La serietà nell’iniziativa politica, in un momento nel quale
purtroppo cresce la sfiducia dei cittadini nei confronti dei partiti, è
più che mai necessaria. Vorrei quindi sottoporre ai sostenitori del
referendum, che dicono di voler abrogare l’attuale legge elettorale per
sostituirla con la precedente legge Mattarella, se hanno riflettuto
sulle conseguenze che si determineranno tra i cittadini, chiamati in
questi giorni a firmare, quando la Corte Costituzionale dichiarerà
inammissibili i quesiti.
Allo stato attuale della giurisprudenza della Consulta, questo esito negativo sarà infatti inevitabile.
Fin
dalla sua prima sentenza (29/1987), che riguardava la legge elettorale
del Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte Costituzionale
affermò che “l’organo, a composizione elettiva formalmente richiesta
dalla Costituzione, non può essere privato, neppure temporaneamente, del
complesso delle norme elettorali contenute nella propria legge di
attuazione. Tali norme elettorali potranno essere abrogate nel loro
insieme esclusivamente per sostituzione con una nuova disciplina,
compito che solo il legislatore rappresentativo è in grado di svolgere“.
Questo principio è ribadito da tutta la giurisprudenza successiva.
Il
primo dei due quesiti sottoposto in questi giorni alle firme dei
cittadini, che prevede l’abrogazione in toto della legge Calderoli, è
dunque palesemente inammissibile. Né si può sostenere, come pure ho
avuto purtroppo occasione di leggere, che l’abrogazione dell’attuale
legge fa rivivere quella precedente. Come dovrebbe essere noto, “la
natura del referendum abrogativo nel nostro sistema costituzionale è
quello di atto-fonte dell’ordinamento dello stesso rango della legge
ordinaria”. E, come si insegna al primo anno di giurisprudenza,
“l’abrogazione di una norma, che a sua volta aveva abrogato una norma
precedente, non fa rivivere quest’ultima” (cito dal noto manuale che
adotto per i miei studenti, il Torrente-Schlesinger). Naturalmente, se
uno studente rispondesse all’esame sostenendo il contrario, sarebbe
subito bocciato.
Probabilmente non ignari di ciò, i promotori
hanno proposto anche un secondo quesito, che abroga solo parzialmente la
legge Calderoli. La Corte costituzionale ha affermato, infatti, che il
referendum in materia elettorale è ammissibile se dal ”ritaglio” della
legge vigente emerge una normativa immediatamente applicabile: se cioè
si può andare a votare senza bisogno di ulteriori interventi
legislativi. In passato, proprio perché questo esito non era garantito
dal quesito, la Corte costituzionale (sent. 47/1991) dichiarò
inammissibile il referendum sulla legge elettorale del Senato; mentre,
avendo i promotori riformulato il quesito, la Corte lo ritenne questa
volta ammissibile (sent. 32/1993) appunto perché la normativa di risulta
avrebbe consentito l’operatività del sistema elettorale, senza alcun
ulteriore intervento del legislatore.
Per cercare di infilarsi in
questo spiraglio, i promotori hanno provato a ritagliare la legge
Calderoli, per far emergere una normativa direttamente applicabile. Ma
non ci sono riusciti. Diversi punti del quesito numero 2, infatti,
contengono abrogazioni di legge abrogate (mi si scusi il bisticcio). Il
quesito prevede in particolare l’abrogazione delle norme della legge
vigente, che a loro volta avevano abrogato i decreti legislativi sulla
determinazione dei collegi uninominali della Camera e del Senato. Ma,
come si ricordava, l’abrogazione non può far rivivere norme abrogate, e
quindi l’eventuale approvazione del quesito produrrebbe una legge priva
della normativa che riguarda il suo punto centrale, cioè l’adozione dei
collegi uninominali. Ne risulterebbe una legge non immediatamente
operativa, in contrasto con quanto richiesto dalla Corte costituzionale.
Chiedo
scusa per i tecnicismi. Sono anch’io contrario al “porcellum” (non
nascondo di essere favorevole a un sistema elettorale di tipo tedesco), e
comprendo le ragioni di un’iniziativa referendaria. Per esempio, quella
promossa da Passigli (il quesito sull’abolizione del premio di
maggioranza è sicuramente ammissibile). Ma, come dicevo all’inizio, il
problema è un altro: quando nei talk show televisivi sento promettere
che con i referendum si tornerà alla legge elettorale Mattarella, mi
indigno, come si dice adesso. Da giurista e da politico di altri tempi.
da Il Riformista
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua