sabato 10 novembre 2012

Cambiare si può, a sinistra una nuova fase per battere Monti di Vittorio Bonanni


Una cura ricostituente, una ventata di creatività, un andare oltre i soliti schemi e le solite divisioni che hanno caratterizzato e continuano a rendere difficile la vita della sinistra d’alternativa. Chiamiamolo come ci pare ma questo appello “Cambiare si può! Noi ci siamo”, firmato da decine e decine di esponenti del mondo della cultura, del sindacato, dell’associazionismo, era proprio quello che ci voleva in un momento, tanto per cambiare, difficile per chi sta a sinistra del Pd, schiacciato tra la scelta di Sel di collocarsi nella Carta d’Intenti di Bersani, i grillini e il rischio astensionismo. Senza dimenticare il grave strappo all’interno della Federazione della Sinistra, con la decisione di Diliberto, Salvi e Patta di allearsi con Bersani e non partecipare al No Monti Day. Insomma, diciamo pure: ci voleva! Anche se con la consapevolezza che, pur avendo ora una marcia in più, la strada resta ancora in salita, da prima ridotta per utilizzare ancora un gergo automobilistico. A differenza delle paginette condivise dal Pd, da Sel e dal Psi di Nencini, il testo di “Cambiare si può”, i cui primi firmatari sono il sociologo Luciano Gallino, il magistrato Livio Pepino del Gruppo Abele, lo storico Marco Revelli, il vicepresidente di Libera Don Cozzi, Antonio Di Luca, operaio Fiom di Pomigliano, iscritto a Rifondazione e Chiara Sasso, coordinatrice Rete dei Comuni Solidali, prende nettamente di petto un modello sociale-europeo schiacciato sulle compatibilità economico-finanziarie che non lascia alcuno spazio ad una ripresa della politica, della quale farebbero volentieri a meno i padroni del Vecchio continente. Una netta presa di posizione dunque contro l’agenda Monti.
Parlavamo delle difficoltà. Il primo dicembre è già previsto un incontro importante tra gli autori di questo appello, e chi lo sta sostenendo come Rifondazione Comunista e il sindaco di Napoli De Magistris. Ma che cosa succederà ora? Si riuscirà ad arrivare ad una lista comune da proporre alle elezioni? E quali ostacoli si potranno incontrare in un ambiente che ha troppo spesso privilegiato lo scontro (vedi le tante, troppe scissioni che si sono verificate all’interno del Prc) piuttosto che valorizzare le affinità? Ne abbiamo parlato appunto con alcuni dei sostenitori di questa “Carta d’Intenti” di sinistra. «Il rapporto tra questo appello e i suoi firmatari con le altre forze della sinistra – dice Livio Pepino, magistrato e responsabile delle edizioni Gruppo Abele – lo vedo insieme di alternativa e di necessità. Mi spiego meglio. Io credo che l’esperienza di queste ultime elezioni siciliane dimostri che quella modalità che le forze di sinistra hanno scelto per essere elettoralmente presenti si sia rivelato fallimentare. Non intercettano più un bisogno, un elettorato e dunque bisogna trovare delle forme nuove che, pur non cedendo alla demagogia dei più giovani e dei rottamatori, aiutino a capire che o si cambia anche il modo di porsi di fronte all’elettorato o, al contrario, non si va da nessuna parte». Pepino fa diretto riferimento all’esperienza catastrofica della Sinistra Arcobaleno. «Quel tentativo – dice il magistrato – realizzato a tavolino dalle segreterie dei partiti è l’ultima delle cose che bisogna fare. Si deve invece partire dal basso, cercando modi nuovi per selezionare anche un nuovo personale politico con un diverso tipo di rappresentanza.  Sotto un altro profilo, è chiaro che noi, senza alcuna presunzione, vogliamo essere proprio l’elemento che consente di riprendere un cammino, potenzialmente insieme a tutta una serie di forze che sono inevitabilmente quelle della sinistra. Senza pretendere di dire “noi abbiamo capito tutto e gli altri non hanno capito nulla“, e senza pensare di fondare l’ennesimo partitino. Ed essere invece coloro che riescono a mettere in rete e a far collaborare in modi nuovi delle forze nuove con altre più tradizionali che si muovono su terreni più specifici, come quello del lavoro o dell’ambiente».
Sulle modalità possibili per coniugare tutto questo con una lista elettorale Pepino non nasconde le difficoltà, soprattutto a pochissimi giorni dalla presentazione dell’appello: «Faccio mia la metafora della palla di neve: che se va bene diventa una valanga; altrimenti si scioglie. Per affrontare questo problema abbiamo organizzato un’assemblea pubblica questo primo dicembre, che dovrà essere in qualche misura costitutiva. C’è un mese davanti, anche meno, per fare una serie di iniziative, per raccogliere delle adesioni, per lanciare degli appelli, per fare delle proposte ulteriori traendone poi delle somme anche con un possibile sbocco elettorale. Ma tutto dipende da quello che succederà in queste settimane. E ribadisco, se dobbiamo costruire un soggetto diverso bisogna utilizzare metodi diversi, senza escludere nessuno e senza privilegiare nessuno. In condizioni di parità, chi ha una storia molto lunga e chi non ce l’ha devono mettersi sullo stesso piano e lavorare nella direzione che dicevo. Con l’augurio che anche forze che oggi appoggiano di fatto il governo Monti abbraccino un domani delle politiche diverse».
Guido Viale, scrittore, giornalista specializzato in tematiche ambientali e tra i fondatori di A.l.b.a. (Alleanza lavoro beni comuni ambiente) vuole precisare che “Cambiare si può“ non è una iniziativa appunto di A.l.b.a. ma dei primi settanta firmatari e in particolare dei primi quattro o cinque che si sono poi dati da fare per cercare altre adesioni. «E questo – dice l’ex dirigente di Lotta continua - vuole essere il principale segnale per tutte le altre forze politiche affinché facciano un passo indietro mettendo in primo piano l’estremo bisogno di realizzare uno schieramento unitario e individuare le questioni programmatiche rispetto alle differenziazioni personali e alle proprie identità. Questo secondo me è il presupposto di tutto. In secondo luogo penso che sul piano delle idee non ci siano ormai grosse differenze e dovrebbe essere relativamente facile arrivare ad un conglomerato organico di rivendicazioni e di punti programmatici che sostanzialmente tenga unito tutto lo schieramento antimontiano». Resta, secondo Viale, lo scoglio maggiore da superare, che può avere dei riflessi negativi anche sul piano programmatico, ovvero il problema della candidature. «Da questo punto di vista io personalmente, che non parlo a nome né di A.l.b.a. né dei firmatari, ho una posizione drastica. Tutte le candidature debbono essere scelte in maniera democratica, una persona, un voto, all’interno di assemblee da tenersi in ciascun collegio elettorale quale che sia la legge con la quale si andrà a votare. A questa selezione devono rinunciare a partecipare tutte le persone che hanno avuto incarichi politici di rilievo o istituzionali o di partito. Queste persone, che hanno tutta la mia stima per quello che hanno cercato di fare negli anni scorsi, possono invece lavorare, come faremo noi, a supporto di questa lista utilizzando il loro prestigio, ma non debbono assolutamente figurare nella lista dei possibili candidati». Viale mette in guardia sulle responsabilità di chi ha deciso di cimentarsi in questa scommessa: «Bisogna tener conto del fatto che il prossimo anno sarà un anno di sconvolgimenti enormi nel panorama sociale italiano. Noi stiamo precipitando per quanto riguarda la disoccupazione in una situazione analoga a quella della Grecia e la formazione di questa lista dovrà contenere una risposta da dare ad una situazione che sarà molto ma molto più drammatica di quella in cui ci troviamo già oggi».
Antonio Di Luca, quinto firmatario dell’appello, è un operaio di Pomigliano e dirigente della Fiom, oltre ad essere iscritto a Rifondazione comunista. «Io ho deciso di firmare come singolo cittadino e per me la priorità resta l’impegno sindacale nella Fiom. Penso che il percorso fatto da persone autorevolissime, da Revelli a Gallino, da Don Gallo ad esponenti di Libera, garantisce un dato di fatto: che le politiche economiche di Monti e della Bce, dell’Ue e del Fmi, hanno fatto tantissimi danni e tanti altri ne faranno - dal patto di stabilità alla spending review al fiscal compact e chi più ne ha più ne metta – e hanno reso chiaro a tutti che bisogna ripartire da una proposta radicalmente alternativa al capitalismo. Non capisco dunque e non condivido chi a parole ha criticato queste politiche e poi non si è comportato di conseguenza. Detto questo riuscire a trasformare, a cambiare è un percorso un po’ complesso. Bisogna lavorare certamente e poi il primo dicembre vedremo che cosa succederà. Saremo a cavallo delle primarie del centro-sinistra, probabilmente si saranno delineate altre situazioni, sperando anche che i compagni di Sel si rendano conto che dobbiamo essere alternativi fino in fondo. In molti sono contro l’articolo 8, a favore dell’articolo 18, contro la riforma Fornero e via dicendo ma poi dopo anche questi compagni di buona volontà dentro quel grande marasma del centro-sinistra finiscono per non avere i numeri per agire». Di Luca crede nella buona fede di chi milita in Sel: «Stando dentro quel percorso e quel processo probabilmente cercano di spostare forze e di aggregare situazioni. Io la rispetto quella posizione, soltanto che la vedo debole. Ricordo il 2 giugno, in quella bella iniziativa che abbiamo fatto come Fiom, dove abbiamo chiesto un parere politico a tutti i presenti. Tutti hanno ritenuto legittime le nostre richieste ma ora è il momento di passare dai buoni propositi ai fatti. E visto quello che ha fatto Bersani, non credo che Sel, con quel poco che avrà, riuscirà a spostare granché».
Don Marcello Cozzi è invece vicepresidente di Libera. Un prete di frontiera che ha fatto della lotta alla mafia una sua ragione di vita. «Ho firmato questo appello – dice il sacerdote – perché avevo bisogno in questo momento di una nuova politica, che vada oltre gli attuali scenari. Voglio precisare che io non voglio assolutamente demonizzare la politica, penso però ci sia bisogno di uno slancio diverso, di più coraggio. E dall’altro lato di una politica che torni a parlare il linguaggio della gente, di quelli che fanno fatica e che sono messi ai margini. E in questo momento bisogna dire che nell’attuale programmazione dei partiti non riesco a vedere margini per coloro che sono ai confini della società». Sugli scenari futuri Cozzi vede in primo luogo la necessità di un impegno di tutti coloro i quali, partendo dal loro ruolo, condividono i contenuti dell’appello. «Posso semplicemente dire a tanti compagni di strada che si faccia davvero un passo in avanti in questo panorama politico. Poi se c’è qualcuno che concretamente intende avviare un percorso concreto in vista delle prossime elezioni ben venga».
Il sociologo Luciano Gallino è il primo firmatario di “Cambiare si può” e mantiene i piedi per terra: «Non credo che nessuno dei promotori dell’appello e dei primi firmatari si faccia illusioni sulla possibilità di attrarre folle di elettori. Pensavamo piuttosto che qualcosa bisognasse fare soprattutto dinanzi al vuoto delle proposte e dei  programmi che girano nei partiti. La scena è sempre presa da discussioni intorno alla legge elettorale, oppure intorno agli spread o a questo o quello scandalo. Mentre siamo dinanzi ad una situazione economica che è gravissima, ad una riforma del sistema finanziario di cui si è intravisto qualcosa in sede europea ma che è lontanissima dall’affrontare quelle che sarebbero le esigenze reali di una vera riforma; insomma si parla di tutto meno di ciò che tocca le persone. Qualcosa che sta sullo sfondo non solo della situazione italiana ma di tutta l’Europa. E questo vuoto di argomenti, di temi appare molto preoccupante perché oltretutto nessuno ci capisce nulla. Il livello di informazione sui fattori reali della crisi, su quello che bisognerebbe fare e su quello che c’è dietro le quinte dello spread è praticamente pari a zero. Non viene spiegato nulla praticamente da nessuno dei principali attori politici in gioco. Io  passo dieci o dodici ore al giorno a studiare una gran quantità di rapporti, di documenti, di libri come faccio ormai lavorando sulla crisi da più di dieci anni, poi apro il giornale o accendo la televisione e ho l’impressione di essere capitato su un altro pianeta». Questo vuole dire – continua Gallino - che la politica stessa non offre al cittadino alcuna sponda informativa, alcuna risposta alle moltissime domande che pone. «Per questo c’è il 35-40% di persone che non va a votare e 10% di schede bianche. Questo perché non ci sono punti di riferimento e non c’è un catalizzatore. Ed è drammatico che di quella sinistra degna di questo nome in Parlamento non ci sia nessuno perché non trova la forza di aggregarsi e di unirsi».
L’augurio ora che questo appello, partorito completamente al di fuori delle segreterie di partito, dia avvio ad una nuova fase della quale c’è assolutamente bisogno. Sfida difficile certo. Ma pensare che dalla Carta d’Intenti di Bersani, che non esclude un posto per la Fornero come ministro in un suo prossimo governo, si possa tirar fuori qualcosa di sinistra appare ancora più arduo. Quasi la quadratura del cerchio.

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