Omminicchi.
E i personaggi di governo non si fanno sfuggire nessuna occasione di
dimostrare questa loro natura di fondo, del resto già più dignitosa del
quaquaraquà quotidiano in cui si esercitano. Omminicchi come il ministro
degli Esteri Gentiloni che nella querelle fra il Vaticano e la Turchia
di Erdogan sul genocidio degli armeni prende una di quelle posizioni
indimenticabili per ambiguità e ipocrisia: “L’Italia ha più volte
espresso solidarietà e vicinanza al popolo e al governo armeno per la
violenza e le sofferenze che sono state loro inflitte cento anni fa.
Quanto al riconoscimento giuridico del genocidio abbiamo sempre invitato
i due Paesi, Turchia e Armenia amici dell’Italia, a dialogare per
evitare che questa situazione sia di ostacolo ad altre situazioni meno
tese”.
Già, dopo tutto che è mai un genocidio? Perché chiedere
riconoscimenti che ostacolano situazioni meno tese? E’ del tutto privo
di senso che un ministro degli esteri si senta in obbligo non come
espressione di un Paese, ma come cattolico, di scendere in campo a
fianco del Vaticano per poi esprimere questo nulla storico morale.
Riuscendo nel contempo a ottenere lo straordinario risultato
di indispettire comunque la Turchia le cui ambizioni neo ottomane
passano anche attraverso il negazionismo della questione armena e nel
contempo a svalutare le parole di Papa Francesco facendole apparire
nient’altro che la ripresa di posizioni già espresse da Wojtyla: in
sostanza una bagatella anche se da 15 anni a questa parte molte cose
sono cambiate e parole simili hanno valenze diverse se non addirittura
contrastanti. Molto più dignitoso tacere se si devono dire certe cose
che suonano come la banalità del bene. Del resto Gentiloni da buon
omminicchio è espressione dell’assenza di strategia a cui porta la
malleabilità di una morale non più doppia o tripla, ma occasionale,
lavorabile come il pongo e che alla fine esiste solo come espressione di
appartenenza a questo o a quel complesso di potere, nel caso specifico
la chiesa cattolica.
Eppure Gentiloni è un gradino sopra i troppi quaquaraquà disposti ad
ogni compromesso come è il caso di Sandro Gozi, il politico impomatato
che pare sottratto precocemente al duro lavoro di bagnino in quel di
Riccione. Lui, rammentando che du è meglio che uan, dice che sul
genocidio degli Armeni “non c’è una sola verità storica”. E che insomma
due milioni di morti possono essere un’opinione. Una posizione del resto
obbligata viste le trattative per l’ingresso della Turchia in Europa:
parlarne è dunque “inopportuno”. “Per noi che facciamo politica è meglio
guardare ai problemi di oggi della politica. E con il governo della
Turchia siamo impegnati a parlare di democrazia, diritti umani e di
minoranze”. Pare che il nostro prezioso giacimento di frasi fatte non si
sia accorto di Gezi Park, delle censure di Ankara, dei processi ai
giornalisti, della sempre maggiore oppressione che viene esercitata
sulla popolazione e che nemmeno abbia avuto sentore dell’appoggio a
tutto tondo che la Turchia fornisce all’Isis. Ma già, lui è impegnato a
parlare di democrazia, quella che anche a noi viene sottratta, nei rari
momenti in cui non è in crisi di astinenza da gommina.
Non so a voi, ma a me questa gente restituisce un vago senso di
nausea, forse anche superiore a quello che mi suscitano i padroni per i
quali agiscono e dei quali del resto non potrebbero fare a meno come le
statue di cera del loro sostegno metallico. Ma naturalmente non c’è una
sola verità e dopotutto alle mosche potrebbero anche piacere.
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