martedì 28 aprile 2015

Osservazioni sulla (in)costituzionalità del c.d. Italicum

italicumdi G.Z. Karl

 
 
Considerazioni preliminari
È ormai in dirittura d’arrivo l’approvazione della riforma della legge elettorale (per la sola Camera dei Deputati). Vale dunque la pena comprendere se questa legge di riforma, per ora approvata al Senato, contenga elementi suscettibili di ledere la Costituzione.
Va detto molto onestamente che chi scrive non ama i modelli maggioritari preferendo il sistema proporzionale, né ama lo studio dei modelli elettorali, studio che talvolta si avvicina per certi versi a quello della contabilità. Chi scrive pensa piuttosto che, quando una forza politica ha idee per imporsi, la materia elettorale diventi finanche secondaria, mentre essa si rivela viepiù centrale oggigiorno (nell’epoca del c.d. pensiero debole) in assenza di idee forti capaci di coinvolgere l’elettorato.
Mette poi conto far presente, specie a coloro i quali fingono ogni volta che tutto in Italia sia normale, che i sistemi maggioritari, che siano first-past-the-post come in Inghilterra o a doppio turno come in Francia, finiscono per portare al Governo, perlomeno in Europa, delle minoranze e non delle maggioranze. Ma essi sono tollerabili, in nome della governabilità, quando sono sorretti da un rispetto esemplare, da parte degli organi di governo, delle regole costituzionali. Il che, come è risaputo, non si può dire che avvenga in Italia.
Ciò posto, ricordiamo che i parametri per la valutazione di costituzionalità sono principalmente gli artt. 3 (sul principio di eguaglianza) e 48 della Costituzione (sul voto personale, eguale, libero e segreto), oltre naturalmente alla Sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014, con cui la Corte stessa ha dichiarato l’incostituzionalità della legge elettorale del 2005, c.d. Porcellum, approvata dall’allora maggioranza parlamentare di centrodestra.
Le censure di costituzionalità mosse dalla Corte Costituzionale al Porcellum
Lo scorso anno la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il premio di maggioranza attribuito dal Porcellum e l’assenza del voto di preferenza da quella legge elettorale. Ne è residuato un sistema proporzionale sostanzialmente puro, se non fosse per la soglia di sbarramento, rimasta tuttora in piedi – e pari al 4% dei voti ottenuti – giacché essa non formava oggetto del giudizio di costituzionalità.
La Corte, prendendo le mosse dagli articoli richiamati sopra della Costituzione, ha ritenuto che il premio di maggioranza delineato dal Porcellum fosse incostituzionale, perché con esso veniva alterato il principio della parità dei voti nella formazione del nostro Parlamento, sebbene fosse costituzionalmente legittimo il fine perseguito dal legislatore del 2005 di garantire la stabilità del governo. In altri termini, se analizziamo ad esempio le elezioni del 2013, il voto espresso dagli elettori con preferenza per il Partito Democratico è finito per valere di più del voto degli elettori che si sono espressi per il Movimento 5 Stelle, pur avendo queste due liste raggiunto la stessa percentuale di voti. Tale alterazione del principio della parità dei voti espressi non è ammissibile soprattutto allorché sia assente dalla legge elettorale una soglia minima di sbarramento per l’accesso al premio di maggioranza, tenuto conto peraltro del fatto che nel 2005 il sistema elettorale, ancorché fosse stato reso parzialmente maggioritario tramite appunto l’introduzione del premio di maggioranza, si fondava su un impianto prettamente proporzionale.
La seconda censura verteva sull’assenza di possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza. In pratica, l’elettore, fino alle elezioni del 2013, era costretto a votare liste di partito o di coalizione senza poter esprimere una preferenza per i candidati. Questi venivano eletti proporzionalmente secondo l’ordine in cui venivano indicati nella lista dai rispettivi partiti. Sicché veniva violata la libertà di voto garantita all’elettore dall’art. 48 della Costituzione.
Conviene poi citare testualmente un passaggio della sentenza della Corte relativo al sistema di voto senza preferenze: “Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)”.
È intorno a tale passaggio, peraltro, che si è articolato il tentativo di riforma portato avanti da Renzi e concretizzatosi nel c.d. Italicum nella parte riguardante le preferenze.
L’impianto dell’Italicum
Il testo di riforma approvato dal Senato a gennaio si basa su alcuni punti fondamentali:
  • Suddivisione del territorio nazionale, dal punto di vista elettorale, in 100 collegi plurinominali;
  • Conferma di una soglia di sbarramento per l’accesso al riparto dei seggi e pari al 3% dei voti validi;
  • Attribuzione del premio di maggioranza alla lista che ottenga almeno il 40% dei voti validi;
  • Nel caso in cui non vi sia attribuzione del premio di maggioranza poiché nessuna lista ha raggiunto il 40% dei voti, allora si procede, due domeniche dopo, a un ballottaggio nazionale tra le prime due liste votate per l’attribuzione del premio (che deve portare la lista uscita vittoriosa a disporre di 340 deputati);
  • I capilista sono “bloccati”, cioè non sono soggetti a voto di preferenza, mentre il resto dei candidati può essere eletto dai cittadini con voto di preferenza (possono essere espresse due preferenze, una per un candidato di sesso maschile, una per un candidato di sesso femminile).
Alcuni rilievi di costituzionalità
 
Problemi nell’attribuzione del premio di maggioranza
Occorre immediatamente sottolineare un grave errore redazionale in cui sta incorrendo il legislatore senza che nessuno finora si sia peritato di farlo notare. Sarebbe peraltro auspicabile in proposito un intervento del Presidente della Repubblica in assenza di correttivi parlamentari. Ci si riferisce al fatto che la disposizione concernente il premio di maggioranza recita: “sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi”.
Chiaramente, questa disposizione parte del presupposto che attualmente solo una lista (con ogni probabilità il PD) sia in grado di raggiungere quella soglia. Ma che succede nel caso in cui vi siano due liste a ottenere almeno il 40% dei voti validi (ricordiamo che, col Porcellum, vi furono nel 2006 due coalizioni in grado di raggiungere persino il 50% dei voti)? Volendo essere formalisti, entrambe le liste avrebbero titolo, stando alla formulazione impiegata nell’Italicum, al premio di maggioranza. Siccome ciò non è possibile perché il numero dei deputati è anelastico essendo fissato inderogabilmente in Costituzione, la disposizione dell’Italicum potrebbe essere interpretata a questo punto in tre modi, ciascuno dei quali comunque scorretto: 
a) non attribuzione del premio di maggioranza (che però dovrebbe essere attribuito); 
b) sua attribuzione alla lista risultata prima (quando però la disposizione citata ciò non prevede espressamente); 
c) ricorso comunque al ballottaggio tra le due liste che sono arrivate al 40% dei voti validi (ballottaggio che però l’Italicum consente unicamente quando le liste in parola siano rimaste “sotto soglia”). 
Resterebbe una quarta possibilità, cioè il suicidio dei componenti dell’organo chiamato a risolvere siffatto rompicapo, l’Ufficio Centrale Nazionale. Speriamo, ovviamente, che un simile testo sia corretto prima che si arrivi a gesti inconsulti.
Qualora i componenti dell’Ufficio Centrale Nazionale effettivamente si suicidassero (rectius, si trovassero nell’impossibilità di risolvere il problema), si aprirebbe allora la strada di un intervento, ma sfortunatamente “a partita in corso” (per usare il vocabolario caro a Renzi e Berlusconi), delle Camere i cui poteri, ai sensi dell’art. 61, comma 2, della Costituzione, sono prorogati fino all’insediamento delle nuove camere o addirittura del Governo sulla base dell’art. 77 della Costituzione che ammette l’adozione di decreti legge in casi straordinari di necessità e urgenza, decreti che poi dovrebbero essere sottoposti a conversione delle Camere che sono appositamente convocate quand’anche siano state sciolte. È lampante che, in tal caso, il ruolo arbitrale del Presidente della Repubblica sarebbe di rilievo fondamentale dal momento che non si può escludere un intervento di camere e governo volto a risolvere a proprio vantaggio l’impasse.
È evidente, quindi, che tale disposizione è affetta da un palese vizio di costituzionalità per mancanza di ragionevolezza, stante che in una simile circostanza verrebbe vanificato l’effetto principale della legge elettorale, del resto costituzionalmente necessario, di garantire la composizione della camera da eleggere, di modo che questa oltretutto possa esprimere la fiducia al Governo.
Ciò accade quando le leggi elettorali, anziché farle scrivere ai giuristi, le si fa scrivere ai c.d. esperti di ingegneria elettorale, che magari rassicurano il Ministro di turno che la legge in questione non è incostituzionale.
L’incostituzionalità del premio di maggioranza
Sollevato questo primo problema, restano da affrontare alcune questioni molto complesse. La prima riguarda il fatto che la normativa attualmente in discussione, diversamente dal Porcellum, prevede una soglia per l’attribuzione del premio di maggioranza, fissata al 40% dei voti validi. Ora, la ricordata sentenza della Corte Costituzionale non stabiliva, né era legittimata a farlo, la soglia per l’attribuzione del premio di maggioranza. Questa deve essere fissata dal legislatore. Si potrebbe pensare di conseguenza che il legislatore sia libero di determinarla, ma così in effetti non è. In primo luogo, anche in tale ambito il legislatore dovrà seguire il principio di ragionevolezza (di cui dubitiamo, ci sia consentito, che conosca l’esistenza). In secondo luogo, il principio di ragionevolezza dovrà operare non in astratto, bensì all’interno di una legge a impianto proporzionale.
Ricordiamo che la Corte, in relazione al Porcellum, ha sottolineato che il premio di maggioranza, come ivi configurato (assommato peraltro alle soglie di sbarramento, che già di per sé rappresentano un meccanismo di stampo maggioritario), creava un pesante effetto distorsivo rispetto alla struttura proporzionale di fondo della legge del 2005. Che succede con l’Italicum? Se una lista raggiunge almeno il 40% dei voti validi, essa beneficia di 340 deputati. Qui purtroppo tocca far di conto: in un sistema proporzionale (per ragioni di semplicità prescindiamo ora dai metodi di calcolo sui quozienti e sui resti), considerato poi che la Camera è composta da 630 membri (ma bisogna sottrarre i 12 deputati eletti all’estero), il 40% dei voti validi corrisponde a 246 seggi. La lista che ottiene il 40% dei voti ha così titolo ad altri 94 deputati, che corrispondono, a propria volta, a un premio di maggioranza del 15%. Da quanto precede si evince con chiarezza che siamo in presenza di un premio di maggioranza comunque abnorme e tale da stravolgere la formula proporzionale della legge elettorale. Ricordiamo che, nel caso della c.d. legge truffa, il premio di maggioranza scattava quando la lista raggiungeva il 50%+1 dei voti validi, ossia quando si era già in presenza di una maggioranza parlamentare.
Beninteso, un premio di maggioranza può legittimamente scattare anche quando la lista sia al di sotto della maggioranza assoluta dei voti validi, ma esso per essere ragionevole e pertanto legittimo sul piano costituzionale dovrebbe essere attribuito, in una legge proporzionale, quando è ben evidente lo scarto tra la prima e la seconda lista in termini di voti validi ottenuti e la lista giunta prima sia prossima, senza però arrivarvi, al 50%+1 dei voti validi. Tale non è il caso dell’Italicum. Di qui la possibilità che tale parte dell’Italicum venga censurata per gli stessi motivi del Porcellum, atteso peraltro che non diversamente da quest’ultimo anche l’Italicum contiene una clausola di sbarramento per l’accesso alla Camera dei Deputati.
L’incostituzionalità del voto di ballottaggio
Il secondo problema dell’Italicum è il ballottaggio nazionale per l’attribuzione del premio di maggioranza. Ad esso possono accedere le prime due liste che, su base nazionale, abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi senza tuttavia giungere al 40%. Qui le interpretazioni si sono divaricate, dato che la Corte Costituzionale non ha affrontato, come non poteva affrontare, questo aspetto che non era disciplinato dal Porcellum. I proponenti dell’Italicum sostengono che questo meccanismo sia rispettoso della sentenza della Corte perché, in sostanza, è il corpo elettorale nella sua interezza (e quindi i voti espressi hanno tutti lo stesso peso) a decidere a chi vada il premio. Gli oppositori dell’Italicum, viceversa, sostengono che la mancata previsione di una soglia minima per l’accesso al ballottaggio consentirebbe a due forze anche del 15-20% di accedere al ballottaggio per poi arrivare a disporre del 55% della rappresentanza alla Camera dei Deputati.
Il secondo argomento è sinceramente più convincente. Benché si dica che il modello elettorale di riferimento dell’Italicum sia la legge elettorale spagnola, il meccanismo cui si ispira la riforma elettorale, in questo caso, pare essere quello del secondo turno alla francese, ma purtroppo quest’ultimo mal si attaglia al sistema italiano per come è fatto oggi, essendo invece tipico di un sistema alquanto diverso dal nostro. In Francia il collegio è uninominale e raggiungono il ballottaggio non i primi due candidati, bensì i candidati che abbiano ottenuto almeno il 12,5% dei voti (come si vede è fissata una soglia minima per l’accesso), tant’è vero che si parla spesso di triangolari quando i candidati al ballottaggio sono socialisti, gollisti e lepenisti, se non anche di quadrangolari quando accedono al ballottaggio anche i candidati del Fronte di Sinistra. In Italia invece il collegio dovrebbe essere plurinominale e non è poi prevista la soglia minima di accesso al ballottaggio.
Nel caso dell’Italia, ciò che non si può sostenere, col meccanismo ideato nell’Italicum, è che si riparta da zero, giacché le liste che accedono al ballottaggio dovranno pur sempre colmare la differenza tra i seggi ottenuti al primo turno e i seggi che otterranno al secondo. In altre parole, se una lista giunge al ballottaggio avendo ottenuto il 25% dei voti validi e vince al secondo turno, finisce con ciò per ottenere il 55% dei seggi in Parlamento, con un premio di maggioranza in termini reali del 30%. L’interpretazione “si ricomincia da zero” non è sostenibile perché si scontra col dato testuale di cui all’art. 83, comma 5, del DPR 361/1957 (recante la disciplina elettorale) così come risulterebbe dalla riformulazione operata dallo stesso Italicum (art. 25 del Disegno di Legge).
In ogni modo, anche prescindendosi da tutti questi argomenti, viene da dire che l’ideatore dell’Italicum, vale a dire il Prof. D’Alimonte, ha elaborato, da notevole scienziato della politica, un sistema elettorale sofisticato per aggirare l’ostacolo rappresentato dalla Sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale (e proprio per questo il nome è stato davvero azzeccato: Italicum, perché come al solito le regole in Italia, per filosofia nazionale, si aggirano e non si rispettano). Peccato però che la sentenza citata non è così aggirabile come il Prof. D’Alimonte potrebbe pensare. Come si è detto, la sentenza parte dall’assunto per cui una legge a impianto proporzionale può sì essere corretta in senso maggioritario ma entro limiti ben precisi e ragionevoli finalizzati a garantire la governabilità. Questo è il principio di diritto sfuggito, purtroppo, al Prof. D’Alimonte. L’introduzione di un doppio turno di ballottaggio, finanche indipendentemente dall’esistenza di una soglia minima di accesso, è tale da sconvolgere di per sé la formula proporzionale della legge elettorale (in Francia, infatti, il doppio turno è collegato al collegio uninominale in assenza di formule di elezione di stampo proporzionale), che viene così a essere trasformata in maggioritaria, e conseguentemente è suscettibile di determinarne l’incostituzionalità secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Il nodo delle preferenze e dei capilista bloccati
Resta infine il nodo delle preferenze. È evidente che rispetto al Porcellum il sistema dell’Italicum è un passo avanti, l’elettore potendo difatti esprimere due preferenze di genere (lasciamo da parte ogni disquisizione in ordine alla maggiore bontà delle preferenze rispetto al collegio uninominale; basti solo rammentare che in Italia con le preferenze si può fare mercimonio del voto, mentre col collegio uninominale purtroppo sarebbe tuttora possibile far eleggere nei collegi c.d. sicuri persino un pesce rosso se fosse candidabile). Qui però sono necessarie alcune osservazioni. La prima è che è vero che è solo il capolista a essere bloccato e quindi si risolve il problema della conoscibilità del candidato, giacché col Porcellum finivano per essere elette anche persone candidate in fondo alla lista e pertanto difficilmente conoscibili dall’elettore, specialmente quando la lista in parola è molto lunga. Tuttavia, la Corte Costituzionale non ha esplicitamente ammesso, come si può leggere dal passaggio citato sopra, che un sistema così congegnato sia costituzionalmente ammissibile (ciò che non sarebbe stata del resto legittimata a dire nel giudizio di costituzionalità come configurato in Italia), limitandosi più che altro ad affermarne l’incomparabilità.
Peraltro, il risultato pratico dei capilista bloccati sarebbe molto probabilmente quello di eleggere all’incirca 300 deputati senza preferenze, stante che l’attuale conformazione partitica è almeno tripolare e si dovrebbe votare in 100 collegi plurinominali. E non dovrebbe dimenticarsi che l’Italicum si aggancia a una riforma costituzionale che prevede l’istituzione di un Parlamento in cui, a parte il Senato già non elettivo, la funzione legislativa ordinaria viene assegnata alla sola Camera cui spetta poi il voto di fiducia al Governo.
In un simile contesto, non potrebbe non affermarsi l’incostituzionalità dell’Italicum, perché se è una sola Camera a votare la fiducia al Governo e ad approvare le leggi è ancora più forte, allora, l’esigenza che il voto dell’elettore sia personale, eguale, libero e segreto secondo i dettami dell’art. 48 della Costituzione e dunque che la Camera sia composta per intero da deputati scelti dai cittadini.
 
Osservazioni conclusive
La proposta di legge discussa fin qui contiene, come abbiamo cercato di argomentare, dei palesi vizi di incostituzionalità mentre il vizio circa i capilista bloccati si concretizzerebbe sicuramente allorquando venissero approvate le riforme costituzionali oggi in discussione.
Viene spontaneo affermare che l’Italicum costituisce un abile gioco di specchi, creato ad arte per disorientare i cittadini. Infatti, esso a prima vista sembra essere un passo avanti rispetto al Porcellum, ma quando poi lo si va ad analizzare più approfonditamente non si può non rilevare come esso presenti dei vizi così macroscopici da risultare persino peggiore del suo poco illustre predecessore.
Conclusivamente, è doveroso spendere alcune parole sul tema dell’astensione. Le elezioni non dipendono, relativamente alla loro validità, dal numero degli elettori che hanno preso parte al voto (diverso, come noto, è il caso dei referendum) e ciò per via del carattere necessario del funzionamento degli organi costituzionali elettivi o che dipendono, come nel caso della fiducia al Governo, dalla loro esistenza. Pertanto, sotto il profilo formale, l’Italicum non può essere valutato tenendo conto degli effetti che esso produce in presenza di un forte tasso di astensione.
Ciò che ad ogni modo si può dire e che è rilevante, invece, sul piano politico è che l’Italicum appare scritto proprio per incentivare l’astensione. Nel contesto attuale, cioè in tempi di declino della partecipazione politica, l’introduzione del doppio turno di ballottaggio sembra pensata proprio per allontanare dal voto gli elettori che non si riconoscono in nessuna delle due liste che vi potrebbero accedere. In questo modo, risulterà vincitrice la lista che meglio riuscirà a mobilitare la propria minoranza, attiva e ancora ideologizzata, di elettori e non quella che riuscirà a intercettare la maggioranza degli elettori.
Si sarebbe, in pratica, in presenza di un risultato politicamente incostituzionale, che finirebbe per svuotare ulteriormente di senso la nostra democrazia e la nostra Costituzione. D’altronde, tale risultato altro non è che la conseguenza naturale di talune precise scelte politiche, tra cui l’aver affidato l’ideazione e la scrittura dell’Italicum ai politologi del “principe”.

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