I commentatori ne parlano come di una “svolta”, ma – francamente – la sorpresa non c’è per nulla. Che la final destination
del tragitto politico di Sel porti in braccio al Pd, quale che sia la
linea e il leader di questo partito, è da tempo cosa di un’evidenza
solare. C’è chi come noi, avendo seguito con speciale attenzione
l’occhettiana trasmutazione del partito di Vendola, aveva argomentato
come la deriva moderata in corso equivalesse ad una piccola (date le
proporzioni politiche e culturali dell’evento) Bad Godesberg. C’è poi
chi non l’aveva capito e sperava in un possibile ravvedimento di Sinistra ecologia e libertà,
ritenuto possibile in considerazione dell’irrefrenabile palingenesi
liberale dei Democratici. Ci sono infine coloro che, pur avendo ben
compreso da quale parte tirasse il vento, hanno fatto (e continuano a
fare) gli “gnorri”, ritenendo in cuor proprio, ma senza trovare il
coraggio di confessarlo apertamente, che un vero spazio, autonomo e
indipendente, per una sinistra di classe, men che meno comunista, sia
chiuso per sempre. Ora, però, fare finta di nulla sarà più difficile.
“Quando sarà il momento Sel si scioglierà in qualcosa d’altro”: Vendola lo aveva detto, apertis verbis, sin dalla scissione da Rifondazione comunista e dalla costituzione della nuova formazione, destinata a non essere l’approdo finale dei fuoriusciti. Tra quindici giorni, nell’ormai prossimo congresso fisserà le nuove tappe. L’avvicinamento al Pd aveva visto una tappa decisiva con la Lettera dei democratici e dei riformisti, summa politica di un programma liberista, di impronta blairiana, infarcita di ideologia interclassista. Poi la battuta d’arresto, imprevista, conseguente alla scelta del Pd di formare il governo delle “larghe intese” con Berlusconi, svolta che rendeva insostenibile la coabitazione al governo con la destra anticostituzionale e paragolpista. Così Sel, suo malgrado, fu costretta a sedere sui banchi dell’opposizione. Ma ora, l’avvento di Renzi e – soprattutto – lo sguardo preoccupato ai sondaggi che danno Sel in progressivo calo di consensi e al di sotto della soglia di sbarramento, fa riprendere slancio al rendez vous provvisoriamente rinviato col Pd. Perché l’obiettivo della rappresentanza parlamentare prevale, nel partito di Nichi, su ogni altra considerazione.
Il congresso che si svolgerà dal 26 gennaio definirà la road map del percorso che dovrebbe portare, a fine tragitto, alla costituzione di una “federazione democratica”. Nelle stesse file del Pd si fa largo l’ipotesi che la mossa di Stefano Fassina di lasciare il governo e guidare una opposizione dentro il partito, miri a un “correntone” irrobustito da Sel. Nel gruppo dirigente più ristretto di Sel questa è del resto l’ipotesi più gettonata, come non perde occasione di esplicitare Gennaro Migliore, il capogruppo alla Camera che osserva come “i migliori risultati noi li abbiamo ottenuti quando siamo stati in un campo unitario del centrosinistra”. E non è certo un mistero che l’idea di una confluenza nel calderone democratico, sia pure mascherata da qualche acrobazia politicista, sia molto più che una tentazione nel “cerchio magico” del segretario.
Le prossime elezioni europee si incaricheranno di “illuminare” la strada che Vendola e compagni intraprenderanno. La parte meno spregiudicata di Sel vorrebbe formare liste unitarie di una sinistra ampia e ricomposta per Tsipras. Ma perderà. La maggioranza, ben più attenta alle ricadute sul progetto politico domestico, vuole sostenere il Pse e la candiadatura di Martin Schulz.
“Quando sarà il momento Sel si scioglierà in qualcosa d’altro”: Vendola lo aveva detto, apertis verbis, sin dalla scissione da Rifondazione comunista e dalla costituzione della nuova formazione, destinata a non essere l’approdo finale dei fuoriusciti. Tra quindici giorni, nell’ormai prossimo congresso fisserà le nuove tappe. L’avvicinamento al Pd aveva visto una tappa decisiva con la Lettera dei democratici e dei riformisti, summa politica di un programma liberista, di impronta blairiana, infarcita di ideologia interclassista. Poi la battuta d’arresto, imprevista, conseguente alla scelta del Pd di formare il governo delle “larghe intese” con Berlusconi, svolta che rendeva insostenibile la coabitazione al governo con la destra anticostituzionale e paragolpista. Così Sel, suo malgrado, fu costretta a sedere sui banchi dell’opposizione. Ma ora, l’avvento di Renzi e – soprattutto – lo sguardo preoccupato ai sondaggi che danno Sel in progressivo calo di consensi e al di sotto della soglia di sbarramento, fa riprendere slancio al rendez vous provvisoriamente rinviato col Pd. Perché l’obiettivo della rappresentanza parlamentare prevale, nel partito di Nichi, su ogni altra considerazione.
Il congresso che si svolgerà dal 26 gennaio definirà la road map del percorso che dovrebbe portare, a fine tragitto, alla costituzione di una “federazione democratica”. Nelle stesse file del Pd si fa largo l’ipotesi che la mossa di Stefano Fassina di lasciare il governo e guidare una opposizione dentro il partito, miri a un “correntone” irrobustito da Sel. Nel gruppo dirigente più ristretto di Sel questa è del resto l’ipotesi più gettonata, come non perde occasione di esplicitare Gennaro Migliore, il capogruppo alla Camera che osserva come “i migliori risultati noi li abbiamo ottenuti quando siamo stati in un campo unitario del centrosinistra”. E non è certo un mistero che l’idea di una confluenza nel calderone democratico, sia pure mascherata da qualche acrobazia politicista, sia molto più che una tentazione nel “cerchio magico” del segretario.
Le prossime elezioni europee si incaricheranno di “illuminare” la strada che Vendola e compagni intraprenderanno. La parte meno spregiudicata di Sel vorrebbe formare liste unitarie di una sinistra ampia e ricomposta per Tsipras. Ma perderà. La maggioranza, ben più attenta alle ricadute sul progetto politico domestico, vuole sostenere il Pse e la candiadatura di Martin Schulz.
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