“La mia ricetta contro la crisi?
Quella di Monti più qualcosa. Perché ci vuole rigore, ci vuole certamente
austerità. Ma ci vuole anche un po’ lavoro, un po’ di equità”. A parlare è
Bersani, in un’intervista rilasciata al TG1. E se non fossimo di fronte ad una
palese presa in giro, ad un misto di spocchia (di chi pensa che chi l’ascolta
sia un perfetto sprovveduto) e di ipocrisia, farebbe sorridere quell’avverbio
davanti alle parole ‘lavoro’ ed ‘equità’. “Un po’ di lavoro”, “un po’ di
equità”, come si trattasse di un po' di ossobuco per insaporire il brodo.
Ma qui non si parla del buon
brodo che la mia mamma preparava ogni sabato. La ricetta di cui parla Bersani è
quella economica di Monti che è stata fallimentare sotto ogni aspetto, a
guardare i dati economici e le facce di lavoratori, pensionati, studenti.
Monti, con la sua ricetta, avrebbe dovuto salvare l’Italia e ci ritroviamo con
una contrazione del Pil enorme (-2,3% nel 2012 secondo i dati della Commissione
Europea), una ripresa che non ci sarà nemmeno nel 2013, la disoccupazione che
ha raggiunto livelli da record, i redditi delle famiglie contratti come non si
era mai visto dal dopoguerra. Questi i risultati della ricetta Monti, tanto
cara a Bersani.
Altro che “Un po’ di lavoro e un
po’ di equità”. La via di uscita da questa condizione non può essere la stessa
che ha aggravato la crisi. Sarebbe, questa, una tautologia per
chiunque conservi un po’ di buon senso. Non lo è per il segretario del PD.
Una ricerca dello scorso novembre
condotta dal Centro
Europa Ricerche (Cer) in collaborazione con l'Ires-Cgil, fa notare che la
contrazione del reddito di quest’anno “sarà la massima di sempre e segue il secondo
picco negativo del 2009”. La contrazione dei redditi delle famiglie in termini
reali che si registrerà quest’anno, dopo solo un anno di governo Monti, sarà
del 4,3%. Per meglio capire la gravità della situazione, si consideri che nel
1992, anno di grave crisi nel nostro Paese, “la diminuzione del reddito
disponibile si fermò all’1,6 per cento.” La drammatica situazione attuale, che
le politiche recessive di Monti hanno aggravato, è tale che, secondo lo studio
Cer-Ires Cgil, “se pure fosse possibile tornare alle dinamiche del periodo
1992-2007, bisognerebbe comunque aspettare fino al 2036 per recuperare il
potere d’acquisto pre-crisi”. Pensare a cosa potrebbe succedere con cinque anni
di governo Bersani che applica la “ricetta Monti”, fa già venire i brividi.
Magari un sostenitore di Bersani
(e chissà se pure Vendola) farebbe notare che proprio perciò il segretario dei
democratici afferma che “ci vuole anche un po’ lavoro, un po’ di equità”. Ma
dovrebbe capire, quel bersaniano (e chissà se pure Vendola) che quel po’ di
lavoro e di equità, buttati nel brodo di coltura della recessione preparati con
rigore e austerità, non significano niente. Anzi, sono un schiaffo al buon
senso. Come reclamare “un po’ di equità” se è proprio la “ricetta Monti” a
contribuire in maniera forte a creare disuguaglianze?
Con Monti al governo, si diceva,
la disoccupazione ha raggiunto livelli record. La “ricetta Monti” tanto cara a
Bersani ha cioè accentuato notevolmente quell’instabilità nel tempo di lavoro
che, afferma l’Istat nel suo rapporto annuale 2012, “ha, come è ragionevole
attendersi, conseguenze sulla disuguaglianza dei redditi da lavoro negative e
molto rilevanti”. Come si può, in queste condizioni, considerare come necessarie
le misure di rigore ed austerità? Semplicemente non si può. Ma qua stiamo
parlando di buon senso, mica di Bersani. E pure l’Istat, quindi, con buon
senso, mica con Bersani, afferma che “le politiche di consolidamento fiscale hanno
in alcuni casi accentuato tali disparità”. In uno scenario di crescita delle
disparità in Italia (misurata con l’indice di Gini, che secondo dati Eurostat è
cresciuto di quasi un punto nel corso della crisi: da 31,0 del 2008 al 31,9 del 2011), l’Istat considera molto
preoccupante, soprattutto in una fase recessiva come quella attuale, la “scarsità
di risorse destinate alle politiche di contrasto al disagio economico. In
particolare, per i trasferimenti destinati all’integrazione del reddito”.
Altro che rigore, altro che
austerità. Altro che l'elemosina di "un po' di lavoro e un po' di equità". Altro che “ricetta Monti” con condimento alla Bersani. Il leader del
centrosinistra ci preparerebbe un'altra minestra indigesta. Ma dopo quella di
Monti, che ha già aggravato la situazione del nostro Paese, quella di Bersani o
qualunque altra che si basi su rigore e austerità, rischia di uccidere il
malato.
Contro queste “ricette”, occorre,
come richiamato nell’appello di ‘Cambiare si può’, una “alternativa al governo
Monti, alle politiche liberiste che lo caratterizzano e alle forze che lo
sostengono”. Cambiare si può, cambiare si deve.
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