La battaglia che si sta giocando tra la
minoranza del PD e Renzi è sottilissima, sul filo del rasoio, molto
tattica (anche se nasconde finalità strategiche e di lunga gittata
politica). Quando Gotor dice che in direzione si è fatto un passo in
avanti, ma i sette emendamenti restano, intende ‘avanti’ sul piano
tattico. Il ‘reintegro’ per i licenziamenti disciplinari ha spostato e
incrinato i rapporti con NCD, che resta una componente essenziale per il
governo, soprattutto al Senato. Una decina di alfaniani sono pronti a
mollare tutto e a tornare a Forza Italia se non vi fosse un’altra
mediazione, stavolta a destra. Con conseguenze drammatiche per il
premier. Il quale, per evidenti ragioni di tenuta, non può più ignorare
la minoranza PD e gli alfaniani, non può fare più spallucce. Capisco
pure le rassicurazioni di Bersani a Renzi, se lette in questa ottica.
Evidentemente l’ultimo Segretario del PD ritiene che vi sia ancora
spazio per una trattativa interna, e che garantire il proprio appoggio e
la propria lealtà sia una specie di investimento per il futuro,
un’apertura di credito a Renzi che possa fruttare qualcosa in termini di
risultato, ossia di miglioramento finale del testo del jobs act.
Insomma, ci sarebbe ancora una qualche agibilità politica da gestire.
Perché non farlo?
Certo, questa lettura è complessa, un
po’ arzigogolata. Soffocata dai tatticismi. Dal punto di vista della
comunicazione, parafrasare questa manovra in proposizioni chiare,
limpide, definitive, comprensibili ai più non è facile. Anche chi segue
molto da vicino la politica, decifra la fedeltà di Bersani alla Ditta e
il preannuncio di un voto favorevole al jobs act comunque vada, come
un’inutile, eccessiva rassicurazione, come mettere il carro davanti ai
buoi in modo troppo zelante. Si dice: Bersani fa politica, non è un
opinionista, le sue dichiarazioni entrano in un meccanismo anche tattico
complesso, deve immaginare sviluppi, fasi, cicli, ecc. Vanno
interpretate contestualmente. Certo, è così. Ma chi ci aiuta a farlo?
Chi aiuta i cittadini a parafrasare queste dichiarazioni? Chi ci aiuta a
capire? Una volta era la Ditta stessa a farlo, la sua stampa, il suo
radicamento, la ‘prossimità’ fisica agli ultimi, ma oggi? E qui subentra
lo scoramento di chi si percepisce ormai un orfano politico, e parlo di
una bella fetta di elettori, militanti et similia.
Giusto, la Ditta. Che cos’è la Ditta di
cui molti invocano le facoltà taumaturgiche? La Ditta, di cui tutti
parlano riferiti soprattutto all’amministratore delegato, ai dirigenti
di area, ai capiufficio. Alle loro manovre, ai loro accordi, alle loro
mosse tattiche, alle alleanze che si tessono e si sciolgono al vertice,
alle gelosie e alle rivalità di questo o quel ‘capo’. Quando invece la
Ditta, a pensarci meglio, con più attenzione, è fatta anche di colletti
bianchi e blu, tecnici, addetti alla sicurezza, persino inservienti,
uomini di fatica e squadra pulizia, tra cui quelli che puliscono il
cortile e stanno sempre di fuori alle intemperie? Chi ci pensa a questi
‘ultimi’ (perché ci sono gli ‘ultimi’ anche nella Ditta, eh)? Quelli che
le scatole di cartone riempite dai dirigenti, durante i traslochi da un
partito all’altro, se le caricano sulle spalle attendendo pure di
sapere, con comodo, dove debbano essere consegnate. Quelli che attendono
le decisioni del caminetto e poi, magari, si affannano pure a difendere
certe scelte senza nemmeno averle capite bene, ma così, per lealtà,
dedizione, spirito di sacrificio. ‘Senso’ della Ditta, appunto. Mettendo
da parte preoccupazioni personali, pensieri difficili, ambizioni,
sogni, progetti. Solo perché gli hanno insegnato che i problemi
personali trovano soluzione in un ‘quadro generale’, nella soluzione dei
problemi politici, collettivi, pubblici, ecc. E così rimandano la
soluzione dei propri, di problemi, sinché a una certa età scoprono che
quelli sono ancora lì, imperterriti. Insoluti. Forse non più
risolvibili.
Ecco. Non ci sono più ‘grandi
narrazioni’ a tenerci assieme. Oggi si lavora su microideologie, piccole
storie, frammenti di racconti, cose che stamane cominciano con un
hashtag e domani già dileguano in attesa di altro che le sostituisca.
Piccoli passi, perché i grandi ce li siamo dimenticati. Chissà come si
fanno i grandi passi, boh. Niente ‘grandi narrazioni’, dunque a fare da
collante. E allora: come la teniamo assieme la Ditta, se non con il
rispetto? Se non comunicando come si dovrebbe? Se non spiegandoci meglio
le logiche delle nostre manovre politiche? Vedete, parlo a ragione. In
30-40 anni ho fatto al massimo l’inserviente, portato acqua a tutti i
segretari (meno che a quello del PDR, cacchio), attaccato manifesti,
venduto migliaia di copie dell’Unità, portato bandiere come un soldatino
ai cortei. Non ho mai ricoperto alcun incarico, magari nessuno mi ha
mai giudicato in grado di farlo. Ho solo fatto il Segretario della FGCI
in borgata, trenta anni fa, strappando decine di ragazzi ai bar (se non
peggio!) e portandoli in sezione almeno a discutere un po’. Forse questo
mi da il diritto (a me come ad altri nella mia condizione) di essere
più considerato. Sono stanco delle baruffe di vertice, delle manovre
politiche, stanco di essere finito, al termine di tanti traslochi, in un
partito-vicolo cieco in cui mi sento ormai fuori posto, estraneo
(mentre sono vicino a molti amici e compagni). Qual è la prospettiva?
No, dico, che si fa? Che ci aspetta domani e dopodomani? La cosiddetta
‘vecchia guardia’ non deve limitarsi a fare le sue battaglie (talvolta
persino poco decifrabili) o a rintuzzare il renzismo, deve pure parlare a
quella parte della Ditta, inservienti, più che altro, uomini delle
pulizie che, se non si indica un progetto, una visione, una strada da
percorrere (anche dentro al PD, ma nella precisazione di ruoli e
identità), presto la strada se la sceglieranno da soli. Anzi, la strada
sceglierà loro. E sarà, come immagino, una strada solitaria, di
scoramenti (come già ne vedo nei più appassionati, in quelli che
pagheranno il prezzo più alto), di delusione, di stizza, di
recriminazione su una vita spesa, a questo punto, davvero male. Una
vita, dico, non un anno sabbatico, non una stagione, non uno scampolo di
esistenza. Ecco il punto.
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