domenica 11 settembre 2011

11 settembre 1973. 38 anni dopo.

di Savino Federica, http://frontegc.blogspot.com

L’11 settembre di trentotto anni fa un violento complotto imperialista spezzava nel sangue il sogno cileno, il sogno di poter far approdare il Cile al socialismo attraverso l’arma delle libere elezioni democratiche. Il paese latinoamericano approdò in un incubo di oppressione e di miseria, i sostenitori di Unidad Popular (la coalizione che aveva appoggiato la candidatura del socialista Salvador Allende alla presidenza del Cile nel 1970) furono catturati, torturati e non in rari casi uccisi; noto è il caso dello stadio nazionale di Santiago trasformato in un’orrenda prigione.
Il venticinque maggio scorso venne riesumata la salma del Presidente Salvador Allende, la cui morte è una dei 726 casi noti di violazione dei diritti umani, su cui si sta indagando, di cui si è macchiata la dittatura militare di Pinochet. Il diciannove luglio di quest’anno sono stati divulgati i referti dell’autopsia: Salvador Allende si uccise. Tale tesi fu da sempre sostenuta dalla famiglia Allende, anche se qualcuno ha sempre affermato che quell’uccisione fosse avvenuta per mano dei militari che stavano per bombardare la Moneda, quel martedì dell’undici settembre del 1973.


La verità pervenutaci trentotto anni dopo la morte del leader di Unidad Popular non cambia nulla!
Quella fu l’ultima scelta del Presidente cileno, scelta che non assolve i responsabili del golpe per aver agito negli interessi degli Stati Uniti e della borghesia cilena, per aver bombardato il Palazzo Presidenziale, per aver distrutto il sogno di Salvador nonché del suo popolo, per aver annientato un uomo che, insieme alla sua coalizione, avrebbero potuto incidere drasticamente nella storia e nell’economia cilena e mondiale.
Qualcuno è ancora convinto servitore della ormai palese falsità storica che quegli scioperi che paralizzarono il Paese tra il ‘71 e il ‘73, furono il sintomo di un mancato sostegno popolare, che l’approdo al socialismo tanto caldeggiato dal Presidente era un pericolo per l’incolumità economica del Paese. Unidad Popular sì era pericolosa, ma ancor più pericolosa era la percentuale di consenso nel paese che continuava a crescere. Tutto ciò risultava nocivo per la grande potenza statunitense, per il grande pilastro "democratico" e neoliberista che rappresentava. Gli interessi economici nel paese latinoamericano erano enormi; le multinazionali americane tenevano in pugno l’economia cilena, tutte le risorse minerarie erano in mano ai grandi trust americani che in nessun modo potevano permettersi di perdere il primato.
La lotta doveva essere sfrenata, Nixon affermò che bisognava far “urlare di terrore l’economia cilena”, ma nonostante i continui sanguinosi boicottaggi economici degli Usa, appoggiati ovviamente dalla borghesia cilena, dalla Democrazia Cristiana (furono stanziati 2,7 milioni di dollari dalla CIA nel 1964 per contrastare la prima candidatura di Allende, sostenendo il candidato della DC Frey) e dai partiti di destra ( nelle elezioni del 1970 il sostegno andò al candidato della destra Alessandri ), il popolo cileno non abbandonò mai il governo di Unidad Popular.
Le folle di studenti che in questi mesi si sono riversate per le strade di Santiago e di altre città del Cile gridando “cadrà, cadrà l’istruzione di Pinochet” appaiono come una meravigliosa rinascita del sogno di Salvador Allende. Un movimento studentesco che nasce dal basso e che in maniera democratica e pacifica protesta mirando le basi di un sistema economico capitalista che è stato imposta dalla dittatura di Pinochet.  A maggio trentamila persone hanno manifestato a favore di una scuola pubblica e gratuita ( il 25% del sistema scolastico è finanziato dallo Stato e oltre il 75% si regge sul contributo degli studenti, circa il 65% degli studenti più poveri non riesce a terminare il suo percorso di studi a causa di problemi economici), contemporaneamente migliaia di persone sono scese in piazza in diverse città, contro il progetto HidroAysén, che prevede l'installazione di cinque mega centrali idroelettriche in Patagonia. La reazione e le proteste in difesa dell’ambiente sono state immediate, contrastando il gigantesco affare della multinazionale Endesa-Enel, associata al gruppo cileno Colbún. Precedentemente importanti movimenti regionali, come a Magallanes, protestavano contro gli aumenti del gas e a Calama per ottenere benefici reali dalla produzione di rame nella zona, così come le rivendicazioni di riavere la propria terra attraverso gli scioperi della fame da parte dei Mapuche.
Il progetto politico di Unidad Popular era assai ambizioso e non avrebbe potuto non scontrarsi con gli abnormi interessi economici della multinazionali e dei latifondisti. La legge di abolizione del latifondo fu approvato l’11 luglio del 1971. La suddivisione degli ettari fu controllata dalle organizzazione dei contadini che  favorirono l’occupazione da parte degli indiani Mapuche di quaranta mila ettari di terreno, terre che i latifondisti avevano usurpato ai nativi.
Tale legge fu preceduta dalla nazionalizzazione dei giacimenti minerari, nonostante le opposizioni parlamentari e degli Stati Uniti che provocarono la caduto del prezzo del rame sul mercato mondiale.
Il programma governativo ricomprendeva oltre alla nazionalizzazione delle grandi miniere di rame, iodio, ferro e carbone, anche quella del sistema finanziario, in particolare le banche private e le assicurazioni, del commercio estero, della grandi imprese e dei monopoli di distribuzione, dei monopoli industriali strategici, in generale di tutte le attività che condizionano lo sviluppo economico e sociale del paese, come la distribuzione e la produzione di energia elettrica, i trasporti ferroviari, aree marittime, le comunicazioni, la produzione, la raffinazione e la distribuzione del petrolio e dei suoi derivati.
Questi brevi riferimenti storici vogliono essere la prova che il malcontento, la mancanza di diritti, le disuguaglianze, la povertà che opprimono il Cile di oggi sono gli stessi che soffocavano il paese che Salvador Allende si era ritrovato a governare, con la differenza che l’obbiettivo del governo popolare, cioè quello di approdare attraverso un piano di riforme al socialismo, aveva le soluzioni per risolvere le controversie sociali ed economiche.

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