La
crisi di una classe dominante che non riesce neppure a far fuori Berlusconi
di Leonardo Mazzei
di Leonardo Mazzei
La
realtà supera spesso l'immaginazione. Questa osservazione, figlia dell'umana
esperienza, trova una sua clamorosa conferma nei fatti di questi giorni.
«Berlusconi è malato, gli offro un posto nella mia comunità», l'ironia di Don
Gallo fotografa la situazione molto meglio dei professionisti della politica. La
«malattia» lo rende debole e ricattabile da tempo.
Ascoltare la registrazione della sua telefonata con Lavitola (si noti, dell'ottobre 2009), basta e avanza.
Fin qui nulla di particolare. Dettagli sulla miseria di un Paperone al tramonto, più un buffone vestito di banconote che un pericoloso dittatore pronto ad usare il pugno duro. Una miseria che peraltro ben simboleggia quella dell'intera classe politica, di maggioranza e di «opposizione», che gli fa da contorno.
Quel che dovrebbe stupire di più è la linea assunta dai suoi uomini, dal suo partito, dalla sua coalizione. Da due anni ci si chiede quando la Lega staccherà la spina, quando una parte del Pdl gli volterà le spalle, quando i veri candidati alla successione (Formigoni in primis) decideranno di passare all'azione. Perché, normalmente, alla fine di una leadership si reagisce lavorando ad una nuova dirigenza. Un compito che oggi appare invece così improbo da aver partorito niente meno che un Alfano...
La classe dirigente della destra sembra paralizzata, incapace di qualsiasi scatto. Vorrebbe che il capo-padrone scomparisse nel nulla, senza dover ricorrere né ad un 25 luglio né al veleno. Così facendo lasciano l'iniziativa alla magistratura, il cui timing certo casuale non è. E non può esserlo, perché ormai non è in gioco la semplice guida del governo, ma l'adozione di scelte decisive sulla crisi del debito. In gioco sono dunque anche gli interessi fondamentali della classe dominante. Ma anch'essa, al pari del più scalcinato gruppo dirigente della destra, sembra a corto di idee. O meglio, di idee ne avrebbe parecchie, pur di arrivare al suo scopo, ma per ora non riesce a concretizzarne nessuna.
E' in questo intreccio contraddittorio, tra la necessità di una svolta e l'incapacità di attuarla, che si svolge l'attuale «dramma» della classe dominante italiana. Una classe con diversi «partiti» all'interno, ma sostanzialmente unita nella volontà di restare nell'eurozona a tutti i costi. Non che non ci sia chi guarderebbe con un certo interesse ad un'uscita dall'euro, ma quel che prevale è il terrore per le prospettive politiche e sociali che si aprirebbero.
Per costoro l'Europa è un tabù, non tanto perché conveniente, ma perché è la gabbia dentro la quale l'oppressione di classe può dilatarsi fino a confini altrimenti irraggiungibili. Ecco la vera ragione di tanto «europeismo»!
Ricordiamoci per un attimo i contenuti della letterina di inizio agosto a firma Bce. In essa ci si preoccupava non solo dei conti pubblici, ma anche della libertà di licenziamento, del superamento del contratto nazionale (modello Marchionne), dell'accelerazione delle liberalizzazioni e soprattutto delle privatizzazioni. Un «vero programma di governo», venne definito da molti. E non più tardi di ieri, uno dei capi del partito anti-berlusconiano, Eugenio Scalfari, ha rimarcato che è stata una vera «fortuna» l'aver dovuto fare l'ultima manovra sotto diretta dettatura della Bce...
Ma se l'oligarchia più ristretta ha ormai capito che voler restare nell'euro comporta la necessità di una mega-finanziaria da 400-500 miliardi - dato che il punto non è tanto il pareggio di bilancio, quanto la necessità di ridurre drasticamente lo stock del debito - il problema è quello di mettere in piedi un governo che possa realizzare un obiettivo del genere. Che lo possa fare l'attuale governo è tassativamente escluso, che Berlusconi se ne debba andare è certo.
E qui nascono i problemi. Perché il Buffone di Arcore, sostanzialmente spalleggiato dal pur ondivago Bossi, non ha per ora intenzione di togliere il disturbo. Questo piccolo particolare è quello che impantana al momento ogni ipotesi di nuovo governo. L'incapacità di depurarsi della destra è il curioso granello di sabbia che inceppa il disegno delle oligarchie. Fino a quando non si sa, ma l'aggravarsi della crisi, assai più che le inchieste giudiziarie, fa pensare che il redde rationem sia ormai vicino. Volendo azzardare una data, credo che esso non potrà oltrepassare in ogni caso la fine del 2011.
La palla rimane dunque nel campo dei dominanti, ma essi sono obbligati a giocarla alla svelta, proprio perché temono che scocchi la scintilla della lotta sociale. Per impedirlo devono fare presto, seguendo un preciso schema ideale: caduta di Berlusconi, nascita di una sorta di governo d'emergenza con una larga base parlamentare, varo della mega-finanziaria attraverso un mix di patrimoniale, privatizzazioni ed ulteriore attacco a quel che resta del welfare. Un impasto apparentemente più «equo» - grazie alla patrimoniale e magari ad un intervento più articolato sul fisco - in grado di reggere (così almeno sperano) sul piano del consenso.
L'azzardo non è piccolo, ma il Dio Euro (sacro per le ragioni che abbiamo già detto) non ammette alternative. Da qui la fretta a concretizzare lo schema d'attacco di cui sopra.
Ascoltare la registrazione della sua telefonata con Lavitola (si noti, dell'ottobre 2009), basta e avanza.
Fin qui nulla di particolare. Dettagli sulla miseria di un Paperone al tramonto, più un buffone vestito di banconote che un pericoloso dittatore pronto ad usare il pugno duro. Una miseria che peraltro ben simboleggia quella dell'intera classe politica, di maggioranza e di «opposizione», che gli fa da contorno.
Quel che dovrebbe stupire di più è la linea assunta dai suoi uomini, dal suo partito, dalla sua coalizione. Da due anni ci si chiede quando la Lega staccherà la spina, quando una parte del Pdl gli volterà le spalle, quando i veri candidati alla successione (Formigoni in primis) decideranno di passare all'azione. Perché, normalmente, alla fine di una leadership si reagisce lavorando ad una nuova dirigenza. Un compito che oggi appare invece così improbo da aver partorito niente meno che un Alfano...
La classe dirigente della destra sembra paralizzata, incapace di qualsiasi scatto. Vorrebbe che il capo-padrone scomparisse nel nulla, senza dover ricorrere né ad un 25 luglio né al veleno. Così facendo lasciano l'iniziativa alla magistratura, il cui timing certo casuale non è. E non può esserlo, perché ormai non è in gioco la semplice guida del governo, ma l'adozione di scelte decisive sulla crisi del debito. In gioco sono dunque anche gli interessi fondamentali della classe dominante. Ma anch'essa, al pari del più scalcinato gruppo dirigente della destra, sembra a corto di idee. O meglio, di idee ne avrebbe parecchie, pur di arrivare al suo scopo, ma per ora non riesce a concretizzarne nessuna.
E' in questo intreccio contraddittorio, tra la necessità di una svolta e l'incapacità di attuarla, che si svolge l'attuale «dramma» della classe dominante italiana. Una classe con diversi «partiti» all'interno, ma sostanzialmente unita nella volontà di restare nell'eurozona a tutti i costi. Non che non ci sia chi guarderebbe con un certo interesse ad un'uscita dall'euro, ma quel che prevale è il terrore per le prospettive politiche e sociali che si aprirebbero.
Per costoro l'Europa è un tabù, non tanto perché conveniente, ma perché è la gabbia dentro la quale l'oppressione di classe può dilatarsi fino a confini altrimenti irraggiungibili. Ecco la vera ragione di tanto «europeismo»!
Ricordiamoci per un attimo i contenuti della letterina di inizio agosto a firma Bce. In essa ci si preoccupava non solo dei conti pubblici, ma anche della libertà di licenziamento, del superamento del contratto nazionale (modello Marchionne), dell'accelerazione delle liberalizzazioni e soprattutto delle privatizzazioni. Un «vero programma di governo», venne definito da molti. E non più tardi di ieri, uno dei capi del partito anti-berlusconiano, Eugenio Scalfari, ha rimarcato che è stata una vera «fortuna» l'aver dovuto fare l'ultima manovra sotto diretta dettatura della Bce...
Ma se l'oligarchia più ristretta ha ormai capito che voler restare nell'euro comporta la necessità di una mega-finanziaria da 400-500 miliardi - dato che il punto non è tanto il pareggio di bilancio, quanto la necessità di ridurre drasticamente lo stock del debito - il problema è quello di mettere in piedi un governo che possa realizzare un obiettivo del genere. Che lo possa fare l'attuale governo è tassativamente escluso, che Berlusconi se ne debba andare è certo.
E qui nascono i problemi. Perché il Buffone di Arcore, sostanzialmente spalleggiato dal pur ondivago Bossi, non ha per ora intenzione di togliere il disturbo. Questo piccolo particolare è quello che impantana al momento ogni ipotesi di nuovo governo. L'incapacità di depurarsi della destra è il curioso granello di sabbia che inceppa il disegno delle oligarchie. Fino a quando non si sa, ma l'aggravarsi della crisi, assai più che le inchieste giudiziarie, fa pensare che il redde rationem sia ormai vicino. Volendo azzardare una data, credo che esso non potrà oltrepassare in ogni caso la fine del 2011.
La palla rimane dunque nel campo dei dominanti, ma essi sono obbligati a giocarla alla svelta, proprio perché temono che scocchi la scintilla della lotta sociale. Per impedirlo devono fare presto, seguendo un preciso schema ideale: caduta di Berlusconi, nascita di una sorta di governo d'emergenza con una larga base parlamentare, varo della mega-finanziaria attraverso un mix di patrimoniale, privatizzazioni ed ulteriore attacco a quel che resta del welfare. Un impasto apparentemente più «equo» - grazie alla patrimoniale e magari ad un intervento più articolato sul fisco - in grado di reggere (così almeno sperano) sul piano del consenso.
L'azzardo non è piccolo, ma il Dio Euro (sacro per le ragioni che abbiamo già detto) non ammette alternative. Da qui la fretta a concretizzare lo schema d'attacco di cui sopra.
Ed è in questo quadro che vanno
lette le attuali fibrillazioni politiche, con le diverse forze parlamentari di
«opposizione» tutte tese a meglio posizionarsi per divenire strumento del
disegno salva-euro. Dove salva-euro significa salvataggio delle banche e delle
oligarchie europee, non certo dell'Italia, tanto meno degli italiani.
La fervida fantasia dell'italico politicantume non è però ancora riuscita a trovare la formula magica, non solo per cacciare il Buffone, ma soprattutto per sostituirlo con un esecutivo adatto alla bisogna. Ecco allora l'attuale ginepraio, dove ogni soluzione sembra debole quando non impraticabile.
Certo, a leggere i giornali sarebbe arrivato il momento di Casini, e già questo la dice lunga... Ma è così semplice? Non penso proprio. La destra lo vorrebbe reimbarcare in vista delle elezioni del 2013, ma quella scadenza è troppo lontana e poco credibile. Casini sarebbe disposto a finire l'attuale legislatura, entrando in un governo di destra non più guidato da Berlusconi? Assolutamente improbabile, essendo il suo obiettivo quello di guidare semmai una sorta di governo di «unità nazionale»; ma anche se avvenisse, una maggioranza allargata all'Udc non avrebbe certo il consenso per condurre in porto l'operazione salva-euro.
Casini, da parte sua, si muove nello spazio stretto tra il dover far cadere Berlusconi e il voler impedire a tutti i costi le elezioni anticipate. Elezioni da impedire, naturalmente per il «bene del paese» e soprattutto delle percentuali dell'Udc. L'ipotesi centrista - Udc + Fli + Api + il ciuffo di Monte(prez)zemolo - in caso di elezioni ha infatti un'unica certezza: il terzo posto tra le tre coalizioni in lizza. Un po' poco per questi incompresi salvatori dell'Italia.
D'altra parte, il governo di «unità nazionale» potrebbe nascere solo con il consenso dell'attuale maggioranza. Ora, vista la situazione niente può essere escluso, ma perché la destra - dopo essersi fatta defenestrare - dovrebbe dare il suo consenso ad una simile operazione, anziché cercare di cavalcare populisticamente una qualche forma di opposizione?
Posto che comunque il Buffone dovrà sloggiare, restano soltanto le elezioni anticipate. Che, come si è visto in Spagna (dove si svolgeranno in novembre), non sono poi il disastro che si dice. Ma che, nel caso italiano, non daranno in nessun modo una maggioranza reale, pur essendo certa - grazie alla legge elettorale - una consistente maggioranza parlamentare. Questo paradosso potrebbe finire per produrne un altro: la successiva alleanza di due coalizioni su tre, per arrivare ad un governo dei due terzi.
Fantapolitica? Vedremo, ma questa sembra l'unica via percorribile per portare in porto la mega-finanziaria salva-euro. Se il governo di unità nazionale non è oggi possibile, se «centristi» e «centrosinistra» non possono allearsi prima del voto, cosa impedirebbe - visti i punti che contano dei rispettivi programmi, vista soprattutto la convergenza dei rispettivi committenti - farlo dopo le elezioni in nome della «salvezza nazionale»?
Naturalmente questa è soltanto un'ipotesi. A giudizio di chi scrive più probabile delle altre. Che si realizzi, o che invece venga sostituita da un altro percorso dettato da circostanze in rapida evoluzione, quel che conta è comprendere la sostanza di quel che si va preparando: una gigantesca manovra finanziaria, tale da far scomparire come ridicole quelle varate questa estate.
Per le oligarchie dominanti tutto dovrà essere sacrificato in nome dell'euro e della riduzione del debito. La loro è una corsa contro il tempo, nella quale si serviranno indifferentemente di Bersani, Vendola, Di Pietro, Casini e chissà chi.
Chi vorrà impedire il disastro che si prepara, dovrà anch'esso mettersi a correre, ma - come il titolo di un album di De Andrè - in direzione ostinata e contraria.
Cacciare il Buffone è necessario, trattandosi di un'operazione di igiene pubblica indispensabile. Ma questo dovrà essere il primo passo per farla finita con l'intera classe politica di questa vomitevole seconda repubblichetta italiana, interamente al servizio della cupola finanziaria e dei suoi sacerdoti di Francoforte.
La fervida fantasia dell'italico politicantume non è però ancora riuscita a trovare la formula magica, non solo per cacciare il Buffone, ma soprattutto per sostituirlo con un esecutivo adatto alla bisogna. Ecco allora l'attuale ginepraio, dove ogni soluzione sembra debole quando non impraticabile.
Certo, a leggere i giornali sarebbe arrivato il momento di Casini, e già questo la dice lunga... Ma è così semplice? Non penso proprio. La destra lo vorrebbe reimbarcare in vista delle elezioni del 2013, ma quella scadenza è troppo lontana e poco credibile. Casini sarebbe disposto a finire l'attuale legislatura, entrando in un governo di destra non più guidato da Berlusconi? Assolutamente improbabile, essendo il suo obiettivo quello di guidare semmai una sorta di governo di «unità nazionale»; ma anche se avvenisse, una maggioranza allargata all'Udc non avrebbe certo il consenso per condurre in porto l'operazione salva-euro.
Casini, da parte sua, si muove nello spazio stretto tra il dover far cadere Berlusconi e il voler impedire a tutti i costi le elezioni anticipate. Elezioni da impedire, naturalmente per il «bene del paese» e soprattutto delle percentuali dell'Udc. L'ipotesi centrista - Udc + Fli + Api + il ciuffo di Monte(prez)zemolo - in caso di elezioni ha infatti un'unica certezza: il terzo posto tra le tre coalizioni in lizza. Un po' poco per questi incompresi salvatori dell'Italia.
D'altra parte, il governo di «unità nazionale» potrebbe nascere solo con il consenso dell'attuale maggioranza. Ora, vista la situazione niente può essere escluso, ma perché la destra - dopo essersi fatta defenestrare - dovrebbe dare il suo consenso ad una simile operazione, anziché cercare di cavalcare populisticamente una qualche forma di opposizione?
Posto che comunque il Buffone dovrà sloggiare, restano soltanto le elezioni anticipate. Che, come si è visto in Spagna (dove si svolgeranno in novembre), non sono poi il disastro che si dice. Ma che, nel caso italiano, non daranno in nessun modo una maggioranza reale, pur essendo certa - grazie alla legge elettorale - una consistente maggioranza parlamentare. Questo paradosso potrebbe finire per produrne un altro: la successiva alleanza di due coalizioni su tre, per arrivare ad un governo dei due terzi.
Fantapolitica? Vedremo, ma questa sembra l'unica via percorribile per portare in porto la mega-finanziaria salva-euro. Se il governo di unità nazionale non è oggi possibile, se «centristi» e «centrosinistra» non possono allearsi prima del voto, cosa impedirebbe - visti i punti che contano dei rispettivi programmi, vista soprattutto la convergenza dei rispettivi committenti - farlo dopo le elezioni in nome della «salvezza nazionale»?
Naturalmente questa è soltanto un'ipotesi. A giudizio di chi scrive più probabile delle altre. Che si realizzi, o che invece venga sostituita da un altro percorso dettato da circostanze in rapida evoluzione, quel che conta è comprendere la sostanza di quel che si va preparando: una gigantesca manovra finanziaria, tale da far scomparire come ridicole quelle varate questa estate.
Per le oligarchie dominanti tutto dovrà essere sacrificato in nome dell'euro e della riduzione del debito. La loro è una corsa contro il tempo, nella quale si serviranno indifferentemente di Bersani, Vendola, Di Pietro, Casini e chissà chi.
Chi vorrà impedire il disastro che si prepara, dovrà anch'esso mettersi a correre, ma - come il titolo di un album di De Andrè - in direzione ostinata e contraria.
Cacciare il Buffone è necessario, trattandosi di un'operazione di igiene pubblica indispensabile. Ma questo dovrà essere il primo passo per farla finita con l'intera classe politica di questa vomitevole seconda repubblichetta italiana, interamente al servizio della cupola finanziaria e dei suoi sacerdoti di Francoforte.
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