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Il decreto del governo salva Riva ha ottenuto un consenso di unità
nazionale, compresi Camusso e Landini. Vediamo prima di tutto il fatto.
All'Ilva è in corso d'opera un grave reato contro la salute dei cittadini e dei lavoratori: la magistratura interviene per fermarlo e il governo interviene per fermare la magistratura. Questa la sostanza giuridica del decreto di cui speriamo la Corte Costituzionale rilevi la palese incostituzionalità: in un paese in cui tutta la classe politica si riempie la bocca delle parole regole e legalità, un decreto come questo si iscrive alla più pura tradizione berlusconiana di cambiare la legge per fermarne l'applicazione quando sono colpiti interessi potenti.
In questo caso si giustifica l'atto affermando che gli interessi in campo non sono quelli del padrone, ma dei lavoratori che rischiano il posto e del paese che rischia di perdere una azienda strategica. Naturalmente si afferma che la salute viene comunque salvaguardata e che quindi conflitto non c'è con l'iniziativa della magistratura, che viene invitata a capire.
Qui bisogna essere chiari: o la magistratura ha torto, il rischio non è così grave e la sua iniziativa è avventata, oppure ha ragione. Se la magistratura avesse torto le pubbliche istituzioni avrebbero dovuto affermarlo, cioè dire che non si muore di Ilva. A dir la verità il ministro Clini ci ha provato, ma è stato smentito da suoi stessi colleghi di governo e dalle strutture sanitarie. Gli stessi sindacati più vicini all'azienda non si sono mai sognati di smentire la gravità della minaccia alla salute. Anche l'azienda, soprattutto dopo le intercettazioni e le incriminazioni per corruzione, non smentisce più la gravità della situazione.
Dal momento che nessuno ha dunque sostenuto che non sia vero che di Ilva si muore, il decreto del governo che autorizza l'Ilva a produrre ALLE ATTUALI CONDIZIONI mentre si risana, evidentemente entra nel concetto di rischio necessario ed accettabile. Cioè un certo numero di malattie, infortuni, morti è un prezzo inevitabile da pagare se si vogliono salvare l'azienda e ventimila posti di lavoro.
D'altra parte, si obietta, all'ILVA si è sempre lavorato così e si possono ben spendere altri due anni pur di cambiare.
Questa obiezione, apparentemente di buon senso, è la più scandalosa. Anche con l'amianto c'è stato un intervallo di tempo dal momento in cui se ne scoprì tutta la nocività, a quello in cui se ne fermò definitivamente la produzione e l'uso. E i processi per strage colpiscono proprio quel periodo.
Alla Tyssen Krupp di Torino l'azienda è stata condannata per omicidio volontario proprio perché ha continuato a far lavorare quando le condizioni organizzative e ambientali non lo permettevano più.
È evidente dunque che nessun rischio è accettabile, soprattutto quando tale rischio per la salute dei cittadini e dei lavoratori è manifesto e conosciuto. Il principio fondamentale della tutela e della salute nell'organizzazione del lavoro è che quando un impianto o una produzione mettono chiaramente a rischio le persone, la produzione va fermata fino a che non vengano ripristinate o affermate le condizioni di sicurezza.
Se si rischia la salute non si lavora, questo è il principio che da anni, con ovvi conflitti anche con i lavoratori interessati, sostengono la medicina del lavoro, il diritto e la magistratura, il sindacalismo indipendente dalle aziende.
Perché allora all'ILVA si lavora nonostante il rischio?
La foglia di fico ideologica utilizzata dal decreto è che sia possibile continuare a produrre limitando al minimo i rischi. Ma questo è tecnicamente impossibile. Già due lavoratori sono morti da quando la magistratura è intervenuta. Uno ai treni merci e l'altro alle gru con la tromba d'aria. Nel primo caso i lavoratori si sono rifiutati di continuare a lavorare nel trasporto materiali se non venivano aumentati gli organici e definite rigorose condizioni di sicurezza. Hanno dovuto scioperare giorni e giorni perché ci fossero segnali in questa direzione da parte dell'azienda.
Oggi i lavoratori delle gru giustamente si rifiutano di salire su di esse perché non sanno quanto siano affidabili. Se si procedesse a una rigorosa ricognizione delle condizioni operative dell'ILVA rispetto ai parametri di sicurezza, una distesa di reparti dovrebbe essere fermata. La direzione Ilva ha sempre imposto una organizzazione del lavoro brutale e senza regole, fondata sulle minacce e sui provvedimenti disciplinari, dubito che sappia lavorare in altro modo. Il caos organizzativo con cui l'azienda ha risposto alle ordinanze della magistratura dimostra che non solo il rischio non diminuisce, ma che probabilmente aumenterà.
Per quanto riguarda poi l'emissione di fumi e polveri anche qui c'è un'enorme contraddizione nel decreto.
Se davvero Taranto deve continuare a produrre per alimentare gli stabilimenti ILVA del nord e rifornire di acciaio il sistema italiano, allora le emissioni di fumi e polveri continueranno, anzi come si è rilevato in questo periodo, saranno destinate ad aumentare. Questo perché o si produce davvero a marcia ridotta e allora l'acciaio per il nord verrà a mancare, oppure si dovranno stressare ancora di più gli impianti rimasti aperti per fare la produzione di quelli chiusi. Anche qui il rischio concreto è che i pericoli per la salute delle persone aumentino, anziché diminuire, nei due anni di licenza concessi dal governo a Riva.
Quindi o non è vero che si salva la produzione o non è vero che si salva la salute. E la magistratura viene esautorata proprio per impedire il rigore nelle scelte, per andare avanti alla giornata senza un vero controllo, senza alcuna chiarezza.
E' vero, una parte dei lavoratori soprattutto a Genova ha tirato un sospiro di sollievo con il decreto. Non si può criticarli visto che tutto il palazzo della politica e tutto il sindacato confederale aveva loro spiegato che finivano in mezzo ad una strada. Anzi la consapevolezza dei lavoratori Ilva in questi mesi è molto cresciuta, se si pensa che a luglio si scendeva in piazza per difendere l'azienda.
Chi invece non ha fatto passi avanti è stato il gruppo dirigente dei sindacati confederali, Cgil e Fiom comprese.
Una sola alternativa era possibile: si doveva chiedere l'immediato esproprio dell'azienda da parte del governo, un piano di sicurezza immediato, un piano strategico per il futuro: e la proprietà doveva pagare, cominciando con il garantire il reddito pieno a tutti i lavoratori.
La pubblicizzazione in questo caso non era certo una opzione socialista, ma assolutamente realistica, ed è stata proposta anche da quel noto sovversivo anticapitalista che è Carlo Debenedetti.
Il sindacato avrebbe dovuto partire dalla propria conoscenza della realtà del lavoro all'Ilva per costruire una posizione autonoma dal solito ricatto del padrone: o così o si chiude. Invece la fiom stessa non ha più sostenuto la posizione assunta a suo tempo a Pomigliano, allora anche contro la maggioranza dei lavoratori.
Così la gestione della fabbrica è tornata ad una proprietà pluriincriminata con latitanti in Florida e il rischio è che oggi si continui a perdere la salute per il lavoro e domani si perda anche il lavoro. Ma forse sta proprio qui la ragione vera del decreto. Prima del diritto al lavoro e di quello alla salute, per il governo Monti è stato necessario tutelare il diritto alla proprietà, sennò cosa avrebbero detto gli investitori internazionali.
Quanti morti in più si possono accettare a Taranto per non danneggiare lo spread?
In realtà non stupisce che un governo che pensa di affrontare la crisi del paese con la produttività del lavoro e le deroghe alle leggi e ai contratti, creda di risolvere così la crisi Ilva. Stupisce invece che Camusso e Landini non abbiano neppure tentato una strada diversa e abbiano ben accolto un decreto che rappresenta la prima grande applicazione di quel patto sulla produttività che non hanno firmato.
Tutto questo è la rappresentazione dello stato di degrado della nostra democrazia e della nostra stessa civiltà e dimostra che la nube di buone parole di cui si riempiono i talk show e le primarie non riesce neanche per un giorno a scacciare i fumi dell'Ilva.
All'Ilva è in corso d'opera un grave reato contro la salute dei cittadini e dei lavoratori: la magistratura interviene per fermarlo e il governo interviene per fermare la magistratura. Questa la sostanza giuridica del decreto di cui speriamo la Corte Costituzionale rilevi la palese incostituzionalità: in un paese in cui tutta la classe politica si riempie la bocca delle parole regole e legalità, un decreto come questo si iscrive alla più pura tradizione berlusconiana di cambiare la legge per fermarne l'applicazione quando sono colpiti interessi potenti.
In questo caso si giustifica l'atto affermando che gli interessi in campo non sono quelli del padrone, ma dei lavoratori che rischiano il posto e del paese che rischia di perdere una azienda strategica. Naturalmente si afferma che la salute viene comunque salvaguardata e che quindi conflitto non c'è con l'iniziativa della magistratura, che viene invitata a capire.
Qui bisogna essere chiari: o la magistratura ha torto, il rischio non è così grave e la sua iniziativa è avventata, oppure ha ragione. Se la magistratura avesse torto le pubbliche istituzioni avrebbero dovuto affermarlo, cioè dire che non si muore di Ilva. A dir la verità il ministro Clini ci ha provato, ma è stato smentito da suoi stessi colleghi di governo e dalle strutture sanitarie. Gli stessi sindacati più vicini all'azienda non si sono mai sognati di smentire la gravità della minaccia alla salute. Anche l'azienda, soprattutto dopo le intercettazioni e le incriminazioni per corruzione, non smentisce più la gravità della situazione.
Dal momento che nessuno ha dunque sostenuto che non sia vero che di Ilva si muore, il decreto del governo che autorizza l'Ilva a produrre ALLE ATTUALI CONDIZIONI mentre si risana, evidentemente entra nel concetto di rischio necessario ed accettabile. Cioè un certo numero di malattie, infortuni, morti è un prezzo inevitabile da pagare se si vogliono salvare l'azienda e ventimila posti di lavoro.
D'altra parte, si obietta, all'ILVA si è sempre lavorato così e si possono ben spendere altri due anni pur di cambiare.
Questa obiezione, apparentemente di buon senso, è la più scandalosa. Anche con l'amianto c'è stato un intervallo di tempo dal momento in cui se ne scoprì tutta la nocività, a quello in cui se ne fermò definitivamente la produzione e l'uso. E i processi per strage colpiscono proprio quel periodo.
Alla Tyssen Krupp di Torino l'azienda è stata condannata per omicidio volontario proprio perché ha continuato a far lavorare quando le condizioni organizzative e ambientali non lo permettevano più.
È evidente dunque che nessun rischio è accettabile, soprattutto quando tale rischio per la salute dei cittadini e dei lavoratori è manifesto e conosciuto. Il principio fondamentale della tutela e della salute nell'organizzazione del lavoro è che quando un impianto o una produzione mettono chiaramente a rischio le persone, la produzione va fermata fino a che non vengano ripristinate o affermate le condizioni di sicurezza.
Se si rischia la salute non si lavora, questo è il principio che da anni, con ovvi conflitti anche con i lavoratori interessati, sostengono la medicina del lavoro, il diritto e la magistratura, il sindacalismo indipendente dalle aziende.
Perché allora all'ILVA si lavora nonostante il rischio?
La foglia di fico ideologica utilizzata dal decreto è che sia possibile continuare a produrre limitando al minimo i rischi. Ma questo è tecnicamente impossibile. Già due lavoratori sono morti da quando la magistratura è intervenuta. Uno ai treni merci e l'altro alle gru con la tromba d'aria. Nel primo caso i lavoratori si sono rifiutati di continuare a lavorare nel trasporto materiali se non venivano aumentati gli organici e definite rigorose condizioni di sicurezza. Hanno dovuto scioperare giorni e giorni perché ci fossero segnali in questa direzione da parte dell'azienda.
Oggi i lavoratori delle gru giustamente si rifiutano di salire su di esse perché non sanno quanto siano affidabili. Se si procedesse a una rigorosa ricognizione delle condizioni operative dell'ILVA rispetto ai parametri di sicurezza, una distesa di reparti dovrebbe essere fermata. La direzione Ilva ha sempre imposto una organizzazione del lavoro brutale e senza regole, fondata sulle minacce e sui provvedimenti disciplinari, dubito che sappia lavorare in altro modo. Il caos organizzativo con cui l'azienda ha risposto alle ordinanze della magistratura dimostra che non solo il rischio non diminuisce, ma che probabilmente aumenterà.
Per quanto riguarda poi l'emissione di fumi e polveri anche qui c'è un'enorme contraddizione nel decreto.
Se davvero Taranto deve continuare a produrre per alimentare gli stabilimenti ILVA del nord e rifornire di acciaio il sistema italiano, allora le emissioni di fumi e polveri continueranno, anzi come si è rilevato in questo periodo, saranno destinate ad aumentare. Questo perché o si produce davvero a marcia ridotta e allora l'acciaio per il nord verrà a mancare, oppure si dovranno stressare ancora di più gli impianti rimasti aperti per fare la produzione di quelli chiusi. Anche qui il rischio concreto è che i pericoli per la salute delle persone aumentino, anziché diminuire, nei due anni di licenza concessi dal governo a Riva.
Quindi o non è vero che si salva la produzione o non è vero che si salva la salute. E la magistratura viene esautorata proprio per impedire il rigore nelle scelte, per andare avanti alla giornata senza un vero controllo, senza alcuna chiarezza.
E' vero, una parte dei lavoratori soprattutto a Genova ha tirato un sospiro di sollievo con il decreto. Non si può criticarli visto che tutto il palazzo della politica e tutto il sindacato confederale aveva loro spiegato che finivano in mezzo ad una strada. Anzi la consapevolezza dei lavoratori Ilva in questi mesi è molto cresciuta, se si pensa che a luglio si scendeva in piazza per difendere l'azienda.
Chi invece non ha fatto passi avanti è stato il gruppo dirigente dei sindacati confederali, Cgil e Fiom comprese.
Una sola alternativa era possibile: si doveva chiedere l'immediato esproprio dell'azienda da parte del governo, un piano di sicurezza immediato, un piano strategico per il futuro: e la proprietà doveva pagare, cominciando con il garantire il reddito pieno a tutti i lavoratori.
La pubblicizzazione in questo caso non era certo una opzione socialista, ma assolutamente realistica, ed è stata proposta anche da quel noto sovversivo anticapitalista che è Carlo Debenedetti.
Il sindacato avrebbe dovuto partire dalla propria conoscenza della realtà del lavoro all'Ilva per costruire una posizione autonoma dal solito ricatto del padrone: o così o si chiude. Invece la fiom stessa non ha più sostenuto la posizione assunta a suo tempo a Pomigliano, allora anche contro la maggioranza dei lavoratori.
Così la gestione della fabbrica è tornata ad una proprietà pluriincriminata con latitanti in Florida e il rischio è che oggi si continui a perdere la salute per il lavoro e domani si perda anche il lavoro. Ma forse sta proprio qui la ragione vera del decreto. Prima del diritto al lavoro e di quello alla salute, per il governo Monti è stato necessario tutelare il diritto alla proprietà, sennò cosa avrebbero detto gli investitori internazionali.
Quanti morti in più si possono accettare a Taranto per non danneggiare lo spread?
In realtà non stupisce che un governo che pensa di affrontare la crisi del paese con la produttività del lavoro e le deroghe alle leggi e ai contratti, creda di risolvere così la crisi Ilva. Stupisce invece che Camusso e Landini non abbiano neppure tentato una strada diversa e abbiano ben accolto un decreto che rappresenta la prima grande applicazione di quel patto sulla produttività che non hanno firmato.
Tutto questo è la rappresentazione dello stato di degrado della nostra democrazia e della nostra stessa civiltà e dimostra che la nube di buone parole di cui si riempiono i talk show e le primarie non riesce neanche per un giorno a scacciare i fumi dell'Ilva.
Giorgio Cremaschi
Napolitano riscrive il decreto Ilva e lo generalizza
di Dante Barontin, www.contropiano.org
Napolitano scavalca governo e Parlamento, riscrive
il decreto che salva i profitti di Riva e inaugura una politica
industriale "militarizzata", contro ambiente e lavoro.
Aridatece Kossiga! Come "custode della Costituzione" aveva certamente fatto meno danni...
Va bene che si tratta di un decreto "presidenziale", ma non si era mai visto che il testo governativo venisse riscritto in maniera così pesante dal titolare del Quirinale.
Fermo restando l'intento originario del governo - garantire a Riva la continuazione senza intralci dell'attività produttiva, in cambio della "promessa" di mettere a norma i suoi impianti di Taranto - la riscrittura quirinalizia introduce diverse "novità" di assoluto rilievo e di grandissima negatività.
Il primo luogo, generalizza la possibilità di dichiarare "zona di interesse strategico nazionale" qualsiasi azienda inquinante con più di 200 dipendenti. Quello che era apparso a tutti come un decreto "ad aziendam" diventa ora un'autorizzazione "ad inquinamentum" per un'intera categoria di imprese. La "necessità di garantire occupazione e produzione" (la retorica ha il suo ruolo: viene citata per prima l'occupazione, nel tentativo estremo di presentare come "progressista" la norma) viene dichiarata "prevalente" su quella alla salute pubblica. E' una pietra tombale su qualsiasi interesse contrasti quello aziendale.
La seconda novità è il limite di 36 mesi (tre anni) entro cui l'azienda deve adeguarsi alle disposizioni in materia ambientale prescritte dall'Autorizzazione integrata ambientale; in questo modo il decreto cerca di non incorrere subito in sanzioni europee. La multa prevista per l'azienda in caso di mancato rispetto di queste indicazioni può arrivare al 10% del fatturato. Una cifra relativamente alta, probabilmente "mortale" per qualsiasi azienda; appare dunque allo stesso tempo terribile e ridicola perché di fatto inapplicabile. Altra cosa sarebbe l'esproprio e la nazionalizzazione - da ora, non fra tre anni.
Resta e si rafforza, ovviamente, la sottrazione dell'azienda al controllo di legalità posto in essere dalla magistratura "anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni". Che è il punto più esplicitamente "pro Riva" di tutto il provvedimento.
Sparisce infine la figura del "garante", indicata inizialmente nel testo governativo. L'avevamo criticata perché generica e priva di poteri effettivi ("a costo zero" per lo Stato, quindi priva di strumenti operativi e di indagine). Ma qui è definitivamente cancellata! Resta solo il ministro dell'ambiente (la neolingua di Orwell è sempre al lavoro, ormai...), "incaricato" di riferire in Parlamento ogni sei mesi. Avete presente quelle sedute "dovute" che si svolgono alla presenza di quattro o cinque deputati che dormono? Ecco, a questo viene ridotto il controllo sul rispetto delle normative (già abbondantemente taroccate) in materia ambientale e di salute della popolazione.
Il testo del decreto, appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
*****
DECRETO-LEGGE 3 dicembre 2012, n. 207
Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale. (12G0234) (GU n. 282 del 3-12-2012 )
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 41, 43, 77 e 87 della Costituzione;
Visto il decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n. 171, e il Protocollo d'Intesa del 26 luglio 2012 per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto sottoscritto a Roma;
Visto il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 26 ottobre 2012, prot. DVA/DEC/2012/0000547, di cui alla comunicazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 27 ottobre 2012, con il quale si è provveduto al riesame dell'autorizzazione integrata ambientale n. DVA/DEC/2011/450 del 4 agosto 2011, rilasciata alla Società ILVA S.p.A. per l'esercizio dello stabilimento siderurgico ubicato nei comuni di Taranto e di Statte, disponendo, ai fini della più rigorosa protezione della salute e dell'ambiente, l'applicazione in anticipo della decisione di esecuzione n. 2012/135/UE della Commissione, del 28 febbraio 2012, che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT) da impiegare per la produzione di ferro e acciaio ai sensi della direttiva 2010/75/UE;
Considerato che l'autorizzazione integrata ambientale e il Piano operativo assicurano l'immediata esecuzione di misure finalizzate alla tutela della salute ed alla protezione ambientale e prevedono graduali ulteriori interventi sulla base di un ordine di priorità finalizzato al risanamento progressivo degli impianti;
Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per assicurare che, in presenza di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione, il Ministro dell'ambiente possa autorizzare mediante autorizzazione integrata ambientale la prosecuzione dell'attività produttiva di uno o più stabilimenti per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi e a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nella medesima autorizzazione, secondo le procedure e i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili;
Ritenuta altresì la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per assicurare la piena attuazione delle prescrizioni della sopracitata autorizzazione, volte alla immediata rimozione delle condizioni di criticità esistenti che possono incidere sulla salute, conseguendo il sostanziale abbattimento delle emissioni inquinanti;
Considerato che la continuità del funzionamento produttivo dello stabilimento siderurgico Ilva S.p.A. costituisce una priorità strategica di interesse nazionale, in considerazione dei prevalenti profili di protezione dell'ambiente e della salute, di ordine pubblico, di salvaguardia dei livelli occupazionali;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 30 novembre 2012;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico;
Emana
il seguente decreto-legge:
Art. 1 Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale
1. In caso di stabilimento di interesse strategico nazionale, individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, quando presso di esso sono occupati un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, secondo le procedure ed i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.
2. Nei casi di cui al comma 1, le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale, nonchè le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame. E' fatta comunque salva l'applicazione degli articoli 29-octies, comma 4, e 29-nonies e 29-decies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, e successive modificazioni.
3. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di cui al comma 1 è punita con sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato. La sanzione è irrogata, ai sensi dell'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dal prefetto competente per territorio.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 trovano applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento. In tale caso i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attività d'impresa a norma del comma 1.
5. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riferisce semestralmente al Parlamento circa l'ottemperanza delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale nei casi di cui al presente articolo.
Aridatece Kossiga! Come "custode della Costituzione" aveva certamente fatto meno danni...
Va bene che si tratta di un decreto "presidenziale", ma non si era mai visto che il testo governativo venisse riscritto in maniera così pesante dal titolare del Quirinale.
Fermo restando l'intento originario del governo - garantire a Riva la continuazione senza intralci dell'attività produttiva, in cambio della "promessa" di mettere a norma i suoi impianti di Taranto - la riscrittura quirinalizia introduce diverse "novità" di assoluto rilievo e di grandissima negatività.
Il primo luogo, generalizza la possibilità di dichiarare "zona di interesse strategico nazionale" qualsiasi azienda inquinante con più di 200 dipendenti. Quello che era apparso a tutti come un decreto "ad aziendam" diventa ora un'autorizzazione "ad inquinamentum" per un'intera categoria di imprese. La "necessità di garantire occupazione e produzione" (la retorica ha il suo ruolo: viene citata per prima l'occupazione, nel tentativo estremo di presentare come "progressista" la norma) viene dichiarata "prevalente" su quella alla salute pubblica. E' una pietra tombale su qualsiasi interesse contrasti quello aziendale.
La seconda novità è il limite di 36 mesi (tre anni) entro cui l'azienda deve adeguarsi alle disposizioni in materia ambientale prescritte dall'Autorizzazione integrata ambientale; in questo modo il decreto cerca di non incorrere subito in sanzioni europee. La multa prevista per l'azienda in caso di mancato rispetto di queste indicazioni può arrivare al 10% del fatturato. Una cifra relativamente alta, probabilmente "mortale" per qualsiasi azienda; appare dunque allo stesso tempo terribile e ridicola perché di fatto inapplicabile. Altra cosa sarebbe l'esproprio e la nazionalizzazione - da ora, non fra tre anni.
Resta e si rafforza, ovviamente, la sottrazione dell'azienda al controllo di legalità posto in essere dalla magistratura "anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni". Che è il punto più esplicitamente "pro Riva" di tutto il provvedimento.
Sparisce infine la figura del "garante", indicata inizialmente nel testo governativo. L'avevamo criticata perché generica e priva di poteri effettivi ("a costo zero" per lo Stato, quindi priva di strumenti operativi e di indagine). Ma qui è definitivamente cancellata! Resta solo il ministro dell'ambiente (la neolingua di Orwell è sempre al lavoro, ormai...), "incaricato" di riferire in Parlamento ogni sei mesi. Avete presente quelle sedute "dovute" che si svolgono alla presenza di quattro o cinque deputati che dormono? Ecco, a questo viene ridotto il controllo sul rispetto delle normative (già abbondantemente taroccate) in materia ambientale e di salute della popolazione.
Il testo del decreto, appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
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DECRETO-LEGGE 3 dicembre 2012, n. 207
Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale. (12G0234) (GU n. 282 del 3-12-2012 )
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 41, 43, 77 e 87 della Costituzione;
Visto il decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n. 171, e il Protocollo d'Intesa del 26 luglio 2012 per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto sottoscritto a Roma;
Visto il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 26 ottobre 2012, prot. DVA/DEC/2012/0000547, di cui alla comunicazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 27 ottobre 2012, con il quale si è provveduto al riesame dell'autorizzazione integrata ambientale n. DVA/DEC/2011/450 del 4 agosto 2011, rilasciata alla Società ILVA S.p.A. per l'esercizio dello stabilimento siderurgico ubicato nei comuni di Taranto e di Statte, disponendo, ai fini della più rigorosa protezione della salute e dell'ambiente, l'applicazione in anticipo della decisione di esecuzione n. 2012/135/UE della Commissione, del 28 febbraio 2012, che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT) da impiegare per la produzione di ferro e acciaio ai sensi della direttiva 2010/75/UE;
Considerato che l'autorizzazione integrata ambientale e il Piano operativo assicurano l'immediata esecuzione di misure finalizzate alla tutela della salute ed alla protezione ambientale e prevedono graduali ulteriori interventi sulla base di un ordine di priorità finalizzato al risanamento progressivo degli impianti;
Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per assicurare che, in presenza di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione, il Ministro dell'ambiente possa autorizzare mediante autorizzazione integrata ambientale la prosecuzione dell'attività produttiva di uno o più stabilimenti per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi e a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nella medesima autorizzazione, secondo le procedure e i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili;
Ritenuta altresì la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per assicurare la piena attuazione delle prescrizioni della sopracitata autorizzazione, volte alla immediata rimozione delle condizioni di criticità esistenti che possono incidere sulla salute, conseguendo il sostanziale abbattimento delle emissioni inquinanti;
Considerato che la continuità del funzionamento produttivo dello stabilimento siderurgico Ilva S.p.A. costituisce una priorità strategica di interesse nazionale, in considerazione dei prevalenti profili di protezione dell'ambiente e della salute, di ordine pubblico, di salvaguardia dei livelli occupazionali;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 30 novembre 2012;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico;
Emana
il seguente decreto-legge:
Art. 1 Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale
1. In caso di stabilimento di interesse strategico nazionale, individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, quando presso di esso sono occupati un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, secondo le procedure ed i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.
2. Nei casi di cui al comma 1, le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale, nonchè le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame. E' fatta comunque salva l'applicazione degli articoli 29-octies, comma 4, e 29-nonies e 29-decies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, e successive modificazioni.
3. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di cui al comma 1 è punita con sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato. La sanzione è irrogata, ai sensi dell'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dal prefetto competente per territorio.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 trovano applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento. In tale caso i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attività d'impresa a norma del comma 1.
5. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riferisce semestralmente al Parlamento circa l'ottemperanza delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale nei casi di cui al presente articolo.
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