Nel 1976 Samuel Huntington scriveva in La crisi della democrazia
che: «…è difficile per i governi democratici tagliare la spesa,
aumentare le tasse e controllare i prezzi e i salari».
Questo a causa di una perdita di legittimità ed autorità dei leader nazionali, dovuta ad un “eccesso ” di democrazia. Casualmente il testo era un rapporto della Trilaterale, organizzazione dell’élite imprenditoriale e finanziaria mondiale, di cui Monti è stato chairman per l’Europa fino alla sua nomina, piuttosto irrituale, a premier italiano. Il tanto esaltato recupero di autorità del governo italiano è servito a fare quello che altri non facevano a sufficienza, come aumentare l’i m po s i zi one fiscale a sfavore di certi settori sociali. Per la verità, sono almeno venti anni che tutti i governi osservano determinate linee guida: aumentare le imposte indirette, che per loro natura pesano sui redditi più bassi, ridurre la progressività delle imposte dirette, per loro natura più “ugualitarie ”, e diminuire la pressione fiscale sulle imprese e sui ricchi.
Infatti, le imposte indirette sono passate, secondo la Banca d’Italia, dall’11,7% del Pil nel 1993 al 14% nel 2010, mentre quelle dirette sono passate dal 15,7% al 14,6%. Questo è dovuto, da una parte, all’aumento progressivo dell’Iva e delle accise, in specie quelle sui carburanti e, dall’altra, alla riduzione delle aliquote massime dell ’Irpef. Pensiamo che al momento della sua introduzione (1976) l’Irpef era un vera imposta progressiva che gravava in proporzione al reddito, avendo ben 32 scaglioni e relative aliquote, e avendo l’aliquota massima, oltre i 550 milioni di lire, al 72%. Successivamente, dall’83 al l’85, gli scaglioni furono a nove, con aliquota massima al 65%, che dall’86 al l’88 passò al 62%. Nell’89 gli scaglioni furono portati a sette e l’aliquota massima al 50%, dal ’98 al 2000 gli scaglioni furono cinque e l’aliquota massima al 45,5%, che nel 2001 venne ridotta al 45% e nel 2007 al 43%, dove si trova ancora oggi. La cosa assurda è che chi ha un reddito di 100mila euro paga il 43% sull’eccedente i 75mila euro, come il grande manager che percepisce redditi di un milione di euro e come il grande imprenditore che ne percepisce 10 milioni. Ma è ancora più assurdo che per permettere ai settori più ricchi di pagare aliquote basse, si sia aumentata la pressione fiscale indiretta e diretta sui redditi più bassi. E che si siano aumentate le tasse, che a differenza delle imposte, sono il contributo dei cittadini ai servizi erogati dallo Stato, come i ticket sanitari. Dall ’altro lato, le imposte alle imprese sono state progressivamente ridotte, Nel 2007 l’Ires, imposta sul reddito delle imprese, fu ridotta dal 33% al 27,5% e l’Irap al 3,9% dal 4,25%, abolendo l’art. 98 del Tuir che disciplinava la sottocapitalizzazione, usata dalle imprese per pagare meno tasse.
Il governo Monti con la Legge di stabilità ha accentuato queste tendenze. Iva e accise non hanno mai subito aumenti così forti. A peggiorare le cose è stata reintrodotta l’imposta sulla prima casa, che, data la diffusione della proprietà della casa di abitazione fra i lavoratori, è un vera patrimoniale sui poveri. A Roma una prima casa media di circa 100mq in un quartiere non centrale arriva tranquillamente ai mille euro. Dall’altro lato, le imposte sulle imprese sono state ridotte, sia attraverso l’aumento delle deduzioni Irap, sia attraverso la detassazione del lavoro notturno, festivo e straordinario, fatto passare indebitamente come incentivo al “salario di produttività ”.
Per risolvere l’eccesso di pressione fiscale si sono avanzate diverse ricette. La più gettonata è la lotta all’evasione fiscale. Questa è, però, focalizzata sulla piccola evasione fiscale, fatta da artigiani e piccoli commercianti, mentre non si considera che la vera perdita di gettito fiscale è dovuta al grande capitale. In realtà, quest’ultimo ed i ricchi in genere, più che cadere nell’evasione, praticano l’elusione. Le più facilitate nell’elusione sono le multinazionali, che, a differenza della piccole e medie imprese, possono spostarsi agevolmente da un paese all’altro . Un esempio è la famiglia Agnelli che, a seguito della fusione con Chn, ha manifestato l’intenzione di spostare la sede legale di Fiat industrial in Olanda, dove si pagano meno tasse.
Il problema maggiore è quello dei paradisi fiscali, sia quelli nella Ue, come il Lussemburgo, sia quelli nell’ex impero britannico. La Commissione europea dovrebbe preoccuparsi, più che dello spread, di risolvere tali situazioni con leggi ad hoc. Un’altra soluzione sarebbe la patrimoniale, che presenta, però, il rischio di andare a colpire, come accaduto nel passato, indiscriminatamente. L’unica patrimoniale praticabile è una patrimoniale progressiva, che escluda i patrimoni piccoli e colpisca i veri grandi patrimoni, come quelli immobiliari delle finanziarie. Il problema non sta solo nell’eccesso di pressione fiscale, ma soprattutto nella pressione squilibrata a sfavore dei lavoratori dipendenti e anche autonomi.
La soluzione più praticabile sarebbe il ristabilimento di una vera progressività dell ’Irpef, basata sull’introduzione di almeno altri cinque o sei scaglioni, in modo da portare l’aliquota massima dal 43% ad almeno il 60%. In ogni caso, il vero problema sta nella volontà politica. La proposta di Holland di aumentare l’aliquota massima al 75% è durata lo spazio della campagna elettorale, mentre l’Iva, contro ogni promessa, è stata aumentata.
Questo a causa di una perdita di legittimità ed autorità dei leader nazionali, dovuta ad un “eccesso ” di democrazia. Casualmente il testo era un rapporto della Trilaterale, organizzazione dell’élite imprenditoriale e finanziaria mondiale, di cui Monti è stato chairman per l’Europa fino alla sua nomina, piuttosto irrituale, a premier italiano. Il tanto esaltato recupero di autorità del governo italiano è servito a fare quello che altri non facevano a sufficienza, come aumentare l’i m po s i zi one fiscale a sfavore di certi settori sociali. Per la verità, sono almeno venti anni che tutti i governi osservano determinate linee guida: aumentare le imposte indirette, che per loro natura pesano sui redditi più bassi, ridurre la progressività delle imposte dirette, per loro natura più “ugualitarie ”, e diminuire la pressione fiscale sulle imprese e sui ricchi.
Infatti, le imposte indirette sono passate, secondo la Banca d’Italia, dall’11,7% del Pil nel 1993 al 14% nel 2010, mentre quelle dirette sono passate dal 15,7% al 14,6%. Questo è dovuto, da una parte, all’aumento progressivo dell’Iva e delle accise, in specie quelle sui carburanti e, dall’altra, alla riduzione delle aliquote massime dell ’Irpef. Pensiamo che al momento della sua introduzione (1976) l’Irpef era un vera imposta progressiva che gravava in proporzione al reddito, avendo ben 32 scaglioni e relative aliquote, e avendo l’aliquota massima, oltre i 550 milioni di lire, al 72%. Successivamente, dall’83 al l’85, gli scaglioni furono a nove, con aliquota massima al 65%, che dall’86 al l’88 passò al 62%. Nell’89 gli scaglioni furono portati a sette e l’aliquota massima al 50%, dal ’98 al 2000 gli scaglioni furono cinque e l’aliquota massima al 45,5%, che nel 2001 venne ridotta al 45% e nel 2007 al 43%, dove si trova ancora oggi. La cosa assurda è che chi ha un reddito di 100mila euro paga il 43% sull’eccedente i 75mila euro, come il grande manager che percepisce redditi di un milione di euro e come il grande imprenditore che ne percepisce 10 milioni. Ma è ancora più assurdo che per permettere ai settori più ricchi di pagare aliquote basse, si sia aumentata la pressione fiscale indiretta e diretta sui redditi più bassi. E che si siano aumentate le tasse, che a differenza delle imposte, sono il contributo dei cittadini ai servizi erogati dallo Stato, come i ticket sanitari. Dall ’altro lato, le imposte alle imprese sono state progressivamente ridotte, Nel 2007 l’Ires, imposta sul reddito delle imprese, fu ridotta dal 33% al 27,5% e l’Irap al 3,9% dal 4,25%, abolendo l’art. 98 del Tuir che disciplinava la sottocapitalizzazione, usata dalle imprese per pagare meno tasse.
Il governo Monti con la Legge di stabilità ha accentuato queste tendenze. Iva e accise non hanno mai subito aumenti così forti. A peggiorare le cose è stata reintrodotta l’imposta sulla prima casa, che, data la diffusione della proprietà della casa di abitazione fra i lavoratori, è un vera patrimoniale sui poveri. A Roma una prima casa media di circa 100mq in un quartiere non centrale arriva tranquillamente ai mille euro. Dall’altro lato, le imposte sulle imprese sono state ridotte, sia attraverso l’aumento delle deduzioni Irap, sia attraverso la detassazione del lavoro notturno, festivo e straordinario, fatto passare indebitamente come incentivo al “salario di produttività ”.
Per risolvere l’eccesso di pressione fiscale si sono avanzate diverse ricette. La più gettonata è la lotta all’evasione fiscale. Questa è, però, focalizzata sulla piccola evasione fiscale, fatta da artigiani e piccoli commercianti, mentre non si considera che la vera perdita di gettito fiscale è dovuta al grande capitale. In realtà, quest’ultimo ed i ricchi in genere, più che cadere nell’evasione, praticano l’elusione. Le più facilitate nell’elusione sono le multinazionali, che, a differenza della piccole e medie imprese, possono spostarsi agevolmente da un paese all’altro . Un esempio è la famiglia Agnelli che, a seguito della fusione con Chn, ha manifestato l’intenzione di spostare la sede legale di Fiat industrial in Olanda, dove si pagano meno tasse.
Il problema maggiore è quello dei paradisi fiscali, sia quelli nella Ue, come il Lussemburgo, sia quelli nell’ex impero britannico. La Commissione europea dovrebbe preoccuparsi, più che dello spread, di risolvere tali situazioni con leggi ad hoc. Un’altra soluzione sarebbe la patrimoniale, che presenta, però, il rischio di andare a colpire, come accaduto nel passato, indiscriminatamente. L’unica patrimoniale praticabile è una patrimoniale progressiva, che escluda i patrimoni piccoli e colpisca i veri grandi patrimoni, come quelli immobiliari delle finanziarie. Il problema non sta solo nell’eccesso di pressione fiscale, ma soprattutto nella pressione squilibrata a sfavore dei lavoratori dipendenti e anche autonomi.
La soluzione più praticabile sarebbe il ristabilimento di una vera progressività dell ’Irpef, basata sull’introduzione di almeno altri cinque o sei scaglioni, in modo da portare l’aliquota massima dal 43% ad almeno il 60%. In ogni caso, il vero problema sta nella volontà politica. La proposta di Holland di aumentare l’aliquota massima al 75% è durata lo spazio della campagna elettorale, mentre l’Iva, contro ogni promessa, è stata aumentata.
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