L’obiettivo del Pd è far passare il
disegno di legge sulla scuola in tempi strettissimi. Ma la “buona
scuola” non piace a nessuno. Il programma degli scioperi
di Marco Vulcano, popoffquotidiano.it
Le lettere, per un noto frequentatore della “Ruota della fortuna” come il Presidente del Consiglio Renzi,
devono rimandare sempre a una qualche parola. “D” di Domodossola, era
il tormentone del programma di Mike Bongiorno. Ma anche “D” di
democratico, come il partito del premier, o “D” di dittatoriale, come la
pratica inaugurata dal Presidente del Consiglio prima in Commissione
Affari Costituzionali, poi contro gli scioperi degli insegnanti in
programma il 24 aprile e il 5 maggio.
Evidentemente non è bastata la cacciata dei “dissidenti” Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Alfredo D’Attorre, Barbara Pollastrini, Marilena Fabbri, Roberta Agostini e Marco Meloni dalla
Commissione Affari Costituzionali. Ora tocca al conflitto, contro una
categoria che non ci ha abituato a particolari contestazioni o prove di
forza. E forse quello che non è andato giù al Primo Ministro è proprio
questo.
Dopo aver cestinato senza appello né
discussione ogni emendamento avanzato dai rappresentanti del corpo
docenti di ogni ordine e grado, il Pd ha deciso di non stralciare dal
disegno di legge sulla scuola il piano per le assunzioni,
in modo da far votare al Parlamento il provvedimento in tempi
strettissimi. «Con questa decisione – dice una nota della Flc-Cgil – si
lasciano migliaia di precari in una situazione di incertezza e di disperazione ed
è a rischio la possibilità di procedere alle stabilizzazioni entro il
1° settembre. Un vero e proprio ricatto al Parlamento – prosegue
la nota
– per far approvare senza cambiamenti un cattivo disegno di legge che
riporta indietro la scuola pubblica italiana, calpesta i diritti, non
garantisce il lavoro a tutti i precari, cancella la contrattazione e
prefigura un’organizzazione scolastica autoritaria basata sul potere
assoluto dei dirigenti».
L’enorme accentramento di potere nelle
mani di quelli che un tempo erano i presidi e il licenziamento dei
precari della scuola sono infatti i punti fermi su cui si sta costruendo
una mobilitazione che si allarga di giorno in giorno. Il clima intorno
al Ddl sulla scuola si scalda, vengono organizzate gremite assemblee
serali in cui insegnanti, presidi, studenti, genitori, associazioni e
rappresentanti delle istituzioni discutono della riforma e il risultato è
inappellabile: la “buona scuola” non piace proprio a nessuno.
Così, davanti agli scioperi in programma
per il 24 aprile e il 5 maggio, il Governo sta pensando alla stesura di
una lettera che il Movimento Nazionale Insegnanti Precari ha definito «un’offesa all’intelligenza»,
che non basta a riformare un «DDL crudele, impietoso, feroce e
inumano», promettendo che lo scritto governativo sarà utilizzato dal
corpo docenti «come carta igienica, come lui (Renzi, ndr) sta facendo
con le nostre mozioni, con i nostri emendamenti e soprattutto con la
nostra dignità umana e professionale».
Il 24 aprile ci sarà lo sciopero indetto da Anief, Unicobas e Usb. Il 5 maggio
quello di Flc-Cgil, Uil scuola, Cisl scuola, Gilda-Unams,
Snals-Confsal. Piattaforme molto diverse, ma con un unico obiettivo: il
modello scolastico di questo governo.
Ass. Nazionale Altra Europa- mozione sulla scuola
Gli interventi sulla scuola di questi ultimi anni, da parte di
governi di centrodestra e di centrosinistra, si sono concentrati sugli
aspetti organizzativi e ordinamentali dell'istituzione scolastica, per
ridurla a macchina di disciplinamento, produttrice di conoscenze povere
per una manodopera docile, disponibile alla precarietà di un lavoro
usa-e-getta. E a una vita simile.
Hanno cercato di tecnicizzare il fare scuola, rendere le conoscenze
quantificabili, ridurre l'apprendimento a prestazione certificabile,
l'insegnamento a procedura burocratica tristemente impiegatizia. E
soprattutto si è pensato a tagliare risorse, mentre contemporaneamente
sempre aumentavano i finanziamenti alle scuole private. Non si è mai
riconosciuto il valore della laicità della scuola, la ricerca libera del
sapere come costruzione di sé e del mondo; la centralità della
conoscenza nei processi produttivi e sociali di oggi. Nessuna attenzione
per la scuola come campo di relazioni delicate in cui si incontrano
storie diverse, culture, generi e generazioni. Quella dimensione
pubblica della scuola che è costruzione di un mondo comune a partire da
punti di vista diversi. Elemento costitutivo della polis.
Il governo Renzi oggi fa un passo avanti. In un certo senso fa
paradossalmente “una cosa di sinistra”: realizza la ricomposizione di
tutto il mondo del lavoro, nella universale cancellazione dei diritti,
nella precarizzazione, nella riduzione dell'insegnamento a lavoro “sotto
padrone”. Tutte e tutti nella scuola, a regime, saranno assunti con
chiamata diretta e contratti di tre anni, con nomina del Dirigente – che
deve formare la sua squadra, per vincere la partita scegliendo da albi
territoriali on-line. Come fosse il fantacalcio. Chi non sarà scelto
probabilmente finirà nelle scuole di serie B, quelle che avrebbero
bisogno dei migliori insegnanti. Sempre sottoposto alla riconferma da
parte del Dirigente, al suo giudizio in merito alla qualità della
prestazione e alla ricompensa aggiuntiva da ricevere. Premio fedeltà.
Fine della libertà d'insegnamento.
Più che una aziendalizzazione, una organizzazione neo-feudale basata
sul vincolo personale e sull'ubbidienza al datore di lavoro. Il modello
Marchionne che fa scuola.
Perché questa dell'uomo-solo-al-comando deve essere una sorta di
ossessione per Renzi – che riserva al suo governo nel ddl una delega
pressoché assoluta su una quantità enorme di materie. Gli organi
collegiali della scuola sono considerati enti inutili, luoghi di
chiacchiere che fanno perdere tempo al Capo. Più o meno come il
parlamento della repubblica. Non è solo la scuola, infatti, ad essere di
fronte a un progetto che la nega alla radice – è la stessa democrazia
costituzionale.
Per noi è fondamentale riconoscere e valorizzare il sapere come
prerequisito della democrazia, il fare scuola come costruzione personale
di conoscenza in uno spazio pubblico, di relazioni profonde. È
importante che il sapere non sia solo confezionato, trasmesso e
misurato, messo al lavoro come miserabile merce, ma si apra a domande,
dubbi e desideri di ragazze e ragazzi. Che sia incentivato il lavoro
collettivo e collaborativo nella scuola. Significa pensare la democrazia
non come delega assoluta al Capo oppure inammissibile intralcio al suo
decisionismo. Ma come una forma di partecipazione che si alimenta di
relazioni umane e corpi intermedi, luoghi collettivi di racconto e
confronto. E proprio corpi – di donne e uomini, con la loro sensibilità e
la loro storia (tutta da rivedere per il genere maschile, anche come
possibile liberazione). È leggere nella scuola e nella società la
possibilità e il desiderio di uscire dalla miseria culturale e
antropologica del neoliberismo, portando nello spazio pubblico tutta
intera la propria vita e un bisogno di felicità politica che esiste ed è
forza sovversiva.
Per questo noi dell'Altra Europa sosteniamo la LIP, proposta di legge
di iniziativa popolare per la buona scuola della repubblica, che a
questa idea del sapere e dell'istruzione si ispira.
Per questo saremo nelle prossime settimane con le ragazze e i
ragazzi, gli uomini e le donne, che si mobiliteranno in Italia – nel
modo che auspichiamo più unitario possibile - perché il progetto del
governo di distruzione della scuola pubblica non si realizzi. Saremo
insieme a loro nelle strade e nelle piazze, sosterremo le loro
battaglie.
E a loro, alla loro generosità, va da subito il nostro ringraziamento.
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