di Checchino Antonini
http://popoff.globalist.it
«Le rivoluzioni nascono dal
basso e sono capaci di abbattere dittature che sembravano imbattibili»,
ha detto la ragazza tunisina, in Italia da vent'anni, che s'è
politicizzata nell'intervento a sostegno di chi scappava dal suo paese.
Sogna un Mediterraneo diverso e ha deciso di farlo con questa gente che
affolla un teatro romano, quartiere Testaccio, e nemmeno riesce a starci
dentro tutta, che ascolta gli interventi nel foyer o in streaming
(maledicendo gli inserzionisti pubblicitari che spezzano gli
interventi). Cambiare si può e si deve, ripete la gente che si alterna
al microfono dopo l'introduzione di Livio Pepino, in attesa della volta
di Ingroia che scioglierà le riserve e annuncerà quale sarà la forma
della sua internità al Quarto Polo, al magma che cerca una forma per
costruire l'autonomia e l'alterità a Monti e al Montismo. «Il luogo che
ancora non c'è ma che stai costruendo», dirà Vittorio Agnoletto, uno dei
promotori, dei 70, alcune ore dopo. L'esatto contrario degli Stati
generali della sinistra di cinque anni fa, a pochi chilometri da qui,
come ricorda il fiorentino Massimo Torelli. Quello era una fine, questo
dovrebbe essere un nuovo inizio.
Al Teatro Vittoria ha preso parola la composizione sociale e politica molteplice, policroma, fatta di «vite in affanno e inascoltate» come le chiama la dissidente sellina Monica Pasquino: dall'operaio comunista e della Fiom, Antonio De Luca di Pomigliano al suo collega e compagno Ciccio Brigati dell'Ilva di Taranto fino al sindaco di Napoli De Magistris passando per giornalisti (Dino Greco, che annuncia la riapertura di Liberazione, Oliviero Beha, Gilioli, Guadagnucci e Flores D'Arcais), maestri (Andrea Bagni), operatori sociali come Andrea Morniroli, attivisti No Tav e No dal Molin (Gianni De Masi e Cinzia Bottene), amministratori locali (Finiguerra, Alzetta, Clizia Nicolella, Bengasi Battisti e Sandro Medici che connette a questa nuova impresa la sua campagna per Roma), professori come Paul Ginsborg, Tonino Perna o Ugo Mattei o Alberto Lucarelli che è anche assessore di De Magistris ai beni comuni e ha reclamato un audit sul debito, attori e musicisti come Moni Ovadia e Marco Rovelli (via video), sindacalisti come Tiziano Rinaldini e poi Monica Pasquino, Eleonora Forenza, Piero Maestri, Giuseppe De Marzo, Mariano De Palma dell'Uds e tanti altri. Il penultimo è un poliziotto del Silp stufo di essere usato per trasformare il conflitto in questione di ordine pubblico, «la legge deve proteggere i deboli e comunque la solidarietà è più importante della legalità», dice in sintesi.
Comunisti, femministe, arancioni di Alba, attivisti di movimento, ambientalisti, fautori di nuovo civismo, "cani sciolti" si sarebbe detto un tempo, lavoratori, pensionati, precari. Si condensano nel dibattito i punti in comune racchiusi nella lettera che ha convocato questa platea e quell'eccedenza che quasi assedia il teatro testaccino, affiorano pure le distanze e i punti di frizione su cui il dibattito continuerà anche oltre questo primo appuntamento, nei nodi territoriali, nella prossima assemblea tra venti giorni. Anche la campagna di De Magistris cominciò con la pioggia, ora quell'acqua è davvero pubblica (si può avere un pubblico efficiente e trasparente) e l'ex magistrato è sindaco a Napoli. Anche lui aveva giornali, padroni, camorra, Sel e Pd, tutti contro. «Invece ci abbiamo creduto, queste idee sono la maggioranza del Paese, bisogna organizzarle. Berlusconi non è più credibile ma il neoliberismo esiste. Mi piace questa riunione perché non ha proprietari - dice ancora - l'autonomia è fondamentale, non si vince facendo foto, pensando alle alleanze». Ci sta, De Magistris, e punta a vincere perché per lui la rivoluzione «si può fare governando». E' evidente che pensa a un rapporto col centrosinistra. Il problema è se avviarlo prima (qui dentro non ci pensa nessuno) o dopo le elezioni cosa che caldeggia invece Ugo Mattei. Oppure per niente, come spiega Piero Maestri, no war milanese e figura di primo piano dentro Sinistra critica: «Cambiare si può, ce lo dicono i movimenti, a Taranto, tra gli studenti, i no tav, ma la necessità di cambiamento chiede che prima e dopo le elezioni si resti fuori e contro il centrosinistra perché siamo alternativi». Maestri ha posto anche seri dubbi sulla scelta della suggestione arancione. A Milano, dove lui vive, quel colore è «il volto umano del centrosinistra».
A tenere insieme tutti ci sono il rifiuto del neoliberismo, la difesa dei beni comuni, il rigetto del leaderismo, la consapevolezza di essere il 99%, di essere maggioranza, di dover rimettere al centro un'idea di mondo diverso, magari partendo dal rifiuto di pagare il debito, la ricerca di una credibilità, la costruzione di una «campagna di liberazione» (Torelli) per chi non vuole restare schiacciato dalla falsa alternativa tra Grillo e l'alleanza Pd-Sel.
Ci sono molte differenze da far convivere: la sinistra, diceva Volponi, è troppo fratricida (allora Sando Medici chiede di trovare nuove forme di fraternità) ma anche quando vuole fare un parricidio, spesso, sbaglia bersaglio. Così, sembra a molti fuoriluogo il grido di un'attivista civica, Marzia, contro le «maledette bandiere» e per «lasciare a casa i partiti». Altra cosa è la presa di distanza dall'Arcobaleno, dai tatticismi, dalle resistenze delle burocrazie. Prima di lei, la ragazza tunisina aveva ringraziato il Prc e i centri sociali per avere sostenuto la sua battaglia senza metterci il cappello, dopo di lei, Dino Greco e altri ricorderanno che non tutti i gatti sono bigi e che ci sono soggetti organizzati che si sono sempre battuti senza ambiguità contro il montismo. L'esito è tutt'altro che scontato ma tra quelli possibili è interessante quello di «una Syriza italiana che si candidi a governare», dirà Agnoletto avvertendo che per essere credibili si dovrà «portare a casa la vittoria delle firme per i referendum». «Mancano ancora molti pezzi di società civile, non basta un appello e un'assemblea cerchiamo ancora contatti nei territori», avverte Lorenzo Guadagnucci.
«Se c'è polverizzazione dalla polvere si può ripartire, dall'invenzione di sé - chede Gianna De Masi, No tav in Val Sangone - non voglio più vergognarmi di dire che faccio politica». Flores D'Arcais, direttore di Micromega, è il più scettico, chiede una leadership incontestabile, teme che si spacchi il capello in quattro. Ma siccome «oggi non ce l'abbiamo» (dalla platea si grida: «Non la vogliamo!») secondo lui il «il Pd inizierà a malgovernare e Grillo a fare cattiva opposizione». «Solo allora potremo cominciare, oggi rischieremmo di rimanere un episodio». Ma Roberta di Parma gli ricorda che nella sua città l'amministrazione grillina sta facendo scelte tutt'altro che coraggiose, che lo spazio c'è già per dare voce a un'indignazione crescente.
E' venuta fuori l'irriducibilità alle primarie anche di un pezzo di Sel o di chi (come Action) aveva visto con interesse quella sigla. Monica Pasquino ha voluto spiegare che il deficit di iniziativa politica di Sel è legato alla scarsa qualità della sua democrazia interna e che è «inaccettabile la logica del doppio livello, da un lato l'affabulazione pubblica dall'altro la realpolitik: che questo nostro progetto non si faccia rincorrere e non rincorra il centrosinistra». Infatti sarà una questione di «ambizione», come ha segnalato Paul Ginsborg (che non si candiderà): «non stare un po' più a sinistra di Vendola ma reinventare la politica». «La nostalgia di un rapporto con il centrosinistra sarebbe la fine di Cambiare si può», ha detto anche Giovanni Palombarini, magistrato in pensione. Attesissimo Antonio Ingroia parlerà alle tre meno dieci evitando di sovrapporre la propria immagine a quella del teatro "policromo" e plurale: «Dell'Italia rimangono le rovine, è un paese implacabile coi più deboli, indulgente coi soliti noti, schiava delle reti criminali (mafie, sistemi di corruzione) e non c'è bisogno di un leader salvifico, bisogna pensare possibile quello che si ritiene impossibile». Ad esempio tagliare di netto con questa classe politica. Nel prossimo articolo le conclusioni di Marco Revelli.
Al Teatro Vittoria ha preso parola la composizione sociale e politica molteplice, policroma, fatta di «vite in affanno e inascoltate» come le chiama la dissidente sellina Monica Pasquino: dall'operaio comunista e della Fiom, Antonio De Luca di Pomigliano al suo collega e compagno Ciccio Brigati dell'Ilva di Taranto fino al sindaco di Napoli De Magistris passando per giornalisti (Dino Greco, che annuncia la riapertura di Liberazione, Oliviero Beha, Gilioli, Guadagnucci e Flores D'Arcais), maestri (Andrea Bagni), operatori sociali come Andrea Morniroli, attivisti No Tav e No dal Molin (Gianni De Masi e Cinzia Bottene), amministratori locali (Finiguerra, Alzetta, Clizia Nicolella, Bengasi Battisti e Sandro Medici che connette a questa nuova impresa la sua campagna per Roma), professori come Paul Ginsborg, Tonino Perna o Ugo Mattei o Alberto Lucarelli che è anche assessore di De Magistris ai beni comuni e ha reclamato un audit sul debito, attori e musicisti come Moni Ovadia e Marco Rovelli (via video), sindacalisti come Tiziano Rinaldini e poi Monica Pasquino, Eleonora Forenza, Piero Maestri, Giuseppe De Marzo, Mariano De Palma dell'Uds e tanti altri. Il penultimo è un poliziotto del Silp stufo di essere usato per trasformare il conflitto in questione di ordine pubblico, «la legge deve proteggere i deboli e comunque la solidarietà è più importante della legalità», dice in sintesi.
Comunisti, femministe, arancioni di Alba, attivisti di movimento, ambientalisti, fautori di nuovo civismo, "cani sciolti" si sarebbe detto un tempo, lavoratori, pensionati, precari. Si condensano nel dibattito i punti in comune racchiusi nella lettera che ha convocato questa platea e quell'eccedenza che quasi assedia il teatro testaccino, affiorano pure le distanze e i punti di frizione su cui il dibattito continuerà anche oltre questo primo appuntamento, nei nodi territoriali, nella prossima assemblea tra venti giorni. Anche la campagna di De Magistris cominciò con la pioggia, ora quell'acqua è davvero pubblica (si può avere un pubblico efficiente e trasparente) e l'ex magistrato è sindaco a Napoli. Anche lui aveva giornali, padroni, camorra, Sel e Pd, tutti contro. «Invece ci abbiamo creduto, queste idee sono la maggioranza del Paese, bisogna organizzarle. Berlusconi non è più credibile ma il neoliberismo esiste. Mi piace questa riunione perché non ha proprietari - dice ancora - l'autonomia è fondamentale, non si vince facendo foto, pensando alle alleanze». Ci sta, De Magistris, e punta a vincere perché per lui la rivoluzione «si può fare governando». E' evidente che pensa a un rapporto col centrosinistra. Il problema è se avviarlo prima (qui dentro non ci pensa nessuno) o dopo le elezioni cosa che caldeggia invece Ugo Mattei. Oppure per niente, come spiega Piero Maestri, no war milanese e figura di primo piano dentro Sinistra critica: «Cambiare si può, ce lo dicono i movimenti, a Taranto, tra gli studenti, i no tav, ma la necessità di cambiamento chiede che prima e dopo le elezioni si resti fuori e contro il centrosinistra perché siamo alternativi». Maestri ha posto anche seri dubbi sulla scelta della suggestione arancione. A Milano, dove lui vive, quel colore è «il volto umano del centrosinistra».
A tenere insieme tutti ci sono il rifiuto del neoliberismo, la difesa dei beni comuni, il rigetto del leaderismo, la consapevolezza di essere il 99%, di essere maggioranza, di dover rimettere al centro un'idea di mondo diverso, magari partendo dal rifiuto di pagare il debito, la ricerca di una credibilità, la costruzione di una «campagna di liberazione» (Torelli) per chi non vuole restare schiacciato dalla falsa alternativa tra Grillo e l'alleanza Pd-Sel.
Ci sono molte differenze da far convivere: la sinistra, diceva Volponi, è troppo fratricida (allora Sando Medici chiede di trovare nuove forme di fraternità) ma anche quando vuole fare un parricidio, spesso, sbaglia bersaglio. Così, sembra a molti fuoriluogo il grido di un'attivista civica, Marzia, contro le «maledette bandiere» e per «lasciare a casa i partiti». Altra cosa è la presa di distanza dall'Arcobaleno, dai tatticismi, dalle resistenze delle burocrazie. Prima di lei, la ragazza tunisina aveva ringraziato il Prc e i centri sociali per avere sostenuto la sua battaglia senza metterci il cappello, dopo di lei, Dino Greco e altri ricorderanno che non tutti i gatti sono bigi e che ci sono soggetti organizzati che si sono sempre battuti senza ambiguità contro il montismo. L'esito è tutt'altro che scontato ma tra quelli possibili è interessante quello di «una Syriza italiana che si candidi a governare», dirà Agnoletto avvertendo che per essere credibili si dovrà «portare a casa la vittoria delle firme per i referendum». «Mancano ancora molti pezzi di società civile, non basta un appello e un'assemblea cerchiamo ancora contatti nei territori», avverte Lorenzo Guadagnucci.
«Se c'è polverizzazione dalla polvere si può ripartire, dall'invenzione di sé - chede Gianna De Masi, No tav in Val Sangone - non voglio più vergognarmi di dire che faccio politica». Flores D'Arcais, direttore di Micromega, è il più scettico, chiede una leadership incontestabile, teme che si spacchi il capello in quattro. Ma siccome «oggi non ce l'abbiamo» (dalla platea si grida: «Non la vogliamo!») secondo lui il «il Pd inizierà a malgovernare e Grillo a fare cattiva opposizione». «Solo allora potremo cominciare, oggi rischieremmo di rimanere un episodio». Ma Roberta di Parma gli ricorda che nella sua città l'amministrazione grillina sta facendo scelte tutt'altro che coraggiose, che lo spazio c'è già per dare voce a un'indignazione crescente.
E' venuta fuori l'irriducibilità alle primarie anche di un pezzo di Sel o di chi (come Action) aveva visto con interesse quella sigla. Monica Pasquino ha voluto spiegare che il deficit di iniziativa politica di Sel è legato alla scarsa qualità della sua democrazia interna e che è «inaccettabile la logica del doppio livello, da un lato l'affabulazione pubblica dall'altro la realpolitik: che questo nostro progetto non si faccia rincorrere e non rincorra il centrosinistra». Infatti sarà una questione di «ambizione», come ha segnalato Paul Ginsborg (che non si candiderà): «non stare un po' più a sinistra di Vendola ma reinventare la politica». «La nostalgia di un rapporto con il centrosinistra sarebbe la fine di Cambiare si può», ha detto anche Giovanni Palombarini, magistrato in pensione. Attesissimo Antonio Ingroia parlerà alle tre meno dieci evitando di sovrapporre la propria immagine a quella del teatro "policromo" e plurale: «Dell'Italia rimangono le rovine, è un paese implacabile coi più deboli, indulgente coi soliti noti, schiava delle reti criminali (mafie, sistemi di corruzione) e non c'è bisogno di un leader salvifico, bisogna pensare possibile quello che si ritiene impossibile». Ad esempio tagliare di netto con questa classe politica. Nel prossimo articolo le conclusioni di Marco Revelli.
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