venerdì 3 aprile 2015

La “goccia rossa” che può far traboccare il vaso di Marco Sferini


0bc0878c28_1817547_medL’approssimarsi delle scandenze elettorali regionali ha gettato in fibrillazione tutto il mondo politico italiano. Non c’è luogo partitico o di movimento dove non siano emerse contraddizioni, lacerazioni sopite da tempo e rivalse di ogni tipo, anche quelle più lontane da una concezione comune della vita politica: i personalismi.
Si dirà che questo è magari uno stile tutto “italico” di avvicinarsi al tempo delle urne, invece a me sembra un fenomeno che deriva da una instabilità complessiva del quadro politico, tanto a destra quanto al centro e a sinistra.
E’ indubbio che la destra ha, da mesi e mesi, avviato un processo di riorganizzazione e di ridefinizione dei propri confini e questa operazione l’ha condotta magistralmente Matteo Salvini facendo prevalere sulle ipotesi autonomiste un nuovo nazionalismo che, infatti, mette insieme il neofascismo di Casa Pound con Fratelli d’Italia (extraparlamentarismo con parlamentarismo) e il tutto unito nelle manifestazioni alla vecchia Lega Nord, già secessionista con l’idea delle Repubbliche del Nord, Centro, Sud e Isole, poi padaneggiante fino a poco tempo fa.
La Lega, dunque, sorpassa a destra tutti e si fa portatrice delle esigenze di quel ceto medio e di quel proletariato sofferente che nelle periferie vive in condizioni di estrema miseria e non ha certamente il tempo per ascoltare le analisi politiche nostre, ma si riversa invece più facilmente sui discorsi intrisi di mero odio che liquidano problemi profondamente radicati per motivi complessi.
La destra si coagula intorno al nuovo condottiero Salvini che non disdegna le alleanze con una Forza Italia debole sia nella percezione comune sia in quella sondaggistica: ci sono istituti di ricerca che decretano percentuali persino al di sotto del 10% per il partito di Silvio Berlusconi. Bottino ricco per Salvini: la forza del suo movimento è ora all’apice della storia ultraventennale leghista con un ex partito di governo che è costretto a rincorrere il lepenismo italico per non finire stritolato tra il PD di Renzi e la Lega di Salvini.
Gli scenari regionali sono diversi da zona a zona: dal Veneto di Tosi che insidia il totalizzante successo leghista fino alla Liguria dove il candidato leghista Rixi lascia il passo per fare posto al portavoce del Cavaliere nero di Arcore, Toti.
In questo panorama movimentato, la sinistra di alternativa si muove disordinatamente ma riesce comunque a tracciare una linea comune (quasi) in tutte le regioni a scapito di lacerazioni che si verificano ora in Rifondazione Comunista, ora in Sel.
Un fronte unico delle sinistre alternative al PD viene costruito in opposizione al renzismo che si è impadronito del partito già di D’Alema e Bersani. Il collante necessario a questa operazione è, quindi, ancora una volta una reazione ad un uomo solo e forte al comando che sta guidando la politica del governo su un liberismo esasperato ed esasperante.
Senza questo elemento sarebbe stato sicuramente molto difficile unire le forze residue della sinistra italiana in liste unitarie.
L’oggi e il domani si intrecciano: la prospettiva della costruzione di un soggetto di sinistra alterantiva al renzismo e al PD è l’elemento di costruzione di una unità indotta ma necessaria.
Civati, Vendola, Ferrero condividono una critica con sfumature diverse nei confronti del capo del governo, ma tanto basta per fare delle elezioni regionali un laboratorio politico in cui testare il rapporto tra cittadini – elettori e sinistra di alternativa.
Una progettualità non facile da realizzare visto che si intersecano livello nazionale con livelli locali e, quindi, si complica una visione complessiva delle necessità da tradurre in programmi per garantire (appunto su più livelli) una linearità che porti al cambiamento. Non solo sociale ma anche politico e che, pertanto, interessi prima di tutto il lavoro di ricostruzione della sinistra italiana.
Ciò che conforta, in un certo qual modo, è la condivisa  possibilità di creare un soggetto federato che rispetti le singole posizioni e che unisca i contraenti in un patto fondato sugli elementi veramente unitari e non su velleitarismi. Pochi punti, anche, come l’opposizione al renzismo fondata su una nuova politica del lavoro, dello studio, dell’ambiente, della salute, ma chiari e netti, senza più costrizioni da parte di nessuno e eteroguide da parte di chicchessia.
Non tutto è ancora chiaramente definito: Civati, ad esempio, ripete spesso la sua volontà di ridare vita ad un centrosinistra degno di questo nome; Rifondazione Comunista si pone l’obiettivo di una Syriza italiana come soggetto di sinistra (e non quindi di centrosinistra) veramente alternativo al PD; Sel sta nel mezzo.
Non c’è, dunque, nulla di definito, di fermo, di immobilmente certo. Ci troviamo ancora una volta in mezzo ad un guado e, dovendo guadare, dobbiamo unire le forze per evitare di finire tutte e tutti nel fondo del vasto fiume delle politiche antisociali di un esecutivo che vara riforme del lavoro, della scuola ed elettorali capaci di sovvertire l’ordine democratico del Paese.
La sponda politica che proviene dai “partiti” può legarsi alla Coalizione Sociale promossa da Maurizio Landini su un fronte più sindacale e associativo: le rivendicazioni sono praticamente le stesse. Tutte e tutti vogliamo la cacciata di questo governo e la ritrovata presenza nel Paese di un legame forte tra lavoro e rappresentanza sindacale, tra lavoro e rappresentanza politica. Tutti vogliamo rivedere un movimento studentesco saldato con le ragioni del lavoro, contro la crisi economica provocata dalla riduzione dei salari, dalla destrutturazione dei diritti più elementari che tutelavano dai licenziamenti indiscriminati, senza giusta causa e che permettevano anche al sindacato di esercitare un ruolo di garanzia sufficiente per un mondo da sempre vessato in nome del profitto privato.
Compito dei comunisti è non stare a difendere il bidone della purezza ideologica. Compito dei comunisti è adoperarsi per mantenere intatta la propria giusta e sacrosanta autonomia politica all’interno di un percorso più ampio e chiaro.
Ogni volta che queste condizioni si realizzano, io vedo i due termini “rifondazione comunista” più attuali che mai: dobbiamo rifondare le nostre pratiche aiutando la sinistra, il progressismo a crescere senza compromettersi con i poteri cosiddetti “forti”, senza scendere sul terreno di una logica liberale e liberista, accettando anche le riforme quotidiane imposte dagli eventi, ma lavorando sempre con la consapevolezza che noi ci siamo per uno scopo preciso e che questo scopo vale più di tutto: far rinascere e crescere l’anticapitalismo come valore fondante di una sinistra non confondibile con le nuove parole prive di aggettivi che adornano nuove associazioni presuntamente più “pragmatiche” di noi.
Rifondazione Comunista ha una potenzialità ancora esprimibile politicamente e socialmente grazie ad una organizzazione che risente ancora – in senso buono – della tradizione comunista italiana.
Lavorare per l’unità della sinistra, da comunisti, è quanto di meglio possiamo fare oggi, frenando le tensioni moderate e le tentazioni governiste che guardano solo ad una gestione immediata del potere senza porsi domande di più lungo e largo respiro.
Il laboratorio politico costituito dai progetti regionali può avere successo solo se viene percepito dalla coscienza collettiva come qualcosa di nuovo, di radicalmente differente da tutte le altre forze politiche. Differenza e novità nel solco di una tradizione di eguaglianza sociale che va rimessa al primo posto di ogni programma di governo: sia regionale che nazionale. Costruiamo la “goccia rossa” che faccia traboccare il vaso di Renzi e del liberismo.

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