L’intervento
di Piero Di Siena è davvero assai utile per chiarire a noi stessi la
situazione nella quale la sinistra di alternativa si trova in
quest’ultimo scorcio della legislatura, e per definire, sia pure in
estrema sintesi, una direzione di marcia da seguire, possibilmente, in
modo unitario.
La logica di fondo del ragionamento è pienamente condivisibile. Di Siena parte da un assunto implicito ma trasparente: l’unità delle forze sociali, politiche e intellettuali della sinistra è un valore irrinunciabile; essa va ricostruita con determinazione, nella consapevolezza che l’attuale segmentazione della sinistra è tale da frustrarne qualsiasi iniziativa e – ormai – da mettere a repentaglio la sua stessa esistenza nel nostro Paese. È lo schema di ragionamento entro il quale ci muoviamo da anni, che identifica la stessa ragion d’essere dei nostri «lavori in corso» e che ci sembra trarre conferma quotidiana non soltanto sul piano nazionale, ma anche in ambito continentale (con ogni evidenza lo scontro politico chiave si viene spostando sempre più sul terreno delle istituzioni comunitarie, verso le quali fluiscono quote crescenti di sovranità) e persino «globale».
Di Siena ha anche un secondo merito: il suo breve intervento precisa un elemento problematico sul quale spesso si tende a sorvolare. Le critiche mosse da sinistra alle politiche del rigore e del cosiddetto risanamento della finanza pubblica muovono, in larga misura, da premesse di stampo keynesiano. È convinzione condivisa a sinistra che oggi soltanto politiche espansive, che ruotassero intorno a una crescita della spesa pubblica (tesa in particolare alla crescita dell’occupazione e alla ricostruzione dei sistemi di welfare), potrebbero invertire la tendenza recessiva e – nello stesso tempo – provvedere una meno iniqua distribuzione del reddito. Ora Di Siena avverte che queste politiche riposano sul presupposto di un compromesso tra capitale e lavoro, cuore di un’agenda politica di stampo socialdemocratico. Ha ragione, e il tema meriterebbe di essere preso sul serio, senza reticenze né astuzie degne di miglior causa. Se è indubbio che l’orizzonte socialdemocratico differisce in radice dalla logica specifica dei processi di trasformazione sistemica (in senso proprio rivoluzionaria), non è meno vero che in questa fase storica esso disegnerebbe uno scenario ben più avanzato dell’attuale, e per ciò stesso definisce un quadro di riferimento essenziale per l’intero schieramento delle forze della sinistra, a cominciare dal mondo del lavoro: un quadro di riferimento – vale la pena di aggiungere – a partire dal quale soltanto appare realistico immaginare l’auspicabile avvio, in una fase ulteriore, di una dinamica di più radicale avanzamento.
Il riferimento allo schema keynesiano conferisce una base concreta all’appello di Di Siena all’unità della sinistra che, come abbiamo detto, condividiamo appieno. Questo stesso appello vorremmo tuttavia, a nostra volta, riformularlo con una lieve differenza di accenti per ciò che attiene alla struttura del percorso unitario, o, se vogliamo, alla sua asperità.
Di Siena invoca la «ricerca di un rapporto, dopo le primarie e in relazione al loro esito, con la coalizione che si è costruita attorno al Pd, al fine di riaprire un confronto (certamente difficile e dall’esito incerto) per la costruzione di un autentico schieramento di centrosinistra che superi, con realismo ma anche con determinazione, l’agenda Monti». L’accenno alla difficoltà del percorso non è soltanto opportuno: esso sembra bisognoso di qualche rafforzamento.
Qual è il punto? Come sempre, la questione cruciale concerne l’orientamento delle forze principali del centrosinistra a cominciare dal Pd, e l‘effettiva solidità delle opzioni progressive (autenticamente socialdemocratiche, per riprendere il discorso testé fatto) che vi si manifestano a fronte delle sedicenti propensioni «riformistiche», che hanno sin qui prevalso imprimendo all’azione del Pd (e delle formazioni che l’hanno preceduto) un timbro decisamente moderato.
Ripetiamo quindi, ancora una volta, quanto non ci stanchiamo di ribadire da lungo tempo.
Spetta a tutti noi – quale che sia la propria collocazione nell’ambito della sinistra di alternativa – esperire ogni possibilità di accrescere la «massa critica» di uno schieramento di forze che assuma a proprio obiettivo prioritario la difesa dei diritti del lavoro e delle classi subalterne. Siamo agli antipodi delle pulsioni minoritarie all’isolamento e alla chiusura settaria che non di rado prevalgono a sinistra e che recano gran parte delle responsabilità dell’attuale frammentazione. Condividiamo dunque senza riserve la convinzione, espressa da Di Siena, secondo cui «erigere steccati a sinistra, in ogni direzione, sarebbe solo segno di miopia».
Detto questo, avere a cuore l’efficacia dell’iniziativa unitaria implica anche una buona dose di realismo. Se è necessario incalzare i nostri potenziali interlocutori, se è prioritario avere a cura la massima coesione della sinistra (per questo condividiamo la valutazione positiva nei confronti dell’«appello dei 70»), occorre anche sapere – e dirsi – che molto dipenderà, nelle prossime settimane (anche in relazione alla discussione sulla legge elettorale, le alleanze e le coalizioni), da altre e maggiori forze, a cominciare proprio dal Pd (che dovrà necessariamente scegliere tra la sua anima neoliberista e quella lavorista) e dalla stessa Sel, la cui opzione di piena internità a questo centrosinistra non favorisce – come anche Di Siena sottolinea – lo sviluppo di una robusta dinamica critica.
La logica di fondo del ragionamento è pienamente condivisibile. Di Siena parte da un assunto implicito ma trasparente: l’unità delle forze sociali, politiche e intellettuali della sinistra è un valore irrinunciabile; essa va ricostruita con determinazione, nella consapevolezza che l’attuale segmentazione della sinistra è tale da frustrarne qualsiasi iniziativa e – ormai – da mettere a repentaglio la sua stessa esistenza nel nostro Paese. È lo schema di ragionamento entro il quale ci muoviamo da anni, che identifica la stessa ragion d’essere dei nostri «lavori in corso» e che ci sembra trarre conferma quotidiana non soltanto sul piano nazionale, ma anche in ambito continentale (con ogni evidenza lo scontro politico chiave si viene spostando sempre più sul terreno delle istituzioni comunitarie, verso le quali fluiscono quote crescenti di sovranità) e persino «globale».
Di Siena ha anche un secondo merito: il suo breve intervento precisa un elemento problematico sul quale spesso si tende a sorvolare. Le critiche mosse da sinistra alle politiche del rigore e del cosiddetto risanamento della finanza pubblica muovono, in larga misura, da premesse di stampo keynesiano. È convinzione condivisa a sinistra che oggi soltanto politiche espansive, che ruotassero intorno a una crescita della spesa pubblica (tesa in particolare alla crescita dell’occupazione e alla ricostruzione dei sistemi di welfare), potrebbero invertire la tendenza recessiva e – nello stesso tempo – provvedere una meno iniqua distribuzione del reddito. Ora Di Siena avverte che queste politiche riposano sul presupposto di un compromesso tra capitale e lavoro, cuore di un’agenda politica di stampo socialdemocratico. Ha ragione, e il tema meriterebbe di essere preso sul serio, senza reticenze né astuzie degne di miglior causa. Se è indubbio che l’orizzonte socialdemocratico differisce in radice dalla logica specifica dei processi di trasformazione sistemica (in senso proprio rivoluzionaria), non è meno vero che in questa fase storica esso disegnerebbe uno scenario ben più avanzato dell’attuale, e per ciò stesso definisce un quadro di riferimento essenziale per l’intero schieramento delle forze della sinistra, a cominciare dal mondo del lavoro: un quadro di riferimento – vale la pena di aggiungere – a partire dal quale soltanto appare realistico immaginare l’auspicabile avvio, in una fase ulteriore, di una dinamica di più radicale avanzamento.
Il riferimento allo schema keynesiano conferisce una base concreta all’appello di Di Siena all’unità della sinistra che, come abbiamo detto, condividiamo appieno. Questo stesso appello vorremmo tuttavia, a nostra volta, riformularlo con una lieve differenza di accenti per ciò che attiene alla struttura del percorso unitario, o, se vogliamo, alla sua asperità.
Di Siena invoca la «ricerca di un rapporto, dopo le primarie e in relazione al loro esito, con la coalizione che si è costruita attorno al Pd, al fine di riaprire un confronto (certamente difficile e dall’esito incerto) per la costruzione di un autentico schieramento di centrosinistra che superi, con realismo ma anche con determinazione, l’agenda Monti». L’accenno alla difficoltà del percorso non è soltanto opportuno: esso sembra bisognoso di qualche rafforzamento.
Qual è il punto? Come sempre, la questione cruciale concerne l’orientamento delle forze principali del centrosinistra a cominciare dal Pd, e l‘effettiva solidità delle opzioni progressive (autenticamente socialdemocratiche, per riprendere il discorso testé fatto) che vi si manifestano a fronte delle sedicenti propensioni «riformistiche», che hanno sin qui prevalso imprimendo all’azione del Pd (e delle formazioni che l’hanno preceduto) un timbro decisamente moderato.
Ripetiamo quindi, ancora una volta, quanto non ci stanchiamo di ribadire da lungo tempo.
Spetta a tutti noi – quale che sia la propria collocazione nell’ambito della sinistra di alternativa – esperire ogni possibilità di accrescere la «massa critica» di uno schieramento di forze che assuma a proprio obiettivo prioritario la difesa dei diritti del lavoro e delle classi subalterne. Siamo agli antipodi delle pulsioni minoritarie all’isolamento e alla chiusura settaria che non di rado prevalgono a sinistra e che recano gran parte delle responsabilità dell’attuale frammentazione. Condividiamo dunque senza riserve la convinzione, espressa da Di Siena, secondo cui «erigere steccati a sinistra, in ogni direzione, sarebbe solo segno di miopia».
Detto questo, avere a cuore l’efficacia dell’iniziativa unitaria implica anche una buona dose di realismo. Se è necessario incalzare i nostri potenziali interlocutori, se è prioritario avere a cura la massima coesione della sinistra (per questo condividiamo la valutazione positiva nei confronti dell’«appello dei 70»), occorre anche sapere – e dirsi – che molto dipenderà, nelle prossime settimane (anche in relazione alla discussione sulla legge elettorale, le alleanze e le coalizioni), da altre e maggiori forze, a cominciare proprio dal Pd (che dovrà necessariamente scegliere tra la sua anima neoliberista e quella lavorista) e dalla stessa Sel, la cui opzione di piena internità a questo centrosinistra non favorisce – come anche Di Siena sottolinea – lo sviluppo di una robusta dinamica critica.
Alberto Burgio - Lavori in corso a sinistra
La partita per la sinistra è aperta
L’iniziativa
di cui sono primi firmatari Gallino e Revelli per una lista di
alternativa alle prossime elezioni politiche ha il merito di introdurre
una positiva novità a sinistra. Sino a qualche giorno fa infatti, dopo
la disgregazione di fatto della Federazione della Sinistra e
l’implosione di Italia dei Valori, sembrava inevitabile che le istanze
radicali residue a sinistra dovessero fare da fanalino di coda al
potenziale connubio tra Grillo e Di Pietro e divenire subalterne a una
prospettiva politica segnata in prevalenza dal trasformismo e dal
populismo dilaganti.
Invece, l’iniziativa dei 70 firmatari del documento in questione si pone nettamente in competizione con il movimento di Grillo e può, in effetti, costituire a sinistra della coalizione che fa perno attorno al Pd un fattore che inverta la tendenza alla disgregazione e produca, fino a ieri insperati, fenomeni di coesione.
Mi auguro comunque che questa nuova aggregazione in fieri, che sembra muoversi in continuità con l’iniziativa di Alba di questi mesi, non ripeta l’errore di Rifondazione la cui rigidità è stata la causa della disgregazione della Federazione della Sinistra. Mi auguro cioè che si lasci aperto almeno uno spiraglio alla ricerca di un rapporto, dopo le primarie e in relazione al loro esito, con la coalizione che si è costruita attorno al Pd, al fine di riaprire un confronto (certamente difficile e dall’esito incerto) per la costruzione di un autentico schieramento di centrosinistra che superi, con realismo ma anche con determinazione, l’agenda Monti e sappia costruire un’alternativa alla lunga stagnazione a cui il Paese sembra essere condannato. Se non ci fosse l’obbligo di sottoscrivere da parte di ogni elettorale la carta d’intenti varata dal Pd, e purtroppo sottoscritta anche dal Sel e dai socialisti, mi sarebbe anche sembrato un utile segnale un sostegno alla candidatura di Vendola, deciso in totale autonomia e senza impegni per il futuro se non a seguito da una riapertura di una trattativa su un eventuale comune programma di governo.
Vi sono molteplici ragioni perché non si dia per irrimediabilmente perduta una prospettiva di centrosinistra. La prima riguarda la congiuntura politica e i caratteri che potranno assumere le prossime elezioni politiche. È infatti del tutto probabile che in un sistema elettorale, qualunque esso sia, in cui convivono premio di maggioranza e soglie di sbarramento scatti di nuovo, come nel 2008, il meccanismo del “voto utile”, di cui troppo facilmente è destinata a far le spese una lista stretta tra la coalizione tra Sel, socialisti e Pd e la rendita di posizione acquisita da Grillo.
Ma vi sono almeno altre due ragioni che riguardano la prospettiva. È del tutto evidente che è in corso il processo di dissoluzione dei partiti della Seconda Repubblica. Durante il prossimo quinquennio nessuna delle forze politiche attuali ne sarà esente. In questa situazione nella quale saranno messi in discussione gli assetti dell’intero sistema politico erigere steccati a sinistra, in ogni direzione, sarebbe solo segno di miopia.
Ma l’ultima e più importante ragione è che dalla crisi attuale in Europa sarà possibile uscire solo se si ristabilisce un compromesso tra capitale e lavoro. Se così non sarà non c’è nessuna scelta di tipo antagonistico che potrà salvare questa parte del mondo dalla gigantesca ristrutturazione della divisione internazionale del lavoro che è in atto. È in nome di questa prospettiva strategica che, a sinistra, non andrebbe archiviata la ricerca di una politica di centrosinistra. E se si fosse costretti a farlo bisognerebbe essere consapevoli che questo sarebbe il risultato di una cocente sconfitta di portata storica.
Per quel che riguarda gli indirizzi attuali della politica europea e degli impegni assunti dall’Italia (fiscal compact, pareggio di bilancio in Costituzione, ecc.), che il Pd ha voluto fossero dichiarati pressoché intangibili nella carta d’intenti, valgono le considerazioni fatte di recente da Luigi Vinci. Le decisioni a livello europeo hanno sempre il carattere di trattati tra Stati. Questo costituisce la debolezza dell’Europa ma è anche la ragione per la quale la loro effettiva attuazione è stata sempre affidata ai rapporti di forza che si venivano a determinare tra i singoli Paesi.
Modificare questi rapporti di forza è il compito più immediato. Insomma la partita ė aperta. E alla sinistra italiana tocca giocarla con rigore ma anche con lungimiranza. E con la consapevolezza che, dopo il 2008, siamo già al secondo tempo. E non è detto che ce ne sia un terzo.
Invece, l’iniziativa dei 70 firmatari del documento in questione si pone nettamente in competizione con il movimento di Grillo e può, in effetti, costituire a sinistra della coalizione che fa perno attorno al Pd un fattore che inverta la tendenza alla disgregazione e produca, fino a ieri insperati, fenomeni di coesione.
Mi auguro comunque che questa nuova aggregazione in fieri, che sembra muoversi in continuità con l’iniziativa di Alba di questi mesi, non ripeta l’errore di Rifondazione la cui rigidità è stata la causa della disgregazione della Federazione della Sinistra. Mi auguro cioè che si lasci aperto almeno uno spiraglio alla ricerca di un rapporto, dopo le primarie e in relazione al loro esito, con la coalizione che si è costruita attorno al Pd, al fine di riaprire un confronto (certamente difficile e dall’esito incerto) per la costruzione di un autentico schieramento di centrosinistra che superi, con realismo ma anche con determinazione, l’agenda Monti e sappia costruire un’alternativa alla lunga stagnazione a cui il Paese sembra essere condannato. Se non ci fosse l’obbligo di sottoscrivere da parte di ogni elettorale la carta d’intenti varata dal Pd, e purtroppo sottoscritta anche dal Sel e dai socialisti, mi sarebbe anche sembrato un utile segnale un sostegno alla candidatura di Vendola, deciso in totale autonomia e senza impegni per il futuro se non a seguito da una riapertura di una trattativa su un eventuale comune programma di governo.
Vi sono molteplici ragioni perché non si dia per irrimediabilmente perduta una prospettiva di centrosinistra. La prima riguarda la congiuntura politica e i caratteri che potranno assumere le prossime elezioni politiche. È infatti del tutto probabile che in un sistema elettorale, qualunque esso sia, in cui convivono premio di maggioranza e soglie di sbarramento scatti di nuovo, come nel 2008, il meccanismo del “voto utile”, di cui troppo facilmente è destinata a far le spese una lista stretta tra la coalizione tra Sel, socialisti e Pd e la rendita di posizione acquisita da Grillo.
Ma vi sono almeno altre due ragioni che riguardano la prospettiva. È del tutto evidente che è in corso il processo di dissoluzione dei partiti della Seconda Repubblica. Durante il prossimo quinquennio nessuna delle forze politiche attuali ne sarà esente. In questa situazione nella quale saranno messi in discussione gli assetti dell’intero sistema politico erigere steccati a sinistra, in ogni direzione, sarebbe solo segno di miopia.
Ma l’ultima e più importante ragione è che dalla crisi attuale in Europa sarà possibile uscire solo se si ristabilisce un compromesso tra capitale e lavoro. Se così non sarà non c’è nessuna scelta di tipo antagonistico che potrà salvare questa parte del mondo dalla gigantesca ristrutturazione della divisione internazionale del lavoro che è in atto. È in nome di questa prospettiva strategica che, a sinistra, non andrebbe archiviata la ricerca di una politica di centrosinistra. E se si fosse costretti a farlo bisognerebbe essere consapevoli che questo sarebbe il risultato di una cocente sconfitta di portata storica.
Per quel che riguarda gli indirizzi attuali della politica europea e degli impegni assunti dall’Italia (fiscal compact, pareggio di bilancio in Costituzione, ecc.), che il Pd ha voluto fossero dichiarati pressoché intangibili nella carta d’intenti, valgono le considerazioni fatte di recente da Luigi Vinci. Le decisioni a livello europeo hanno sempre il carattere di trattati tra Stati. Questo costituisce la debolezza dell’Europa ma è anche la ragione per la quale la loro effettiva attuazione è stata sempre affidata ai rapporti di forza che si venivano a determinare tra i singoli Paesi.
Modificare questi rapporti di forza è il compito più immediato. Insomma la partita ė aperta. E alla sinistra italiana tocca giocarla con rigore ma anche con lungimiranza. E con la consapevolezza che, dopo il 2008, siamo già al secondo tempo. E non è detto che ce ne sia un terzo.
Piero Di Siena - Lavori in corso a sinistra
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