lunedì 5 novembre 2012

Mentre cala la notte di Fabio Nobile


L’analisi del voto siciliano, come spesso accade, si sta traducendo in una disputa volta a dimostrare la bontà di posizionamenti politici definiti. Il dato più evidente, compreso da tutti, è l’astensionismo record e la vittoria di Grillo che, nonostante tutto, non è riuscito per ora a convogliare su di sé tutto il voto in fuga dai partiti tradizionali. Tutti questi partiti hanno infatti subito un tracollo in termini di consenso, e il numero di voti persi dalle singole forze è impressionante. Di fronte a questo terremoto le fragili infrastrutture politiche crollano o sono in grave difficoltà, tutte le organizzazioni della seconda repubblica vivono una fase di fibrillazione acuta. Tutti coloro che vengono percepiti come parte de sistema subiscono quindi un drastico ridimensionamento.
In questo quadro l’asse Pd-Udc viene presentato come un blocco necessario per stabilizzare l’intero sistema: l’asse attorno cui costruire il governo del Paese. I segnali in questo senso sono eloquenti: Casini chiama fuori l’Udc del Lazio dall’alleanza con il centrodestra, esercitando una forte pressione per un accordo Pd-Udc almeno su Roma, mentre Vendola dichiara la non impossibilità di allargare a Casini stesso. Il baricentro della discussione, in buona sostanza, si è spostato a destra.
In Sicilia tale asse sostanzialmente andrà a riconfermare la maggioranza che ha sostenuto Lombardo: cambiare tutto per non cambiare niente. La destra, nella forma frammentata in cui si è presentata in Sicilia e al netto della sconfitta del Pdl, sembra assumere delle sembianze marcatamente reazionarie. Il malessere crescente figlio della crisi e la frammentazione del corpo sociale trova oggi senza dubbio in Grillo un catalizzatore formidabile. Un fenomeno di cui non possiamo conoscere la durata ma che certamente assumerà un ruolo importante nelle prossime elezioni politiche.
Il risultato della sinistra è ovviamente negativo. Un dato che comunque in Sicilia non può che essere largamente al di sotto della media nazionale; non dire questo equivarrebbe a dire una mezza verità. Un dato, quello siciliano, acuito dall’improvvida decisione dell’Idv di rifiutare la lista unitaria a fronte dello sbarramento al 5%. Una lista che se avesse raggiunto quel 6% totalizzato da Giovanna Marano avrebbe determinato, almeno in termini di seggi, un saldo dignitoso. I numeri sono in ogni caso largamente insufficienti e negativi. Ma quali circostanze avrebbero dovuto determinare un risultato positivo?
Non esiste un’iniziativa politica unitaria, se non quella portata timidamente avanti sui Referendum sul lavoro. Non esiste un programma attorno a cui la sinistra è effettivamente percepita quale alternativa ai processi in atto e allo stesso sistema politico. Non esiste una collocazione politica unitaria sul piano nazionale. Per quale ragione un lavoratore avrebbe dovuto votare e mobilitarsi per un progetto così?
Alla base di questa drammatica situazione vi è una gravissima responsabilità soggettiva: siamo ormai a cinque anni dalla disfatta del 2008, eludere il tema della ricostruzione anche in Italia di una forza comunista e di una sinistra in grado di essere all’altezza della sfida sistemica che il Capitale e la sua crisi impone è parte del problema generale.
La questione dello spazio politico per una soggettività che ha questa natura è un falso problema. In termini processuali lo spazio si conquista, definendo un profilo strategico, un programma e attraverso un lavoro d’insediamento frutto dell’iniziativa politica: decisivo è l’elemento soggettivo. Con SeL che ha pensato velleitariamente di poter lanciare un’OPA sul Pd e la FdS che ha fatto dell’immobilismo un principio politico-organizzativo, le condizioni a cinque mesi dalle elezioni non potevano essere diverse. Su questo, tanto nel presente come nel futuro, non possono essere eluse le responsabilità.
Alla luce dei suddetti elementi non convincono quelle posizioni che, per un bizzarro automatismo, vogliono conferire alle elezioni siciliane un’interpretazione tale da spingere la FdS, o parte di essa, ad un accordo con il centrosinistra senza se e senza ma. Ad uscire rafforzata da questa tornata elettorale è infatti l’ipotesi di governo progressisti-moderati.
Il primo obiettivo della FdS, nelle anguste condizione di cui sopra, dovrebbe essere costruire un’ipotesi d’aggregazione con le forze di sinistra che sono contro il governo Monti ed un programma per il Paese. Almeno provarci. Le elezioni siciliane e la crisi verticale dell’Idv hanno infatti messo in moto dinamiche che possono portare anche ad un’evoluzione del quadro politico di questo tipo: quest’ipotesi è quindi meno lontana di qualche settimana fa. Per capirci, stiamo parlando di una coalizione che vada da De Magistris alla Federazione della Sinistra, passando per tutti i soggetti politici e sociali che in maniera frammentata si sono espressi in questi anni a sinistra contro il governo Monti.
Un fronte che potrebbe proporre una piattaforma definita (dall’art.18 alla riforma delle pensioni) con la quale aprire un confronto anche con il centrosinistra senza timori e subalternità, volendo quindi incalzare e non inseguire Vendola nelle primarie.
Si tratta di un’iniziativa politica con ogni probabilità non forte quanto sarebbe necessario, ma si è costruito dell’altro? L’assenza d’iniziativa politica, lo ripeto perché è il punto centrale, e l’immobilismo paralizzante non hanno permesso ai comunisti e alla stessa FdS di porsi alla guida di un processo di ricomposizione e rilancio che in questo quadro avrebbe certamente prodotto, anche sul piano elettorale, ben altre prospettive. La stessa questione dell’unificazione di Prc e PdCI oggi avrebbe assunto più valore. La sfida, tosto che porsi alla coda di qualcosa o qualcuno, avrebbe dovuto essere tentare di condizionare ed influire in senso progressivo il quadro politico. La crisi dell’’Idv con una FdS con un profilo politico chiaro avrebbe certamente disegnato un quadro meno incerto.
Dopo le primarie del Pd, con la verifica dei programmi e la definizione della legge elettorale, sarà possibile scegliere con maggior consapevolezza il percorso da intraprendere per le prossime elezioni. Un percorso che deve cercare in ogni modo di non ipotecare negativamente il futuro. Un futuro dominato dalla crisi economica, dal fiscal compact e dal pareggio di bilancio. Una situazione che non può vedere la sola estrema destra all’opposizione insieme a Grillo. Sarebbe un disastro.
Continuare quindi a parlare dell’azione e della collocazione della FdS e non delle singole forze che la compongono è importante: fino all’ultimo momento non ci si deve rassegnare, infatti, ad una sua chiusura definitiva ed al suo fallimento. Ovviamente fino a quando sarà possibile continuare a sperare.
Pensare, tuttavia, che la divisione della FdS avverrebbe in tale contesto, a quattro mesi dalle elezioni, supera la percezione di irresponsabilità che si è respirata in questi anni. L’eventuale rottura definitiva della FdS non solo determina l’indebolimento di tutte le ipotesi elettorali, ma mette ulteriormente in difficoltà il ruolo e la prospettiva dei comunisti e della stessa sinistra nella tempesta che stiamo attraversando.
Per mantenerla unita la Federazione, oggettivamente, l’unica strada era quella della consultazione degli iscritti, oppure può essere ancora oggi quella di una mediazione che contenga effettivamente, nei limiti della razionalità politica, le principali posizioni in campo. Finora questo non è stato possibile. Non sta a me indicare esplicitamente le responsabilità. Comunque la Federazione della Sinistra non si è formalmente sciolta con l’ultimo Consiglio Nazionale. Se ciò avverrà, avremo perso un’altra occasione. L’ennesima. Con la prospettiva ancora tutta da costruire mentre cala la notte.

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