Il lavoro negli anni della crisi: l'Italia paga il conto, la disoccupazione è cresciuta del 108%
Tra il 2007 e il 2014 nel nostro Paese è aumentata più del doppio
rispetto alla media Ue. In Germania invece è diminuita di oltre il 40
per cento. Gli effetti della duplice ondata di recessione sui giovani:
siamo diventati lo Stato membro con la più alta percentuale di 15-24enni
senza impiego e che non studiano, pure la Bulgaria ci ha superati.
Produzione industriale: ne abbiamo perso un quarto per strada
di MICHELA SCACCHIOLI, La Repubblica
ROMA - Ha eroso e corroso. Sottratto e impoverito. Prostrato e affamato. Tra il 2007 e il 2014, la crisi economica
ha sbranato il potere d'acquisto di molti lavoratori e razziato un
impiego ai tanti che, tutto a un tratto, si sono ritrovati loro malgrado
a spasso. Per raccontarne gli effetti attraverso i numeri, basti dire
che negli anni del 'collasso' la disoccupazione in Italia
è aumentata del 108,2 per cento: più del doppio rispetto alla media Ue.
Un perimetro, quello europeo, dentro al quale, invece, la Germania spicca per cifre di ben altro tenore:
lì, nel corso degli stessi anni, la disoccupazione è risultata
addirittura in calo del 41,18 per cento. Allo stesso tempo, però, in
Italia i precari sono aumentati del 3% mentre in Germania il numero è
calato di oltre 10 punti percentuali.
Sul versante under 30, poi, l'Italia non ne
esce affatto bene. Con la crisi, infatti, siamo diventati il Paese con
la più alta percentuale di giovani fra i 15 e i 24 anni che non lavorano
e non studiano (si chiamano Neet)
e siamo passati dal 16,2% del 2007 al 22,2% del 2013. Una crescita che
ha portato il Bel Paese a non avere eguali in tal senso e a superare
pure la Bulgaria che era l'unico - nel 2007 - a fare
peggio del dato italiano. Con una media europea del 13%, i soli Stati
membri Ue che sono riusciti a ridurre la percentuale dei Neet sono la Germania (-29%), Malta (-13%) e il Lussemburgo (-12%).
Certo, dopo aver varato il Jobs Act, oggi dal governo Renzi giungono parole necessariamente rassicuranti: "Credo - ha detto soltanto qualche giorno fa il ministro Giuliano Poletti
- che i primi numeri ci dicano che siamo di fronte ad un cambiamento
importante, per cui molte decine di migliaia di giovani che avevano
contratti precari stanno avendo contratti a tempo indeterminato". E
riferendosi ai dati più recenti ha proseguito: "Credo che questo sia un
buon segno, vuol dire che abbiamo colto un risultato almeno su questo
versante. Poi, sul fatto che ci sarà più occupazione, questo è molto più
figlio delle dinamiche dell'economia".
Di sicuro c'è che le conseguenze della crisi che ha iniziato a colpire
l’Europa fra il 2007 e il 2008 - il 2009 è stato poi ribattezzato l'annus horribilis
- sono sempre in costante evoluzione: dall’instabilità delle piazze
finanziarie alla crescita del debito pubblico passando per la crisi del
mercato occupazionale, sono molteplici gli elementi che hanno reso gli
ultimi otto anni realmente difficili. E se da un lato, a livello
europeo, sono stati soprattutto i Paesi più instabili a pagare la crisi
economica, nel contesto nazionale interno sono state le regioni
economicamente più forti a subire il contraccolpo più incisivo. Secondo
l'analisi di Openpolis per Repubblica.it, un esempio evidente è il dato sulla disoccupazione in Germania
(in calo) a fronte di una media Ue in aumento del 41,67 per cento (è
passata dal 7,2% del 2007 al 10,2% del 2014). Viceversa: se in Italia le
regioni del sud hanno vissuto tutte un peggioramento della
disoccupazione (di circa il 100%), in alcune zone del centro nord le
ripercussioni calcolate sull'intero periodo sono state connotate da
numeri molto più elevati. Tipo: la Lombardia +163%, il Piemonte +174,38% e l'Emilia-Romagna +286,06 per cento. Il nostro Paese, invece, è fra quelli che hanno subìto più danni: oltre
all'incremento della disoccupazione, anche il calo del 4,78%
dell'occupazione che dal 62,8 del 2007 è passata al 59,8 del 2013 e poi
ancora giù al 55,7% nel 2014: un numero che è due volte superiore alla
media europea del 68,4 (e dove la diminuzione è stata di circa il 2 per
cento) e che ci racconta anche altro. Il nostro tasso di occupazione,
infatti, è di quasi 15 punti sotto l'obiettivo europeo del 70% che viene
indicato come punto di tenuta per un mercato del lavoro 'sano' e per
fornire equilibrio al sistema del welfare. Fanalino di coda del Vecchio
Continente è la Grecia che dal 2007 al 2013 ha visto il tasso di occupazione crollare del 19,6 per cento.
Il raffronto tra disoccupazione e occupazione (e le loro relative
variazioni nel corso della crisi) restituisce una foto in cui spiccano Malta, Germania e Polonia:
sono gli unici tre Paesi che dal 2007 al 2014 hanno segnato tanto una
crescita nell'occupazione quanto una diminuzione della disoccupazione.
Per quel che riguarda l'occupazione, hanno avuto - nell'ordine - un
aumento del 10,58%, del 6,04% e del 3,51 per cento.A livello regionale - in Italia
- la situazione non è delle più edificanti. La disoccupazione è
aumentata ovunque con nessuna eccezione. L'elemento da sottolineare è
come il sud, già fanalino di coda, sia stato la macro area che ha subìto
meno la 'devastazione' della crisi in termini percentuali. Le regioni
del nord, infatti, sono da sempre quelle con i migliori risultati in
termini di occupazione e disoccupazione. In Emilia-Romagna, ad esempio, la disoccupazione è passata dal 2,08 a un tasso dell'8,03 in un crescendo continuo e vertiginoso. In Piemonteè cresciuta dal 4,02 all'11,03, in Umbriadal 4,06 all'11,03 (+171%),in Lombardia dal 3,04 all'8,02, in Friuli Venezia Giulia dal 3,04 all'8 (+163%), in Toscana dal 4,04 al 10,01 (+147%). In Campania, Calabria e Sicilia
si sfonda e si supera la soglia del 20% ma va anche detto che tutte e
tre partivano già da un tasso a due cifre (ben oltre il 10). Ma ancora: il 95% delle regioni italiane è stato anche protagonista,
nello stesso periodo, di una riduzione del tasso di occupazione.
Solamente il Trentino Alto Adige non registra perdite
in tal senso con un dato iniziale - il 68% - rimasto invariato nel corso
degli anni. Anzi: tra il 2008 e il 2012 quel tasso è salito a quota 69
per cento. Inoltre, ben cinque regioni italiane mostrano una cifra che è
di cinque volte superiore alle media europea: si tratta di Puglia, Molise, Campania, Calabria e Sicilia,
tutte con una riduzione che supera il 10 per cento. La profonda
spaccatura territoriale tra nord e sud ci dice che il tasso di
occupazione resta quasi europeo al nord (supera il 60%) e scende sotto
il 50% nelle regioni meridionali (in Calabria, Campania e Sicilia è al
39%).
Nel merito di chi patisce maggiormente il
colpo ci sono i giovani. A livello europeo, la disoccupazione giovanile è
aumentata mediamente del 50 per cento. Era al 15,6% nel 2007 ed è
arrivata al 23,5 nel 2013 quando due Paesi tentavano di andare avanti
con oltre la metà dei 15-24enni in cerca di occupazione senza alcun
lavoro: la Grecia (tasso al 58%) e la Spagna (tasso al 55%). Sempre in Europa sono da segnalare i picchi massimi di incremento nel tempo con Cipro a +281% e Spagna a +206 per cento.
L'Italianon se la passa certamente meglio, con un
aumento del 96% della disoccupazione giovanile (dal 20,4 del 2007 al 40%
del 2013). Con il dato in aumento in quasi tutti gli Stati membri, Malta e Germania segnano una contrazione dei giovani disoccupati, rispettivamente del 3,7% e del 34,45 per cento.
A livello locale aumento costante in tutte e 20 le regioni, con il picco minimo in Sicilia (+50%) e quello massimo nelle Marche
(+300%). Ma anche in questo caso, le regioni del sud - che già prima
della crisi avevano livelli alti di disoccupazione giovanile - hanno
testimoniato una variazione percentuale inferiore rispetto alle regioni
del centro e del nord. Per fare qualche esempio, territori come il Piemonte (+200%), Emilia-Romagna (+281%), Veneto (+250%) hanno avuto un aumento maggiore di Sicilia (+50%), Basilicata (+51%) e Campania (+69%).
Ma oltre a quelli in cerca di lavoro,
un'altra categoria di giovani è finita per diventare protagonista di
questa fase storica: i Neet. Stiamo parlando di quei ragazzi fra i 15 ed
i 24 anni che non cercano lavoro e non sono inseriti nel sistema
scolastico. Con la crisi, l'Italia è diventato il Paese con la
percentuale più alta di Neet, ben il 22,2% (nel 2007 era al 16,2 per
cento). Nessuno Paese in Europa fa peggio di noi, con una media per gli
altri Stati Membri ferma al 13 per cento.
Sempre sui Neet, le regioni italiane sono tutte - tranne una, il Trentino Alto-Adige - sopra la media europea, con la Sicilia
che ha il 33% dei giovani fra i 15 ed i 24 anni fuori sia dal mercato
del lavoro sia dai circuiti scolastici. Ancora una volta, sono le
regioni del centro e del nord che hanno registrato il peggioramento più
vistoso, come per esempio l'Abruzzo (+144,44%), l'Emilia-Romagna (+125%) e l'Umbria (+111%).
Di sicuro, poi, c'è che la doppia ondata di
recessione ha finito col lasciare sul tappeto anche la capacità
produttiva italiana. Insieme alla Spagna siamo in cima
alla graduatoria di chi ha perso livelli produttivi: ha lasciato sul
terreno un quarto del prodotto industriale, mentre l'economia iberica ne
ha perso addirittura un terzo. Va detto che la crisi ha colpito i
settori produttivi in maniera 'selettiva' e a fronte di crolli verticali
(emblematico è il caso dell'edilizia e delle costruzioni), hanno retto
meglio i comparti tirati dall'esportazione che per certi versi è stata
come una scialuppa di salvataggio. Ma nel complesso, dal 2007 in avanti
la produzione industriale in Italia è calata del 24 per cento. Un crollo
che ha colpito anche settori come elettrodomestici, auto e calzature
che hanno rappresentato a lungo la spina dorsale dell'industria
italiana. Di contro, c'è chi, come la Germania, ha già recuperato mentre Francia e Regno Unito si collocano in una situazione mediana
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