"Vedo molta tristezza in giro". Basterebbero queste parole
per descrivere lo stato d'animo di Pier Luigi Bersani dinanzi alle
divisioni nel Pd per l'Italicum. Il Pd che "non è più la mia ditta",
ammette sconsolato l'ex segretario. Io, se serve, di sberle ne prendo
quante volete. Il problema non è Bersani, è l'Italia", afferma Bersani
in diverse interviste concesse fra gli altri a Repubblica, Corriere
della Sera e Stampa, "davanti a scelte di questa portata, ognuno deve
assumersi le sue responsabilità. Vedremo cosa fare assieme e poi vedrò
cosa fare io".
A chi gli chiede perché Renzi abbia deciso di
forzare, Bersani commenta dicendo che "lui è in natura così. E non è una
bella natura". Poi aggiunge: "Io non avevo dubbi che avrebbe messo la
fiducia. Ma che bisogno c'era? Si dice che la gente non capisca di che
cosa si sta discutendo in Parlamento. Ma insomma, tocca a me spiegarlo?
Può essere che tocchi anche a me, ma tocca a tutti. Parliamo delle
regole del gioco, parliamo della nostra democrazia. Una cosa che non
riguarda Bersani contro Renzi".
Ed ancora: "Non è più la ditta che ho
costruito io. Questa è un'altra cosa, un altro partito". Sullo sfondo
incombe l'ipotesi di scissione, ma Bersani commenta amaro: "Ma dove
posso andare... Sa come diceva Dante Alighieri? Se io vo, chi rimane? Se
io rimango, chi va?". E conclude: "Con questa legge qua la demagogia va
in carrozza. Ma lei se lo immagina cosa diventeranno le prossime
elezioni? Sarà il festival della demagogia", saranno "una gara a chi la
racconta più grossa".
"Secondo me alcune correzioni si potevano
apportare e non necessariamente sull'Italicum ma anche sulla riforma
costituzionale" afferma Gianni Cuperlo a "Radio anch'io" su Radio Rai.
"L'idea di garantire un assetto più convincente avrebbe garantito le
riforme, unito il Pd, garantito il sistema. Perché non lo si è voluto
fare? Io mi interrogo su questo anche con un tratto di amarezza".
Parla
al Quotidiano Nazionale anche Enrico Letta, confermando che "non voterò
la fiducia sull'Italicum. E uscirò dall'Aula. E' una decisione meditata
e sofferta. Prima di prenderla ho riflettuto lungamente, mi sono
chiesto; se una decisione del genere l'avesse presa Berlusconi come ci
saremmo comportati? Saremmo in piazza a manifestare. Anche se sono
sicuro che la forzatura di far approvare una legge elettorale da soli
neppure Berlusconi l'avrebbe fatto". Letta giudica "profondamente
sbagliata" la scelta della fiducia, "uno strappo immotivato, il segno di
una umiliazione delle Camere. Che peraltro crea anche un precedente, e
magari tra un po' qualcun altro lo userà per comprimere ulteriormente la
libertà del Parlamento". Come finirà? "Renzi vincerà questa partita
perché ha la maggioranza, ma la vincerà tra le macerie. Avere la
maggioranza del partito di maggioranza gli pare sufficiente".
Più
incerta la posizione di un "lettiano" doc come Francesco Boccia. "Ho
voluto sentire i circoli di Barletta, dove sono stato eletto. E il 60%
mi ha detto di votarla" dice al Corriere della Sera l'esponente della
minoranza dem. "Io sono uno che sulle scelte ci mette la faccia. Il
momento è delicato e mi confronto con il territorio" spiega, aggiungendo
che "la scelta di Enrico mi interroga, parecchio. Deciderò nelle
prossime ore, è un passaggio delicato. Sulla legge elettorale non ho
cambiato idea. E' fatta male". E a chi insinua che spererebbe di non
essere sostituito come presidente della commissione Bilancio replica:
"Questo a me non lo può dire nessuno. Ho già dato prova di non essere
attaccato alla poltrona. Se trovano uno più bravo di me, che capisca di
bilanci, si accomodi pure. Io sono a disposizione".
Un altro presidente di Commissione, Cesare Damiano,
si dice pronto a votare la fiducia. "Penso che la fiducia sia una
forzatura non necessaria, soprattutto perché il voto sulle pregiudiziali
ha
dimostrato come anche con il voto segreto il governo abbia una larga e
solida maggioranza. Renzi avrebbe dovuto fidarsi dei suoi parlamentari,
che hanno il costume di dire come votano anche col voto segreto,
assumendosi le proprie responsabilità". In ogni caso "non ho mai fatto
mancare il mio voto di fiducia ai governi nei quali era presente il Pd, a
partire dal governo Monti. A quei tempi votare per una riforma delle
pensioni che non condividevo -per lealtà nei confronti del mio partito-
mi è costato lacrime e sangue".
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