L’analisi
del voto siciliano, come spesso accade, si sta traducendo in una
disputa volta a dimostrare la bontà di posizionamenti politici definiti.
Il dato più evidente, compreso da tutti, è l’astensionismo record e la
vittoria di Grillo che, nonostante tutto, non è riuscito per ora a
convogliare su di sé tutto il voto in fuga dai partiti tradizionali.
Tutti questi partiti hanno infatti subito un tracollo in termini di
consenso, e il numero di voti persi dalle singole forze è
impressionante. Di fronte a questo terremoto le fragili infrastrutture
politiche crollano o sono in grave difficoltà, tutte le organizzazioni
della seconda repubblica vivono una fase di fibrillazione acuta. Tutti
coloro che vengono percepiti come parte de sistema subiscono quindi un
drastico ridimensionamento.
In
questo quadro l’asse Pd-Udc viene presentato come un blocco necessario
per stabilizzare l’intero sistema: l’asse attorno cui costruire il
governo del Paese. I segnali in questo senso sono eloquenti: Casini
chiama fuori l’Udc del Lazio dall’alleanza con il centrodestra,
esercitando una forte pressione per un accordo Pd-Udc almeno su Roma,
mentre Vendola dichiara la non impossibilità di allargare a Casini
stesso. Il baricentro della discussione, in buona sostanza, si è
spostato a destra.
In
Sicilia tale asse sostanzialmente andrà a riconfermare la maggioranza
che ha sostenuto Lombardo: cambiare tutto per non cambiare niente. La
destra, nella forma frammentata in cui si è presentata in Sicilia e al
netto della sconfitta del Pdl, sembra assumere delle sembianze
marcatamente reazionarie. Il malessere crescente figlio della crisi e la
frammentazione del corpo sociale trova oggi senza dubbio in Grillo un
catalizzatore formidabile. Un fenomeno di cui non possiamo conoscere la
durata ma che certamente assumerà un ruolo importante nelle prossime
elezioni politiche.
Il
risultato della sinistra è ovviamente negativo. Un dato che comunque in
Sicilia non può che essere largamente al di sotto della media
nazionale; non dire questo equivarrebbe a dire una mezza verità. Un
dato, quello siciliano, acuito dall’improvvida decisione dell’Idv di
rifiutare la lista unitaria a fronte dello sbarramento al 5%. Una lista
che se avesse raggiunto quel 6% totalizzato da Giovanna Marano avrebbe
determinato, almeno in termini di seggi, un saldo dignitoso. I numeri
sono in ogni caso largamente insufficienti e negativi. Ma quali
circostanze avrebbero dovuto determinare un risultato positivo?
Non
esiste un’iniziativa politica unitaria, se non quella portata
timidamente avanti sui Referendum sul lavoro. Non esiste un programma
attorno a cui la sinistra è effettivamente percepita quale alternativa
ai processi in atto e allo stesso sistema politico. Non esiste una
collocazione politica unitaria sul piano nazionale. Per quale ragione un
lavoratore avrebbe dovuto votare e mobilitarsi per un progetto così?
Alla
base di questa drammatica situazione vi è una gravissima responsabilità
soggettiva: siamo ormai a cinque anni dalla disfatta del 2008, eludere
il tema della ricostruzione anche in Italia di una forza comunista e di
una sinistra in grado di essere all’altezza della sfida sistemica che il
Capitale e la sua crisi impone è parte del problema generale.
La
questione dello spazio politico per una soggettività che ha questa
natura è un falso problema. In termini processuali lo spazio si
conquista, definendo un profilo strategico, un programma e attraverso un
lavoro d’insediamento frutto dell’iniziativa politica: decisivo è
l’elemento soggettivo. Con SeL che ha pensato velleitariamente di poter
lanciare un’OPA sul Pd e la FdS che ha fatto dell’immobilismo un
principio politico-organizzativo, le condizioni a cinque mesi dalle
elezioni non potevano essere diverse. Su questo, tanto nel presente come
nel futuro, non possono essere eluse le responsabilità.
Alla
luce dei suddetti elementi non convincono quelle posizioni che, per un
bizzarro automatismo, vogliono conferire alle elezioni siciliane
un’interpretazione tale da spingere la FdS, o parte di essa, ad un
accordo con il centrosinistra senza se e senza ma. Ad uscire rafforzata
da questa tornata elettorale è infatti l’ipotesi di governo
progressisti-moderati.
Il
primo obiettivo della FdS, nelle anguste condizione di cui sopra,
dovrebbe essere costruire un’ipotesi d’aggregazione con le forze di
sinistra che sono contro il governo Monti ed un programma per il Paese.
Almeno provarci. Le elezioni siciliane e la crisi verticale dell’Idv
hanno infatti messo in moto dinamiche che possono portare anche ad
un’evoluzione del quadro politico di questo tipo: quest’ipotesi è quindi
meno lontana di qualche settimana fa. Per capirci, stiamo parlando di
una coalizione che vada da De Magistris alla Federazione della Sinistra,
passando per tutti i soggetti politici e sociali che in maniera
frammentata si sono espressi in questi anni a sinistra contro il governo
Monti.
Un
fronte che potrebbe proporre una piattaforma definita (dall’art.18 alla
riforma delle pensioni) con la quale aprire un confronto anche con il
centrosinistra senza timori e subalternità, volendo quindi incalzare e
non inseguire Vendola nelle primarie.
Si
tratta di un’iniziativa politica con ogni probabilità non forte quanto
sarebbe necessario, ma si è costruito dell’altro? L’assenza d’iniziativa
politica, lo ripeto perché è il punto centrale, e l’immobilismo
paralizzante non hanno permesso ai comunisti e alla stessa FdS di porsi
alla guida di un processo di ricomposizione e rilancio che in questo
quadro avrebbe certamente prodotto, anche sul piano elettorale, ben
altre prospettive. La stessa questione dell’unificazione di Prc e PdCI
oggi avrebbe assunto più valore. La sfida, tosto che porsi alla coda di
qualcosa o qualcuno, avrebbe dovuto essere tentare di condizionare ed
influire in senso progressivo il quadro politico. La crisi dell’’Idv con
una FdS con un profilo politico chiaro avrebbe certamente disegnato un
quadro meno incerto.
Dopo
le primarie del Pd, con la verifica dei programmi e la definizione
della legge elettorale, sarà possibile scegliere con maggior
consapevolezza il percorso da intraprendere per le prossime elezioni. Un
percorso che deve cercare in ogni modo di non ipotecare negativamente
il futuro. Un futuro dominato dalla crisi economica, dal fiscal compact e
dal pareggio di bilancio. Una situazione che non può vedere la sola
estrema destra all’opposizione insieme a Grillo. Sarebbe un disastro.
Continuare
quindi a parlare dell’azione e della collocazione della FdS e non delle
singole forze che la compongono è importante: fino all’ultimo momento
non ci si deve rassegnare, infatti, ad una sua chiusura definitiva ed al
suo fallimento. Ovviamente fino a quando sarà possibile continuare a
sperare.
Pensare,
tuttavia, che la divisione della FdS avverrebbe in tale contesto, a
quattro mesi dalle elezioni, supera la percezione di irresponsabilità
che si è respirata in questi anni. L’eventuale rottura definitiva della
FdS non solo determina l’indebolimento di tutte le ipotesi elettorali,
ma mette ulteriormente in difficoltà il ruolo e la prospettiva dei
comunisti e della stessa sinistra nella tempesta che stiamo
attraversando.
Per
mantenerla unita la Federazione, oggettivamente, l’unica strada era
quella della consultazione degli iscritti, oppure può essere ancora oggi
quella di una mediazione che contenga effettivamente, nei limiti della
razionalità politica, le principali posizioni in campo. Finora questo
non è stato possibile. Non sta a me indicare esplicitamente le
responsabilità. Comunque la Federazione della Sinistra non si è
formalmente sciolta con l’ultimo Consiglio Nazionale. Se ciò avverrà,
avremo perso un’altra occasione. L’ennesima. Con la prospettiva ancora
tutta da costruire mentre cala la notte.
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua