale romanzesco era molto più ampio e diffuso di quanto lo sia il film. Si poteva fare una serie a puntate per la tv. Il tentativo era quello di cercare un tono, un’atmosfera, un’inquietudine. E quindi: vicenda americana, un paesaggio per me umanamente inconsueto, sommato alla mia poca confidenza con la provincia ricca lombarda, mi ha fatto creare un tipo di film estraneo ma centrato”.
Va detto che per vent’anni questa zona del nord Italia è stata particolarmente trainante per l’Italia intera. Non pare casuale che il declino narrato nel tuo film transiti da queste parti.
“Mi ha colpito quello che racconta il paesaggio. Ho visto vari borghi rurali, bellissimi e abbandonati accanto a nuovi comprensori di villette moderne; un’idea della ricchezza e della bellezza un po’ mortifera, che forse non ho compreso del tutto. E questo non è un problema solo della Lombardia, ma di tutta l’Italia”.
I personaggi, gli attori bravissimi che animano il film, hanno tutti una caratterizzazione chiara, che ci prende per mano in un tunnel degli orrori e ci pare, comunque, di conoscerli bene.
(Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio, Luigi Lo Cascio, Federica Fracassi, Bebo Storti, Gigio Alberti, Paolo Pierobon e i giovanissimi Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli).
“Ho voluto circondarmi di fuori classe, in più molti di loro sono anche registi. Rispetto al romanzo, ci siamo immaginati un agente immobiliare del Varesotto, osservando dei tipi che prendevano l’aperitivo e Bentivoglio, che è l’opposto di Ossola, sobrio, riservato e con una sua dolcezza pacata e malinconica, invece si è gettato nel personaggio con un ardimento e una sfacciataggine commoventi. Gifuni che è l’immagine della rettitudine, dell’uomo equilibrato e democratico, qui ha indossato i panni di una persona aggressiva, feroce e competitiva. O la Bruni Tedeschi che diventa donna patetica, ricca e infelice, mentre la Golino è donna giudiziosa, con una sindrome di accudimento verso casi umani disperati, tra cui forse il suo compagno”.
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