domenica 3 agosto 2014

La filologia vivente di Gramsci —  Guido Liguori, Il Manifesto

Antonio Gramsci. Il nuovo libro di Alberto Burgio analizza gli scritti dell’intellettuale e dirigente comunista dal periodo torinese ai «Quaderni dal carcere». Un’opera presentata però come un sistema unitario,mettendo così in secondo piano le discontinuità interne che la caratterizzano
Dopo Gram­sci sto­rico (2003) e Per Gram­sci (2012), Alberto Bur­gio torna sul mar­xi­sta e comu­ni­sta sardo con un volume cor­poso e denso, punto di arrivo di un lungo lavoro di scavo e rifles­sione. In Gram­sci. Il sistema in movi­mento (Deri­veAp­prodi, pp. 489, euro 27) ven­gono river­sati studi già noti, ma molto mate­riale è aggiunto, e il tutto è rior­di­nato al fine di rico­struire l’insieme della rifles­sione gram­sciana, dagli anni tori­nesi a quelli del car­cere. Un con­tri­buto di grande ric­chezza, che pre­senta però anche tratti pro­ble­ma­tici, che meri­tano di essere quanto meno indi­cati e, per quel che è qui pos­si­bile, discussi.
La cifra di fondo della rico­stru­zione di Bur­gio è quella dell’unitarietà e della con­ti­nuità: per ciò che con­cerne il pen­siero di Gram­sci, ma anche i legami tra que­sto e i punti di ispi­ra­zione prin­ci­pali, indi­vi­duati in Hegel e Marx, Labriola e Lenin. Un Gram­sci hegelo-marxista-leninista, per cui fon­da­men­tale fin dagli anni gio­va­nili è la «presa di coscienza» e la com­pren­sione di una «neces­sità» non fata­li­stica ope­rante nella sto­ria.
Un pen­siero non esente da svol­gi­menti, ma uni­ta­rio e orga­nico. Le idee-forza del «sistema» gram­sciano per­man­gono lungo tutto l’arco della rifles­sione di que­sto autore. Sistema, per­ché inter­na­mente coe­rente, anche se non sta­tico, per i muta­menti radi­cali che segnano gli anni con­si­de­rati. L’opera gram­sciana è per Bur­gio «uni­ta­ria, ben­ché incom­piuta, e siste­ma­tica nelle inten­zioni del suo autore, il quale con­ce­pi­sce la real­tà e la sto­ria come una tota­lità». Lo svi­luppo sto­rico è «un pro­cesso uni­ta­rio rela­ti­va­mente coe­rente e dotato di senso», «suscet­ti­bile di pre­vi­sioni e anti­ci­pa­zioni da parte del sog­getto rivo­lu­zio­na­rio»: alla teo­ria spetta «l’onere di resti­tuirne una rap­pre­sen­ta­zione organica».

Pro­blemi di metodo

Si impone su que­ste tesi una prima rifles­sione. Di con­tro a un certo uso post-moderno di un pen­sa­tore adat­tato a tutte le biso­gne, fino a dimen­ti­carne o a tra­dirne il qua­dro di rife­ri­mento com­ples­sivo (il mar­xi­smo) e le fina­lità (rivo­lu­zio­na­rie), è ben com­pren­si­bile che Bur­gio fac­cia oppo­si­zione. Ci si chiede però se que­sta inten­zione di fedeltà a Gram­sci, alla sua pro­ble­ma­tica e alle sue moti­va­zioni sia per­se­gui­bile facen­done l’autore di un sistema com­piuto. Non va così persa pro­prio la dimen­sione poli­tica e mili­tante del suo pen­siero, anco­rata alla prassi e alle sue ine­vi­ta­bili discon­ti­nuità? E non si fini­sce per tra­scu­rare – in que­sto con­ti­nui­smo teo­rico tutto interno al mar­xi­smo – «fonti» ugual­mente impor­tanti?
Non che gli autori citati non siano fon­da­men­tali per Gram­sci, tutt’altro. Biso­gne­rebbe però stare attenti a non dimen­ti­care la più vasta com­ples­sità della sua for­ma­zione, l’ampio arco di fat­tori (ad esem­pio, la cul­tura fran­cese) che, nel clima della rea­zione al posi­ti­vi­smo, con­tri­bui­rono alla sua ori­gi­na­lità e che rie­mer­gono (basti pen­sare a Sorel) negli scritti del car­cere. Spin­gere troppo sul tasto della con­ti­nuità rischia di offu­scare que­sto ele­mento cru­ciale, di lasciare in ombra come – accanto a pro­ble­ma­ti­che costanti e anche al ritorno, nei Qua­derni, di alcuni ori­gi­nali tratti gio­va­nili – sus­si­stano discon­ti­nuità dovute ad esem­pio al ruolo di dire­zione poli­tica eser­ci­tato negli anni Venti. Momenti di vera e pro­pria svolta (ad esem­pio su Bene­detto Croce, per citare un caso ecla­tante) vi sono nella rifles­sione car­ce­ra­ria: fat­tori che si rischia di sot­to­va­lu­tare con un tale impianto di metodo.

Con­tro il canone dominante

Mi rife­ri­sco anche alla pole­mica – a volte espli­cita, pur se accom­pa­gnata da qual­che pru­denza – che Bur­gio sol­leva verso il canone pre­va­lente negli ultimi lustri di studi gram­sciani in Ita­lia, quella nuova atten­zione ai testi e alla loro sto­ria, al rap­porto tra ela­bo­ra­zione a bat­ta­glia poli­tica, nata a par­tire dall’opera filo­lo­gica di Valen­tino Ger­ra­tana e poi dal lavoro di Gianni Fran­cioni. Mi sem­bra che Bur­gio nutra verso que­sto che con­si­dera un eccesso di filo­lo­gi­smo una pre­oc­cu­pa­zione in qual­che modo «poli­tica»: il fatto cioè che nella filo­lo­gia si perda la «filo­lo­gia vivente». Egli giunge ad affer­mare che il «feti­ci­smo dei testi» impe­di­sce di com­pren­dere lo spi­rito gram­sciano, da cogliere anche con­tro la let­tera dei testi.
Capi­sco la pre­oc­cu­pa­zione, ma credo non solo che la sfida filo­lo­gica vada accet­tata, ma che que­sto nuovo modo di leg­gere Gram­sci sia foriero di svi­luppi posi­tivi nella com­pren­sione della let­tera e dello spi­rito dei suoi scritti (e in caso con­tra­rio, si apre la strada a chi vede nel comu­ni­sta sardo soprat­tutto un «pro­fes­sore», non un mili­tante rivo­lu­zio­na­rio).
Bur­gio non è por­tato a leg­gere la rifles­sione gram­sciana legan­dola al suo con­te­sto per­ché vede in essa una for­tis­sima con­ti­nuità. Ciò lo con­duce, ad esem­pio, a citare di seguito, quasi si trat­tasse di un unico libro, affer­ma­zioni tratte dagli scritti del dopo­guerra come dai Qua­derni come dalle rifles­sioni del Gram­sci diri­gente di par­tito. In que­sto modo si met­tono in evi­denza indub­bie asso­nanze, ma si rischia che vada persa pro­prio la leni­niana «ana­lisi con­creta della situa­zione con­creta», che Gram­sci pone alla base di tutta la sua rifles­sione. Senza il pun­tuale rife­ri­mento alla bio­gra­fia poli­tica del comu­ni­sta sardo l’affermazione per cui «le prin­ci­pali cate­go­rie e l’assetto gene­rale del mar­xi­smo di Gram­sci ci paiono rima­nere inal­te­rati» resta indimostrata.

La rela­zione egemonica

Pur con tali per­ples­sità, il libro è di grande ric­chezza. Non potendo accen­nare a tutti i temi in esso svi­lup­pati (dalla teo­ria della crisi alla con­ce­zione dello Stato, dall’ideologia all’americanismo, dal cesa­ri­smo all’analisi del fasci­smo, alla sto­ria degli intel­let­tuali ita­liani, e altri ancora), ne ricordo solo due fon­da­men­tali. Penso alle pagine sull’egemonia, dove l’autore evi­den­zia come essa non abbia una dimen­sione solo discor­siva e cogni­tiva poi­ché anche i pro­cessi pro­dut­tivi, per Gram­sci, «fun­gono da vet­tore» del discorso ege­mo­nico. L’organizzazione di fab­brica e l’organizzazione della vita eco­no­mica sono anzi uno dei prin­ci­pali canali dell’egemonia (non a caso il con­senso che per­mette la Grande Rivo­lu­zione viene non solo dall’illuminismo, ma anche dal fatto che la bor­ghe­sia ha creato nuovi rap­porti pro­dut­tivi e pro­prie­tari).
Bur­gio indaga la com­ples­sità dell’egemonia, ne mette in rilievo l’ambiguità: il potere, ogni potere, ha biso­gno di con­senso, ma la rela­zione ege­mo­nica è asim­me­trica, uno dei due poli ingloba i rap­porti di forza esi­stenti a suo van­tag­gio. Anche per que­sto, forza e con­senso sono un insieme ine­stri­ca­bile. Ed è costante la oscil­la­zione – nella realtà come nelle pagine gram­sciane – tra il con­senso con­sa­pe­vole e quello otte­nuto gra­zie all’abilità pro­pa­gan­di­stica e orga­niz­za­tiva dei domi­nanti. Non solo. L’ambiguità dell’egemonia viene letta da Bur­gio anche in un’altra più posi­tiva dire­zione: la dina­mica ege­mo­nica apre spazi alla cre­scita della sog­get­ti­vità subal­terna, la sua stessa asim­me­tria per­mette all’egemonizzato di cre­scere, con­tiene poten­zia­lità critiche.

La rivo­lu­zione passiva

Anche le pagine sulla rivo­lu­zione pas­siva sono di grande inte­resse, soprat­tutto per l’analisi delle dif­fe­renze tra le rivo­lu­zioni pas­sive del Nove­cento e quelle pre­ce­denti. Que­ste ultime appa­iono vere rivo­lu­zioni, cam­bia­menti che segnano una tran­si­zione sto­rica. Non così le rivo­lu­zioni pas­sive del secolo scorso, fasci­smo e ame­ri­ca­ni­smo, che per­met­tono al capi­ta­li­smo solo di con­ti­nuare a durare, e al mas­simo con­ser­vano l’esistente. Per­ché allora Gram­sci usa la stessa cate­go­ria per feno­meni tanto diversi? Per­ché gli inte­ressa, risponde Bur­gio, soprat­tutto lo sta­tuto delle «forze d’opposizione», che per la loro debo­lezza per­met­tono alla con­tro­parte di dirigere-gestire le situa­zioni di crisi orga­nica. E per­ché da pro­cessi simili sor­ti­scono esiti così dif­fe­renti? Per­ché nella crisi orga­nica che pre­para l’avvento al potere della bor­ghe­sia le forze in campo erano tre (ari­sto­cra­zia, bor­ghe­sia, classi popo­lari), in quella del secolo scorso le «classi fon­da­men­tali» sono solo due. Dun­que il con­flitto è «irri­du­ci­bile» e «i com­pro­messi pos­si­bili tra capi­tale e lavoro pos­sono avere tutt’al più il carat­tere di tre­gue nel qua­dro di un con­flitto strut­tu­rale».
Molti altri punti andreb­bero messi in rilievo: in pri­mis, la cri­tica della demo­cra­zia par­la­men­tare avan­zata negli anni dell’«Ordine Nuovo» e rin­no­vata nei Qua­derni, anche per l’influenza rile­vante – con­cordo pie­na­mente con Bur­gio – che su Gram­sci ha l’elitismo, teo­ria con­ser­va­trice avver­sata ma assor­bita per molti aspetti. Il libro offre in gene­rale mol­tis­simi spunti di rifles­sione: di que­sto innan­zi­tutto va reso merito all’autore.

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