Gli Archimede, sparsi tra banche, finanza e istituzioni, hanno
inventato una comoda misura per condizionare la politica dei Paesi in
crisi. determinando o la messa in mora della dialettica politica
attraverso le elezioni o il sostegno di governi “amici”.
In più di due anni, cioè da quando lo spread è entrato
nell’immaginario collettivo, continua ad avere efficacia e può
continuare ad essere utilizzato come un vessillo delle politiche di
austerità e conferma del loro funzionamento. Così anche Letta, in gran
tempesta per le concorrenza di Renzi, non ha perso l’occasione di
magnificare la discesa sotto il limite psicologico dei 200 come se la
differenza del livello trai 215 – il livello di spread ormai da mesi – e
197 rappresentasse chissà quale ristoro all’economia.
Purtroppo a questo punto occorre essere un po’ fiscali e strappare
allo spread quella veste magica, grazie alla quale può esercitare il suo
incantamento sulle opinioni pubbliche. Infatti lo spread non è altro
che la differenza di interessi che esiste tra i titoli di stato italiani
e quelli tedeschi: e quindi è un rapporto non con l’insieme dei titoli
di stato europei o quelli dei principali paesi del mondo, ma una misura
riferita a un unico paese e dunque poco significativa nel contesto
globale dell’economia. Per di più questa differenza si riferisce
esclusivamente ai titoli di stato decennali, che sono una percentuale
abbastanza piccole sul totale e relativa agli scambi interbancari sul
mercato secondario. Di qui anche la facilità con cui il sistema
finanziario può influire sul loro livello.
Inoltre l’andamento degli spread può essere determinato in gran parte
da situazioni che niente hanno a che vedere con l’attività di un
governo, o con la sua inattività, come nel caso italiano. La diminuzione
degli spread dei paesi in crisi rispetto ai Bund tedeschi, non è stata
determinata da un miglioramento della situazione economica bensì da
fattori del tutto estranei e in particolare dalle colossali iniezioni di
denaro volute dal governo giapponese già dal dicembre 2012 e dalla
volontà della Federal Reserve di continuare sulla strada del costo zero
per il denaro, unico modo per alimentare la ripresina americana.
Il trionfalismo peloso espresso da un governo che da sette mesi non è
riuscito a venire a capo di una tassa come l’Imu, è la prova del nove
dell’uso strumentale e retorico dello spread, il quale nel giorno
dell’insediamento di Letta e nonostante gli scossoni della campagna
elettorale, era a 270 punti ed è gradualmente sceso così come quello
spagnolo (195 punti) o quello di altri paesi, senza che vi sia una
reale luce in fondo al tunnel e comunque in situazioni certamente più
drammatiche di due anni fa. Tanto che il risparmio sugli interessi del
debito pubblico interviene in una situazione già degradata nella quale
il vantaggio ottenuto è di fatto assorbito dalla caduta dell’economia
reale.
La straordinaria invenzione dello spread serve dunque a sollevare con
facilità illusioni e manovre più che le condizioni del Paese. Purtroppo
però anche il coniglio estratto dal cappello a cilindro
dell’illusionista bisogno che ci sia. Ma da due anni di formule magiche e
di abracadabra, sembra proprio che dell’animaletto non ci sia traccia.
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