Come
accadde nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, anche questa
campagna elettorale ha tutte le caratteristiche per essere una sorta di
vera e propria Costituente di quella che possiamo definire la Terza
Repubblica o la Prima dell’era dell’Europa post compromesso
sociale. Allora fu Berlusconi a cambiare le carte in tavola e a
costruire apparentemente in poco tempo, ma in realtà con materiali
accumulati nel tempo, quella forza che ha caratterizzato il cosiddetto
bipolarismo italiano. Ora è Monti che prova a sparigliare ma,
probabilmente, non riuscirà nella stessa impresa che vide il Cavaliere
divenire il più votato nel giro di una sola competizione alle urne.
In realtà infatti la mossa più
significativa in questo avvio di posizionamento l’ha fatta Bersani. E
l’ha fatta non a caso proprio sul terreno della collocazione europea che
e’ il vero dominus. Prima ha posto al centro della carta d’intenti
delle primarie l’accettazione dei Trattati, e cioe’ del Fiscal Compact,
chiedendo addirittura una sottoscrizione popolare e plebiscitaria del
vincolo esterno. Poi si e’ espresso in varie interviste alla stampa
estera a sottolineare questa natura della sua coalizione di governo.
Ma poi con l’intervista al Financial
Times ha fatto un ulteriore salto di qualità schierandosi sul punto più
caldo delle decisioni da assumere in Europa e cioè la realizzazione del
super commissario al controllo dei bilanci nazionali. Bersani si e’
detto d’accordo e cosi’ facendo ha immesso un nuovo tassello, decisivo,
nel suo profilo. La proposta del super commissario era stata infatti
avanzata da un ministro della Merkel, il super conservatore Schauble.
Aveva preso in contropiede il Presidente francese Hollande che aveva
lanciato un’offensiva mediatica, con interviste rilasciate a 5 grandi
giornali europei, per rilanciare la proposta classica dei socialisti
europei di una più forte integrazione dei Paesi dell’area euro.
Schauble aveva parlato in Parlamento
tedesco per dire che si ci vuole più integrazione ma che questa si fa a
partire da una maggiore rigidità sulle politiche di austerità che vanno
imposte con il super commissario con potere di veto sui bilanci
nazionali. Si era creata anche un poco di suspense sulla copertura da
parte della Merkel di tale proposta. Poi era arrivata la investitura
solenne della Cancelliera e ad Hollande non era rimasta che la strada di
una precipitosa ritirata di fatto bloccando al Consiglio Europeo la
proposta tedesca.
Proposta tedesca che invece riceveva
l’avallo della Spd e che ora ottiene il via libera di Bersani. Questa
mossa, solo apparentemente specialistica, in realtà la dice lunga su
quale sia lo stato dell’arte del socialismo europeo oggi e cioè quello
di una generale subalternità al quadro dominante in Europa e per giunta
con divisioni profonde in base alle collocazioni nazionali. E dice che
la coalizione del PD sceglie di stare dentro il quadro tedesco.
Stare dentro il quadro tedesco significa
in realtà optare per quella che in Germania e’ nei fatti una grande
coalizione sostanziale e, a volte, anche formale come potrebbe
realizzarsi nuovamente dopo le prossime elezioni tra Cdu e Spd.
Significa puntare su una cointeressenza dei due Paesi ad una comune
evoluzione dell’Europa fin qui clamorosamente smentita da tutte le
scelte delle classi dirigenti di quel Paese che sono uno degli
architravi dell’attuale Europa monetaristica e tecnocratica.
Pensare poi di trasferire la cosiddetta
concertazione germanica in Italia vuol dire da un lato non vedere come
essa sia ormai trasformata in un vero patto corporativo ai danni dei più
deboli, in Europa e in Germania stessa. E dall’altro non vedere che la
struttura produttiva e sociale italiana, a partire dall’enorme
differenza di grandezza media delle imprese, non consente aggiustamenti
concertativi e settoriali se non con la perdita di quei capisaldi
contrattuali che hanno consentito le conquiste sociali nel nostro Paese.
Per giunta pensare che si potranno
accrescere le dimensioni produttive nel nostro Paese a valle della vera e
propria guerra mercantilistica in corso in Europa, con lo strapotere
del capitale finanziario e le politiche di austerità imposta e’ pura
velleità.
Sta di fatto pero’ che la determinazione
con cui il PD ha scelto la real politik europea, accompagnando cioè la
nostra integrazione subalterna nell’attuale quadro di dominio, compresa
la dominanza tedesca, e’ la carta che gli fa occupare con forza la pole
position verso il governo. Del resto anche la bocciatura della super
tassa, oltre al crollo del consenso, dicono che l’esempio di Hollande va
bene per i comizi ma non per governare.
In realtà, a valle della austerità, lo
spazio per politiche cosiddette eque e’ sostanzialmente pura
declamazione, questa e’ la dura verità. E qui arriva Monti e la sua
agenda. Che poi altro non e’ che l’adattamento italiano di quelle cose
che l’allora Commissario Europeo alla concorrenza scrisse nel suo Libro
Verde sulla riforma del welfare. E cioè sulla fuoriuscita da quel
modello sociale europeo che Mario Draghi ha detto essere il vero
obiettivo delle politiche di austerità. Diciamo insomma che tra il PD e
Monti c’è una divisione dei ruoli. Il PD indica la collocazione generale
del Governo futuro e Monti esplicita le conseguenze sociali di quella
collocazione. Come in tutta Europa poi c’ e’ una sorta di competizione
nella rappresentanza di questa politica ma dentro una sostanziale grande
coalizione politica, che poi spesso e’ l’altra faccia del piccolo
consenso sociale.
La novità italiana di questa fase è che
il dispiegarsi di essa sta disarticolando il vecchio bipolarismo e
ridefinendo una sorta di multipolarismo nuovo. La cosa che per altro
colpisce è che il partito più tedesco, il PD, prenda tutto dalla
Germania ma non abbia voluto prendere il sistema elettorale. Il che la
dice lunga sulla fragilità che in realtà il PD avverte per la sua
politica e che lo porta a scelte di autotrinceramento, di contrasto alla
complessità.
In fondo se non c’e più il
centrosinistra, sostituito dalla coalizione PD, e’ anche perché
l’autorevolezza, o l’autoritarismo, del quadro di comando e’ il
connotato decisivo che il PD propone di sé per essere scelto a
governare. E infatti il principio di scelta a maggioranza stravolge
qualsiasi idea di coalizione, che era stata fondativa del
centrosinistra.
Ma non si accede neanche al
riconoscimento del multipolarismo, che ad esempio in Germania c’e’ con
l’esistenza di Linke e Gruenen, perché nei fatti ritenuto una sorta di
lusso che i tedeschi si possono permettere ma l’Italia no. Dunque, per
quel che si può, subordinazione o resa all’impotenza.
D’altro canto però la ri-articolazione
multipolare avviene sul lato delle forze conservatrici, con una parte di
borghesia, quella berlusconiana da un verso e quella leghista da
un’altro, che provano a resistere al nuovo ordine. Mentre le forze
cattoliche del centro montiano lo reinterpretano secondo la propria
filiera di sussidiarismo familistico e confessionale sostitutivo del
welfare.
Sta di fatto che questo processo di
rottura del bipolarismo della Seconda Repubblica è diventato un elemento
reale dentro il quadro di imposizione di dominio che discende dalla
fase europea. Ed apre una fase nuova anche a sinistra. Quando poco più
di un anno fa il gruppo di intellettuali che lanciava il soggetto
politico nuovo collocava la sua riflessione sul bisogno di una
democrazia di cittadinanza nel contesto di una critica radicale di
questa Europa e dei due poli che la sostenevano, erano in pochi a
pensare che si sarebbe potuta riaprire la possibilità di una
collocazione autonoma dal PD una volta che Sel si consegnava alla
coalizione da esso disegnata.
Sta di fatto che ciò invece si e’
determinato. Ed e’ una cosa comunque importante. Naturalmente nel mentre
vedo realizzarsi uno scenario che avevo immaginato, sono molto colpito
dalle contraddizioni che si aprono, e che rischiano di penalizzarci
fortemente nella qualità delle soggettività che quello spazio potrebbero
far vivere. Contraddizioni da parte di chi forse ancora non ha maturato
bene il perché la strada su cui aveva puntato, e cioè l’iscriversi alla
coalizione del PD come se fosse ancora il vecchio centrosinistra, al
punto da partecipare a quelle primarie che, purtroppo, avallavano il
Fiscal Compact, si è dimostrata velleitaria e magari pensa ancora che
ciò che stiamo vivendo sia transitorio o tattico. E contraddizioni da
chi non coglie come la rigenerazione democratica e civica sia un
elemento decisivo della ricostruzione di una nuova soggettività
antagonista.
Antagonista a questo ordine europeo ma
anche a questo ordine italiano che ha visto poteri e nomenclature
traghettarsi dalla Prima alla Terza Repubblica rendendosi disponibili a
rompere i compromessi sociali progressivi assai più che i patti
scellerati che hanno gravato e gravano sulla nostra storia. Per questo
il terreno di costruzione di Rivoluzione Civile mi era apparso
praticabile nel complesso dei suoi apporti. A patto di metterci uno
spirito costituente adeguato alla fase che viviamo.
Ciò che sta accadendo mi parla appunto
di contraddizioni che possono ridurre, anche molto, la portata del
progetto. Ma io vorrei che le affrontassimo con onestà intellettuale e
senso di responsabilità, provando a fare il meglio ma evitando di
gettare il tutto, magari anche con passi indietro che dicano che non
siamo di fronte a quello che volevamo, ma provando a guardare comunque
al futuro. Cioè quello che non abbiamo fatto con quella Sinistra
Arcobaleno che a volte mi fa ormai pensare a Malussen, il capro
espiatorio dei libri di Pennac.