Quante
volte viene da dimettersi da italiani di fronte alla stupidità
dilagante, al servilismo intollerabile, alla mancanza di senso etico,
alla fragilità di cui il Paese fa mostra in ogni occasione? Una volta al
giorno temo, alcune volte anche di più. E così ieri non è bastato dover
toccare con mano la tempra e l’indipendenza dal potere del grande
anticorruttore Cantone, immediatamente schieratosi con De Gennaro dopo
la sentenza della Corte sulla tortura un tema che chiama in causa la
democrazia e la civiltà del Paese, mostrando di essere più che una
medicina un belletto per nascondere le piaghe dell’Expo, un San Giorgio
in cartolina.
No,non bastava, anzi il peggio doveva ancora venire e questa volta si
è coagulato dal basso con il sostegno immediatamente dato su facebook,
ma anche sui siti leghisti, ufficiali e non, all’assassino del tribunale
di Milano. La giustificazione di un atto così grave ha radici futili,
ottuse, prodotte esattamente da quel Paese di furbetti e idioti morali,
da cui nasce poi la corruzione dilagante. “Claudio Giardiello
sicuramente ha fatto un gesto estremo spinto dal’esasperazione e da uno
stato che pensa solo a strozzarti con tasse assurde spingendoti al
fallimento”, recita una delle pagine Fb prontamente apprestata per
onorare l’assassino. Insomma la solita lamentazione rituale di
padroncini e/o aspiranti tali scattata come un tic prima ancora che si
capisse come la tragica vicenda se ha qualcosa a che vedere con le tasse
è semmai con l’evasione delle stesse, con la spartizione di fondi neri
per milioni e con le liti suscitate da un’avidità senza remore. Il tutto
naturalmente maturato in quell’ambiente che fa della lamentazione
ontologica il proprio credo, l’alibi perfetto per auto assolversi da
ogni peccato, compresa la bancarotta fraudolenta, ma che non è poi
estraneo ai moduli commedia all’italiana, tanto che il protagonista
della vicenda era chiamato “Conte Tacchia” e i suoi complici, vittime,
sodali, il “Marchesino”, “Tinto Brass”, il “Predatore”, il
“Comandante”,
E’ più o meno lo stesso ceto che ormai da un quarto di secolo campa
alla grande sulle esternalizzazioni, sulle precarizzazioni, sullo
sfruttamento del lavoro, facendo della favola liberista – stato
inefficiente, privato efficiente – l’alfa e l’omega del proprio
orizzonte sub culturale. Invece anche questo evento casca loro addosso
come l’uccello morto delle auto menzogne: la sorveglianza del tribunale
di Milano è infatti affidata a privati (gli stessi che sorveglieranno
l’Expo) con i risultati che abbiamo visto. Non ci vuole molto a capire
che i margini di profitto e l’efficienza trovano sempre un equilibrio al
ribasso rispetto all’interesse pubblico.
Non c’è dubbio che reazioni così scoperte e scomposte siano il
sintomo di un accumulo di tensione che non riesce a trovare alcuna
sponda e naviga nel vuoto, che pianificare una strage in tribunale per
togliersi dalle grane sia un’assurda follia però in qualche modo
sostenuta da una progressiva perdita di prestigio dello stato e delle
sue istituzioni, che l’esaltazione di simili “eroi” anche se marginale
denuncia il drammatico scadimento e l’eclissi di ogni idea sociale
dietro il corpo nero della soluzione individuale e persino armata di
ogni problema. Anche questo è ciò che abbiamo consentito e voluto.
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