È bene che tutti lo sappiano: la scuola pubblica è sotto attacco.
L’attacco di un disegno di legge targato Renzi che ne prevede il
passaggio di consegne dallo Stato al mercato, dove un dirigente-padrone
assoluto, novello feudatario 2.0, cercherà finanziamenti privati
esibendo la sua merce umana ai potenziali sponsor, in un unico,
aberrante agone competitivo in cui la selezione adattativa – oggi dei
docenti, domani degli studenti – costituisce il paradigma che manderà
definitivamente al macero la carta straccia della Costituzione.
Un dirigente-padrone assoluto che, nella scuola-monade immaginata da
Renzi, si farà il suo statuto, il suo piano dell’offerta formativa, il
suo regolamento interno, il suo orario delle lezioni, il suo calendario
di apertura e chiusura; che comporrà il suo staff di meritevoli capò e
la sua squadra di docenti prestanti. Sempre in pista, sempre scattanti.
Pronti e proni alla chiamata diretta di questo o quel preside al quale
qualcuno avrà forse magnificato la loro assoluta disponibilità. Con i
reprobi relegati in una lista di proscrizione a cui attingere per una
delle innumerevoli funzioni previste dall’organico dell’autonomia, ove
chi sarà considerato come scarto – magari il docente troppo
sindacalizzato, troppo politicizzato o troppo poco raccomandato – sarà
stigmatizzato come figlio di un dio minore, incapace, inetto, schiappa, pippa o cempenna.
Questa proposta è indecente per ogni cittadino italiano e non può
essere accettata. Ne va del destino della scuola, e con essa del nostro
sciagurato Paese, condannato ad avere ministri dell’istruzione che non
vi hanno mai più messo piede da decenni, se non per tagliare qualche
nastro o ricevere ridicoli omaggi da dirigenti adusi alla servitù
volontaria mentre soffitti e solai, ormai ovunque in Italia,
semplicemente crollano. Per questo sta montando una grande mobilitazione
collettiva, che rappresenta concretamente il rifiuto radicale della
società italiana di questo progetto di riforma. Un progetto di riforma
strutturale, organico al più ampio disegno regressivo con cui questo
Governo sta riportando indietro le lancette della storia, calpestando
diritti e conquiste democratiche, dentro e fuori le aule parlamentari,
nel disprezzo più assoluto di qualunque motivato e legittimo dissenso.
Il Governo ha ‘blindato’ il disegno di legge, legandone tutto
l’impianto al ricatto dell’assunzione dei precari; impedendo al
Parlamento, con tempi strettissimi e forzature intollerabili, la
disamina accurata dell’articolato; stipando sindacati e associazioni in
distratte audizioni-pollaio che hanno, ancora una volta, celebrato una
mera finzione formale e negato qualunque ascolto reale.
E il mondo della scuola, ignobilmente privato del diritto ad una
interlocuzione reale, ha intrapreso la sua grande mobilitazione di
protesta con un lungo sciopero-staffetta che, dal 24 aprile al 12
maggio, avrà portato tutti in piazza. Una grande maratona che vede
insieme lavoratori e studenti, uniti nel rifiuto di un progetto di
riforma non può essere oggetto di patteggiamenti. Non ci possono essere
singole richieste di modifica a un disegno di legge dall’impianto
liberticida: basti solo pensare alle innumerevoli deleghe che il Governo
impone al Parlamento per riservarsi lo stravolgimento futuro dello
stato giuridico dei docenti e la funzione che la Costituzione assegna
alla scuola.
Che non è bene privato di un singolo dominus, o pietanza à la carte
di malsani appetiti, ma la più nobile istituzione dello Stato, perché è
la scuola che ci rende cittadini liberi, nella totale autonomia da
qualunque ingerenza politica o interesse economico. Perché è nella
scuola e con la scuola – pubblica, libera, inclusiva e gratuita – che si
realizza il dettato costituzionale dell’uguaglianza e della parità dei
diritti e delle opportunità. Tutti i sindacati ci hanno chiamato in
piazza per un grande sciopero-staffetta dal 24 aprile al 12 maggio e noi
– lavoratori, studenti, esponenti della società civile – non manchiamo
all’appello. Ognuno riconoscendo i suoi, ma con un obiettivo comune da
raggiungere, un obiettivo comune di civiltà: l’impegno del Governo ad un
investimento costante nell’istruzione pari alla media europea;
l’assunzione immediata di tutti i precari aventi diritto sui posti
disponibili; il ritiro immediato e incondizionato di questo disegno di
legge.
Non ci accontenteremo di niente di meno. In nome e per conto della scuola della Costituzione.
Perché l’unità della proposta politica sta nelle cose, ed è più forte di qualunque particolarismo.
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