«In queste sue ultime scelte ritrovo il Bertinotti del '98 (quello
della rottura con Prodi, ndr) del 2001 (quello del Social Forum di
Genova, ndr) insomma, per me il Bertinotti migliore». L'ultima «rottura»
dell'ex segretario Prc piace molto a Paolo Ferrero, all'attuale
segretario di quel partito, nel frattempo però passato per alcune
scissioni. L'ultima, nel 2009. Spiega Ferrero: «In quell'occasione il
tema di fondo era proprio il tema del governo e il rapporto con il Pd».
Vendola e i suoi, che non escludevano una futura collaborazione con il
centrosinistra, uscirono dal partito e fondarono Sinistra ecologia
libertà. Bertinotti non vi aderì, ma si schierò con loro.
Ora, con l'acuirsi della crisi e il 'golpe' delle manovre d'agosto, neanche avversate dal Pd, Bertinotti ha scritto un saggio (esce in questi giorni su Alternative per il socialismo) che bolla come «ente inutile» la sinistra «che non sa dire di no», e che al pari delle destre «accompagna acriticamente la ristrutturazione capitalistica». Niente accordi, dunque. E indica la strada dell'autonomia dei movimenti «di lotta e di mobilitazione», rivolte e indignados.
La cronaca si incarica di dimostrare almeno il suo primo assunto: di ieri la pubblicazione di una lettera in cui la Bce indica la selvaggia cura economica a cui dovrebbe essere sottoposta l'Italia. Dal Pd nessuna contestazione di merito. «È evidente che il centrosinistra, per com'è oggi, non vuole fuoriuscire dal quadro dei vincoli monetari europei», ragiona Gianni Rinaldini, già segretario Fiom oggi fra i promotori di Uniti per l'alternativa, che prepara la mobilitazione del 15 ottobre. «La riedizione dell'Ulivo è destinata al fallimento, questo è sicuro e già dimostrato, basta guardare a Zapatero e alla Grecia. Il resto è oggetto di discussione».
Ma torniamo al Prc. Ferrero applaude il Fausto ritrovato. «Il punto, che noi avevamo individuato da tempo, è che non ci sono le condizioni per un governo con il centrosinistra. È la lezione di fondo dell'ultimo governo Prodi», di cui Ferrero era ministro e Bertinotti presidente della Camera. Ma stavolta Bertinotti non scavalca perfino la Rifondazione - che non vuole fare il governo con l'Ulivo ma propone comunque un fronte antidestre - e riecheggia l'antico «questo o quello pari sono», riferito agli schieramenti di destra e centrosinistra? Ferrero mette le mani avanti, ha letto il saggio solo negli stralci pubblicati dal manifesto, ma «se così fosse sbaglierebbe. Passerebbe dall'estremismo governista a quello della separazione consensuale del 2008, ai tempi della Sinistra arcobaleno, una delle principali cause della nostra distruzione. Pd e Pdl non sono pari, il governo Bersani garantirebbe un quadro costituzionale e non procederebbe alla demolizione rapida dei diritti e dello stato sociale».
In Rifondazione applausi a scena aperta, dunque. Il padre nobile di Sel sembra sconfessare la linea 'accordista' di Vendola e compagni. E non solo per manifesta incompatibilità con le ricette economiche del Pd. «Bertinotti concorda con noi anche sul fatto che il sistema bipolare maggioritario sia una gabbia che preclude la costruzione del nuovo spazio pubblico; e che, quindi, è un imbroglio il referendum in atto sul ripristino del "Mattarellum". Non a caso la rivendicazione prima degli "indignati" spagnoli è quella del sistema proporzionale», dice Giovanni Russo Spena. Mettendo il dito su un altro punto di contatto del vecchio segretario con l'ultimo Prc: la legge proporzionale. Vendola si è schierato con il referendum pro Mattarellum. E non poteva fare diversamente: il ritorno al proporzionale cancellerebbe le primarie per la premiership, eterno cavallo di battaglia di Vendola. Fu proprio Bertinotti, del resto, il primo a portare la sinistra sinistra alle primarie, quelle dell'Unione nel 2005.
«Siamo di nuovo in sintonia», spiega Augusto Rocchi, punto di riferimento dei bertinottiani non entrati in Sel. A patto che «non ci si chiuda nell'isolazionismo. Oggi Bertinotti dà ragione alla scelta di fondo del Prc: che non si è chiuso nel settarismo identitario, pur sapendo che le condizioni per un governo con il centrosinistra non ci sono». Ma è un riavvicinamento? In questi giorni l'ex presidente della Camera discute con molti suoi ex compagni di partito. La prossima settimana tornerà a Liberazione, il quotidiano del Prc, per un forum con Ferrero. E a novembre i due si sono dati un altro appuntamento pubblico, una tavola rotonda a Milano, assieme a Mario Tronti.
Ora, con l'acuirsi della crisi e il 'golpe' delle manovre d'agosto, neanche avversate dal Pd, Bertinotti ha scritto un saggio (esce in questi giorni su Alternative per il socialismo) che bolla come «ente inutile» la sinistra «che non sa dire di no», e che al pari delle destre «accompagna acriticamente la ristrutturazione capitalistica». Niente accordi, dunque. E indica la strada dell'autonomia dei movimenti «di lotta e di mobilitazione», rivolte e indignados.
La cronaca si incarica di dimostrare almeno il suo primo assunto: di ieri la pubblicazione di una lettera in cui la Bce indica la selvaggia cura economica a cui dovrebbe essere sottoposta l'Italia. Dal Pd nessuna contestazione di merito. «È evidente che il centrosinistra, per com'è oggi, non vuole fuoriuscire dal quadro dei vincoli monetari europei», ragiona Gianni Rinaldini, già segretario Fiom oggi fra i promotori di Uniti per l'alternativa, che prepara la mobilitazione del 15 ottobre. «La riedizione dell'Ulivo è destinata al fallimento, questo è sicuro e già dimostrato, basta guardare a Zapatero e alla Grecia. Il resto è oggetto di discussione».
Ma torniamo al Prc. Ferrero applaude il Fausto ritrovato. «Il punto, che noi avevamo individuato da tempo, è che non ci sono le condizioni per un governo con il centrosinistra. È la lezione di fondo dell'ultimo governo Prodi», di cui Ferrero era ministro e Bertinotti presidente della Camera. Ma stavolta Bertinotti non scavalca perfino la Rifondazione - che non vuole fare il governo con l'Ulivo ma propone comunque un fronte antidestre - e riecheggia l'antico «questo o quello pari sono», riferito agli schieramenti di destra e centrosinistra? Ferrero mette le mani avanti, ha letto il saggio solo negli stralci pubblicati dal manifesto, ma «se così fosse sbaglierebbe. Passerebbe dall'estremismo governista a quello della separazione consensuale del 2008, ai tempi della Sinistra arcobaleno, una delle principali cause della nostra distruzione. Pd e Pdl non sono pari, il governo Bersani garantirebbe un quadro costituzionale e non procederebbe alla demolizione rapida dei diritti e dello stato sociale».
In Rifondazione applausi a scena aperta, dunque. Il padre nobile di Sel sembra sconfessare la linea 'accordista' di Vendola e compagni. E non solo per manifesta incompatibilità con le ricette economiche del Pd. «Bertinotti concorda con noi anche sul fatto che il sistema bipolare maggioritario sia una gabbia che preclude la costruzione del nuovo spazio pubblico; e che, quindi, è un imbroglio il referendum in atto sul ripristino del "Mattarellum". Non a caso la rivendicazione prima degli "indignati" spagnoli è quella del sistema proporzionale», dice Giovanni Russo Spena. Mettendo il dito su un altro punto di contatto del vecchio segretario con l'ultimo Prc: la legge proporzionale. Vendola si è schierato con il referendum pro Mattarellum. E non poteva fare diversamente: il ritorno al proporzionale cancellerebbe le primarie per la premiership, eterno cavallo di battaglia di Vendola. Fu proprio Bertinotti, del resto, il primo a portare la sinistra sinistra alle primarie, quelle dell'Unione nel 2005.
«Siamo di nuovo in sintonia», spiega Augusto Rocchi, punto di riferimento dei bertinottiani non entrati in Sel. A patto che «non ci si chiuda nell'isolazionismo. Oggi Bertinotti dà ragione alla scelta di fondo del Prc: che non si è chiuso nel settarismo identitario, pur sapendo che le condizioni per un governo con il centrosinistra non ci sono». Ma è un riavvicinamento? In questi giorni l'ex presidente della Camera discute con molti suoi ex compagni di partito. La prossima settimana tornerà a Liberazione, il quotidiano del Prc, per un forum con Ferrero. E a novembre i due si sono dati un altro appuntamento pubblico, una tavola rotonda a Milano, assieme a Mario Tronti.
di Giusi Marcante
Vendola si smarca da Bertinotti: Fausto ha ragione, ma dobbiamo
provare a fare l'Ulivo. Il leader di Sel: siamo in una stagione nuova,
al via un nuovo centrosinistra
È la presentazione di un libro ma è molto di più. Succede sempre così quando appare il Professore. Succede di più quando accanto a lui siede il leader di Sinistra ecologia e libertà, nonché presidente della Puglia, Nichi Vendola. I due ieri hanno chiacchierato con il presidente dell'Emilia Romagna Vasco Errani e con quello di Unipol Pierluigi Stefanini e con l'autrice de Il Contagio, l'economista Loretta Napoleoni.
Appuntamento gustoso quello organizzato dalla Scuola di Città, l'esperienza politica voluta da Amelia Frascaroli, assessora della giunta cittadina, ma ancora prima protagonista di una corsa alle primarie che per qualche tempo ha impensierito il Pd. Il tratto politico della lista che ha sostenuto Frascaroli è proprio questo: unire il prodismo con l'esperienza di Sel. E che quella di ieri sia stata un'occasione tutta politica lo spiegano anche le parole usate da Vendola quando i giornalisti gli hanno chiesto il significato della sua iniziativa assieme all'ex presidente del Consiglio, eterna 'riserva della Repubblica': «Prodi rappresenta un punto di riferimento per tutti coloro che intendono costruire un centrosinistra capace di guardare al futuro». E ha aggiunto: «Siamo in una stagione nuova, abbiamo bisogno di mettere in campo un centrosinistra nuovo, un nuovo Ulivo, che sia capace di non impiccarsi all'albero delle ideologie, ma di essere in grado di convocare tutte le culture più avanzate per mettere in campo un programma di alternativa».
In controluce, e neanche troppo, si tratta di una risposta al suo padre nobile, quel Fausto Bertinotti che in questi giorni boccia l'alleanza di centrosinistra e straccia la fotografia della festa Idv di Vasto, quella con Bersani, Di Pietro e lo stesso Vendola fondatori di un pricnipio di nuova coalizione. Anche se alla domanda diretta su Bertinotti, il leader di Sel misura le parole: «Fausto Bertinotti conduce un'analisi della situazione del mondo e dell'Europa. Non dice che non serve il nuovo Ulivo - sottolinea Vendola-. È difficile immaginare che si possa rompere la compatibilità che tiene in piedi un'Europa fatta da liberisti e monetaristi. Ma io penso che ci dobbiamo provare. Penso che abbia ragione Bertinotti nell'analisi di un'Europa che si sta squagliando sotto il peso delle politiche liberiste. Ma proprio per questo che dobbiamo provarci, dobbiamo provare a costruire una sinistra di governo». Insomma, non è d'accordo, come del resto buona parte del suo partito. E per sottolinearlo, insiste su Bersani: «Andiamo molto d'accordo sul fatto che ci vuole un'alternativa allo scandalo istituzionale che è il governo Berlusconi. Lui pensa si possa guadagnare da un'esperienza di governo tecnico per raggiungere il voto anticipato, io penso che le elezioni anticipate siano una necessità immediata».
Tutto questo succede all'esterno dell'appuntamento. All'interno, neanche a dirlo, non mancano assonanze tra il professore e il leader di Sel. A partire da quella parola, crescita, invocata da tutti, da Vendola a Prodi. Il leader di Sel dice che, a differenza di quegli amici della sinistra che parlavano di decrescita, ora serve una crescita, sostenibile e per i giovani. E per capire meglio il suo concetto di crescita ricorre alla sua città: «Smettiamola di rincorrere il mito della crescita urbana. La mia città, Bari, ha duecentomila abitanti e il suo piano regolatore è vecchio di decenni e ne prevedeva ottocentomila. Non si deve più costruire, serve invece rimettere a posto le periferie urbane degradate. Ma dove discutiamo di queste cose? Dove discutiamo della politica industriale? La destra pensa che la politica industriale la fa il mercato, e parte della sinistra si è adattata a questa idea».
Prodi, manco a dirlo, non crede minimamente all'ipotesi di un default pilotato contenuta nelle tesi di Loretta Napoleoni e ricorre ad una delle sue immagini azzeccate: «Default pilotato? Se si comincia con il default pilotato vanno tutti in default. Chi lo pilota il default? Non lo pilota neanche Alonso».
Europa e ancora Europa, il filo rosso del Professore è sempre quello. E tutta l'amarezza nel constatare che questa Unione (europea) non c'è è in questa frase: «Gli Stati Uniti d'America sono più indebitati dell'Europa, ma non subiscono attacchi speculativi, perché sono uniti. Sono un cane grosso, e i cani grossi vengono sempre rispettati. L'Europa deve diventare un cane grosso».
È la presentazione di un libro ma è molto di più. Succede sempre così quando appare il Professore. Succede di più quando accanto a lui siede il leader di Sinistra ecologia e libertà, nonché presidente della Puglia, Nichi Vendola. I due ieri hanno chiacchierato con il presidente dell'Emilia Romagna Vasco Errani e con quello di Unipol Pierluigi Stefanini e con l'autrice de Il Contagio, l'economista Loretta Napoleoni.
Appuntamento gustoso quello organizzato dalla Scuola di Città, l'esperienza politica voluta da Amelia Frascaroli, assessora della giunta cittadina, ma ancora prima protagonista di una corsa alle primarie che per qualche tempo ha impensierito il Pd. Il tratto politico della lista che ha sostenuto Frascaroli è proprio questo: unire il prodismo con l'esperienza di Sel. E che quella di ieri sia stata un'occasione tutta politica lo spiegano anche le parole usate da Vendola quando i giornalisti gli hanno chiesto il significato della sua iniziativa assieme all'ex presidente del Consiglio, eterna 'riserva della Repubblica': «Prodi rappresenta un punto di riferimento per tutti coloro che intendono costruire un centrosinistra capace di guardare al futuro». E ha aggiunto: «Siamo in una stagione nuova, abbiamo bisogno di mettere in campo un centrosinistra nuovo, un nuovo Ulivo, che sia capace di non impiccarsi all'albero delle ideologie, ma di essere in grado di convocare tutte le culture più avanzate per mettere in campo un programma di alternativa».
In controluce, e neanche troppo, si tratta di una risposta al suo padre nobile, quel Fausto Bertinotti che in questi giorni boccia l'alleanza di centrosinistra e straccia la fotografia della festa Idv di Vasto, quella con Bersani, Di Pietro e lo stesso Vendola fondatori di un pricnipio di nuova coalizione. Anche se alla domanda diretta su Bertinotti, il leader di Sel misura le parole: «Fausto Bertinotti conduce un'analisi della situazione del mondo e dell'Europa. Non dice che non serve il nuovo Ulivo - sottolinea Vendola-. È difficile immaginare che si possa rompere la compatibilità che tiene in piedi un'Europa fatta da liberisti e monetaristi. Ma io penso che ci dobbiamo provare. Penso che abbia ragione Bertinotti nell'analisi di un'Europa che si sta squagliando sotto il peso delle politiche liberiste. Ma proprio per questo che dobbiamo provarci, dobbiamo provare a costruire una sinistra di governo». Insomma, non è d'accordo, come del resto buona parte del suo partito. E per sottolinearlo, insiste su Bersani: «Andiamo molto d'accordo sul fatto che ci vuole un'alternativa allo scandalo istituzionale che è il governo Berlusconi. Lui pensa si possa guadagnare da un'esperienza di governo tecnico per raggiungere il voto anticipato, io penso che le elezioni anticipate siano una necessità immediata».
Tutto questo succede all'esterno dell'appuntamento. All'interno, neanche a dirlo, non mancano assonanze tra il professore e il leader di Sel. A partire da quella parola, crescita, invocata da tutti, da Vendola a Prodi. Il leader di Sel dice che, a differenza di quegli amici della sinistra che parlavano di decrescita, ora serve una crescita, sostenibile e per i giovani. E per capire meglio il suo concetto di crescita ricorre alla sua città: «Smettiamola di rincorrere il mito della crescita urbana. La mia città, Bari, ha duecentomila abitanti e il suo piano regolatore è vecchio di decenni e ne prevedeva ottocentomila. Non si deve più costruire, serve invece rimettere a posto le periferie urbane degradate. Ma dove discutiamo di queste cose? Dove discutiamo della politica industriale? La destra pensa che la politica industriale la fa il mercato, e parte della sinistra si è adattata a questa idea».
Prodi, manco a dirlo, non crede minimamente all'ipotesi di un default pilotato contenuta nelle tesi di Loretta Napoleoni e ricorre ad una delle sue immagini azzeccate: «Default pilotato? Se si comincia con il default pilotato vanno tutti in default. Chi lo pilota il default? Non lo pilota neanche Alonso».
Europa e ancora Europa, il filo rosso del Professore è sempre quello. E tutta l'amarezza nel constatare che questa Unione (europea) non c'è è in questa frase: «Gli Stati Uniti d'America sono più indebitati dell'Europa, ma non subiscono attacchi speculativi, perché sono uniti. Sono un cane grosso, e i cani grossi vengono sempre rispettati. L'Europa deve diventare un cane grosso».
di Daniela Preziosi
FONTE: il manifesto,30/09/2011
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