La discussione su quanto sta accadendo nel Pd ha raggiunto da
ultimo vette di ineguagliabile futilità. Ora si discute, in quel
partito e intorno a quel partito, sulla misura del legittimo
dissenso. Niente di meno. Tutto pur di evitare di guardare in faccia
la realtà e le proprie smisurate responsabilità. Cerchiamo di
fare almeno noi uno sforzo di serietà e di ragionare politicamente
su questa partita che tutto è meno che una discussione interna a un
gruppo dirigente. Perché c’è di mezzo, lo si voglia o meno, una buona
fetta del destino di noi tutti e di questo paese.
Un buon modo per cominciare
è chiedersi che cosa sia il renzismo. Che si può ormai definire, in
modo sintetico e preciso, un fenomeno di destra mascherato da vaghe
sembianze di centro-sinistra. È inutile attardarsi in esempi, anche
se è bene non dimenticare che una delle ragioni del disastro
italiano (e non la minore delle responsabilità di chi ha diretto la
mutazione genetica del Pci prima, del Pds e dei Ds poi) risiede nel
fatto che gran parte dell’elettorato progressista non è in grado di
comprendere. Per cui rimane sotto ipnosi e vota per il Pd
indipendentemente da ciò che esso è diventato e fa, nell’astratta
convinzione di compiere una scelta «di sinistra».
Ma da quando il renzismo è un
fenomeno di destra travestito? Meglio: da quando lo è in modo
evidente, almeno agli occhi di chi è in grado di decifrare la
politica? Ammettiamo che la preistoria fiorentina del
presidente del Consiglio non fosse univoca sotto questo punto
di vista.
Concediamo che le parole d’ordine
della rottamazione e il braccio di ferro per le primarie aperte
potessero ingannare gli ingenui (o gli sprovveduti). Fingiamo
quindi che si dovesse stare per qualche tempo a vedere che cosa
combinava il nuovo governo dopo l’occupazione manu militari di
palazzo Chigi. Resta che la maschera Renzi se l’è tolta
clamorosamente già l’estate scorsa, nel primo scontro durissimo su
una «riforma» costituzionale dichiaratamente volta ad accentrare
nelle mani del governo il potere legislativo e a trasformare il
parlamento della Repubblica in una riedizione della Camera dei
Fasci e delle Corporazioni.
È trascorso poco meno di un anno e moltissima acqua è passata sotto i ponti.
È trascorso poco meno di un anno e moltissima acqua è passata sotto i ponti.
Acqua inquinata e inquinante che ha
investito, travolgendoli, diritti e condizioni materiali di vita
e di lavoro (o di non lavoro) di milioni di persone. Acqua limacciosa
e putrida che si chiama jobs act e italicum; tagli lineari al welfare
e ancora soldi pubblici alle scuole private; acquisto di decine di
cacciabombardieri e aumento della pressione fiscale sul lavoro
dipendente ed eterodiretto; la bufala populista degli 80 euro
e l’urto frontale con i sindacati; la cancellazione del Senato
elettivo e decine di voti di fiducia e di decreti-legge; deleghe
legislative in bianco e continue violazioni dei regolamenti
parlamentari; patto del Nazareno e indecorose tresche con
Marchionne e Confindustria. E ancora migliaia di tweet di
autoincensamento compulsivo, da fare invidia al dittatore dello
Stato libero di Bananas.
Bene: che cosa ha fatto la fronda interna del Pd in questo non breve arco di tempo?
Bene: che cosa ha fatto la fronda interna del Pd in questo non breve arco di tempo?
Quali risultati ha portato a casa nel
suo infinito psicodramma (esco non esco, scindo non scindo, voto non
voto, mi dimetto no resto, mugugno ma mi allineo)? Di questo
bisognerebbe parlare finalmente, senza tante chiacchiere sui
massimi sistemi. E forse si evita con cura di farlo perché il
bilancio è semplicemente disastroso. Non solo perché Renzi ha
potuto sin qui fare e disfare a proprio piacimento, nonostante non
avesse (e a rigore non abbia ancora) i numeri, almeno in Senato.
Non solo perché si è fatto in modo che
la confusione aumentasse a dismisura nel paese, e con essa il
disgusto per la politica politicante.
Non solo perché si è alimentata la vergogna del trasformismo parlamentare, regalando ogni mese nuove truppe mercenarie al padrone trionfante, secondo le migliori tradizioni del paese.
Non solo perché si è alimentata la vergogna del trasformismo parlamentare, regalando ogni mese nuove truppe mercenarie al padrone trionfante, secondo le migliori tradizioni del paese.
Ma anche, soprattutto, perché, con uno
stillicidio di penultimatum e di voltafaccia e di finte
trattative e ancor più finte concessioni strappate al dominus, si
è impedito al popolo della sinistra di orientarsi in una battaglia
per la difesa della Costituzione e per un minimo di giustizia
sociale che è ormai la più drammatica emergenza all’ordine del
giorno.
Ora, si dice, qualcosa sta cambiando.
Persino il teorico della ditta – sino a ieri l’alleato più zelante del
premier – non si fida più (ma lo dice già da un mese) e fa la faccia
truce. O l’italicum cambia o saranno sfracelli. Peccato che le cose
davvero inaccettabili – il divieto di apparentamento e il premio
stratosferico al partito di maggioranza relativa – nessuno le
metta sul serio di discussione. Che si continui a invocare «un segno
di attenzione» per poter continuare la manfrina. E che si fugga
come la peste, invece, qualsiasi iniziativa unitaria volta
a mandare a casa un governo che è un serio pericolo per la democrazia.
Perché di questo si tratta e chi si
ostina a negarlo non rappresenta un problema né per Renzi né per la
sua impresa. I sedicenti oppositori continuano a fraintendere la
questione pensando che lo scontro riguardi il loro partito, se non
la loro fazione. No. La verità è che siamo al gran finale di una storia
più che ventennale di liquidazione della sinistra italiana.
Il generoso tentativo della Fiom di
unire le forze sociali colpite dalla crisi e dalle politiche
padronali del governo ne è a ben vedere la conferma più netta perché
dimostra in modo flagrante che nulla di buono si muove nei paraggi
della politica e che il sindacato – la sua componente più avanzata
– è al momento l’unica risorsa disponibile per una rinascita.
Ma questa situazione deve cambiare
perché non ci sarà coalizione sociale che tenga finché il mondo del
lavoro resterà senza una rappresentanza politica. E già si è perso
troppo tempo. Questa è la verità obiettiva sottesa allo (e nascosta
dallo) psicodramma del Pd. Prima si avrà l’onestà di riconoscerlo
e meglio sarà.
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