Se c’è una lezione nella lunga storia delle manie, panici e crolli
finanziari è che i banchieri non risolvono mai le proprie crisi:
semplicemente le spostano, passando eternamente ad altri la patata
bollente della catastrofe imminente e trasferendo sistematicamente
l’onere della correzione ai membri più deboli della società. In
conseguenza il modo in cui una particolare crisi è “risolta”
inevitabilmente finisce col gettare i semi della successiva. Questa
volta non è stato diverso.
In mesi recenti, in mezzo al crescente entusiasmo per un’imminente
ripresa globale, alcuni investitori e regolatori hanno cominciato a
esprimere preoccupazione per il gonfiamento di una serie di grandi bolle
speculative diffuse in tutta l’economia mondiale. Che si tratti dei
prezzi alle stelle delle proprietà a Londra, di un mercato a rialzi
record a Wall Street o di investitori che fanno a gara per finanziare
imprese energetiche e tecnologiche in frenesia negli Stati Uniti e
governi pesantemente indebitati in Europa, una cosa è chiara: ci
troviamo nel mezzo di ancora un’altra grossa frenesia speculativa.
Questa osservazione può parere strana ad alcuni. Non dovremmo ancora
essere nelle fasi finali dell’ultima crisi? Perché tutti vorrebbero
giocare d’azzardo il loro capitale se le opportunità di investimenti
redditizi sono ancora così rare? Bene, è precisamente questo il
problema: i prezzi delle attività sono oggi completamente scollegati dai
loro fondamentali sottostanti. La crisi del capitalismo d’azzardo è
stata rimandata con successo grazie al rigonfiamento artificiale da
parte delle banche centrali di un nuovo insieme di bolle mostro nei beni
immobili, nel mercato azionario e in quello obbligazionario. Mentre il
resto di noi permane nella “stagnazione secolare”, gli speculatori di
Wall Street vivono una giornata campale.
In altre parole le cause fondamentali della crisi finanziaria del
2008 non sono mai state veramente risolte; i decisori della politica
hanno semplicemente spostato alcuni dei sintomi (e neppure tutti!). I
governi hanno salvato banche insolventi con fondi dei contribuenti,
indebitandosi pesantemente nel farlo, e le banche centrali hanno dato il
via alle presse per pompare trilioni di dollari nel sistema
finanziario. Il risultato, in parole povere, è stato l’accumulo di un
vasto eccesso di liquidità nel settore finanziario e un’acuta carenza
dovunque, fuori da esso.
Ciò di cui ci stiamo occupando, dunque, è un esempio classico di ciò
cui David Harvey si riferisce come al problema dell’assorbimento del
surplus di capitale: un eccesso di capitale inattivo sta fianco a fianco
a un eccesso di manodopera e in qualche modo il sistema non è in grado
di combinare i due per generare risultati produttivi. Come ha dichiarato
un banchiere al Financial Times, “ciò che realmente muove
tutta questa attività è la disponibilità di capitale piuttosto che i
fondamentali sottostanti. Si riduce semplicemente a gente che ha bisogno
di impiegare il capitale”.
Gli investitori hanno affrontato questo problema di surplus di
capitale nello stesso modo in cui hanno fatto sempre: passando al
setaccio la superficie del pianeta in una ricerca frenetica di
rendimenti più elevati possibili. E fintanto che la domanda rimarrà
bassa e la crescita stagnante, i rendimenti degli investimenti
cosiddetti “produttivi” non saranno molto attraenti per il giocatore
d’azzardo medio. Così gli investitori si sono rivolti allo stesso tipo
di investimenti ad alto rischio/alto rendimento che, tanto per
cominciare, hanno causato il crollo finanziario del 2008.
Le conseguenze sono state impressionanti. Solo tre anni dopo che la
Grecia ha concluso la più vasta ristrutturazione del debito sovrano
della storia mondiale, i mercati obbligazionari sono nuovamente in
fiamme. In un’indagine britannica quasi quattro gestori di fondi
obbligazionari globali su cinque hanno manifestato preoccupazione per il
fatto che i titoli sono attualmente “più sopravvalutati che mai prima e
i titoli governativi sono la classe più sopravvalutata di tutte”. John
Plender del Financial Times accusa la BCE di alimentare direttamente questa bolla obbligazionaria mediante l’alleggerimento quantitativo:
I mercati dei titoli governativi dovrebbero essere luoghi
tranquilli, privi dei brividi e dei rovesci che caratterizzano le
azioni. Non più. Da quando le banche centrali hanno cominciato a
gonfiare i propri bilanci i titoli sovrani sono diventati eccitanti al
punto che gli investitori hanno acquistato più di due trilioni di
dollari di essi a rendimento negativo, principalmente in Europa. Persino
nella Depressione degli anni ’30 i tassi d’interesse non scesero mai
sotto lo zero. Siamo in presenza di quell’evento raro, la bolla del
mercato obbligazionario?
E non sono solo i debiti governativi che stanno esplodendo. Soltanto
l’anno scorso le imprese statunitensi hanno emesso l’importo
stupefacente di 1,43 miliardi di dollari di obbligazioni industriali; il
27 per cento in più di quelle collocate al picco dell’ultima bolla nel
2007. Di fatto si potrebbe sostenere la tesi ragionevole che la supposta
ripresa statunitense degli ultimi anni è stata basata interamente su
una bolla energetica – già scoppiata a causa del crollo del prezzo del
petrolio – e su una ancor più grossa bolla tecnologica. L’investitore
miliardario Mark Cuban ha recentemente avvertito che quest’ultima è
“peggiore della bolla tecnologica del 2000” e ora è anch’essa sull’orlo
dell’esplosione.
Quando crollerà il sovreccitato mercato statunitense delle
obbligazioni industriali trascinerà giù con sé’ inevitabilmente la
borsa. I valori delle azioni sono aumentati costantemente da quando
avevano toccato il fondo nel marzo del 2009 in seguito all’ultimo
crollo. I 500 titoli di Standard and Poor’s sono saliti di uno
stupefacente duecento per cento da allora, mentre il Nasdaq ha
recentemente superato i 5.000 punti per la prima volta dopo il crollo
della bolla punto-com del 2000. Il fatto che questi sei anni di mercato
al rialzo siano coincisi con la più profonda caduta economica dalla
Grande Depressione dovrebbe essere sufficiente a indurre a riflettere.
Infine, con ancora fresco il ricordo della crisi dei mutui ipotecari
spazzatura, gli investitori stanno già manifestando paure per lo
sviluppo di una nuova bolla immobiliare. Il Wall Street Journal segnala
che i prezzi delle proprietà nel Regno Unito sono un terzo superiori al
loro picco ante crisi, mentre anche le proprietà in Australia, Canada,
Svezia e Norvegia sono molto sopravvalutate. Città come San Francisco,
Miami, Londra, Berlino, Parigi, Milano e Amsterdam stanno tutte
assistendo a una rapida crescita dei prezzi delle case senza alcun
miglioramento parallelo dei fondamentali sottostanti. Persino i prezzi
delle proprietà in Spagna e in Irlanda risultano oggi di nuovo in
ascesa.
La conclusione è chiara: plus ça change, plus c’est la meme chose. Per
tutto questo tempo i decisori della politica hanno armeggiato ai
margini con misure fiacche, ma nessuno dei problemi sottostanti è stato
risolto. I governi, invece, hanno salvato i giocatori d’azzardo mentre
le banche centrali hanno gonfiato un nuovo insieme di bolle per
ammortizzarne la caduta, coprire le macerie e rimandare il momento
finale della resa dei conti. Tuttavia, giù nel mondo reale, gonfiare
bolle non può che portare a esso. Quasi sette anni dopo l’ultimo crollo
finanziario gli investitori e i decisori della politica sono già ben in
cammino verso il prossimo.
di Jerome Roos, dottore in ricerca in Economia Politica Internazionale presso l’Istituto Universitario Europeo e redattore fondatore di ROAR Magazine. Seguitelo su Twitter @JeromeRoos.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
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