Ieri mi sono dimessa dal ruolo di coordinatrice del Circolo
di SEL XXV Aprile di Roma. Il mio Circolo ha una grande bandiera
all'ingresso. E' rossa, granata, con le frange. E' stato il vessillo di
una brigata partigiana, Bandiera Rossa, trucidata dai nazisti dopo il
tentato assalto al forte Tiburtino.
Le conigliere
A Roma c'era la resistenza e da Porta San Paolo fino alle strade
periferiche che portavano all'Agro, Carlo Salinari e Valentino
Gerratana, insieme a migliaia di donne e uomini tenevano il polso di una
città esplosiva. Nel 1943 Pietralata era una borgata, crocevia di
baracche pestilenziali dove i fascisti avevano deportato le prime
famiglie dal centro storico, e in pochi anni diventerà la stazione
d'arrivo dal sud di nuclei calabresi, pugliesi, siciliani, l'immensa
baraccopoli di "tetra fama" descritta da Giorgio Caproni in un'inchiesta
del 1946 sul "Politecnico": "Un popolo intero di diseredati e d gente
"allontanata" dal cuore della città".
E' in questo suburbio di malattia, povertà e bellezza che nasceva una
delle sezioni più popolose e combattive del PCI romano del Dopoguerra.
Quel Circolo che ho coordinato nella mia prima esperienza in un partito
politico, alla fine di un tempo che per me è remoto, finito ancor prima
che arrivassi al liceo, in un lontanissimo 1989. Io posso dire di avere
incontrato quel popolo in età avanzata, ho incrociato con i miei
trent'anni queste persone fiere che hanno saputo trasformare - con le
loro mani - le case grandi come "conigliere posate sulla segatura rossa e
sudicia dell'Agro - scriveva Caproni - che da lontano sembrano
casellari giudiziari, cubature d'uno scaffale anagrafico" in abitazioni
dignitose, cooperative prima occupate e oggi ristrutturate, spettacolo
di dignità.
Facendo politica in questo quartiere ho incrociato l'orgoglio di un
popolo che ha saputo riemergere dalla polvere. Ho vissuto con i loro
nipoti, seguendo i loro primi amori, i timori adolescenziali di essere
rimaste incinte, solo perchè non conosco le regole elementari della
contraccezione. Ho collaborato a creare un consorzio di cittadinanza,
insieme a centinaia di persone. Oggi lascio questa comunità, con fatica,
senso di liberazione, nostalgia e voglia di ritrovare il piacere
dell'impegno politico. Nella testa mi rimbombano ancora le parole di
ieri, un pomeriggio ricco di emozioni, desideri e paure. Interlocutori
serrati e onesti, compagne di viaggio generose e curiose. Se non vi
avessi incontrato oggi sarei meno ricca, insicura, preda di passioni
tristi.
Dopo le primarie
Quella che sto raccontando non è una cerimonia degli addi, ma la
promessa di ritrovarci dove già siamo. Ora è giunto il momento di
dissipare le mistificazioni e superare la stupidità di questo tempo che
soffoca la vita e le sue gioie sotto pregiudizi, abitudini, ipocrisie,
tatticismi. E' da questo enorme polmone metropolitano che è diventata
Pietralata, rosso granata e con le frange, che insieme a tanti da
Venezia a Roma, da Firenze a Pavia, fuori da componenti o da
appartenenze pregresse, abbiamo condotto in questi mesi una battaglia
politica aperta dentro SEL sostenendo che bisognava proseguire nel
compito fondativo che ci eravamo dati: costruire una forza di sinistra
capace di assumersi la responsabilità di governo senza abbandonare i
propri contenuti.
Questo voleva dire: da una parte discontinuità con il montismo e con
le politiche di austerity, dall'altra incalzare il PD e assumere una
posizione egemonica nel centrosinistra per spostare l'asse della
coalizione o eventualmente cambiare direzione. La dirigenza ci ha
risposto che sbagliavamo e che Vendola poteva vincere davvero le
primarie. Vendola ha raggiunto invece un risultato tutto sommato modesto
(14,7%), al di sotto di quello che era per lui l'obiettivo minimo
(20%). E la sua presenza alle primarie non ha determinato una maggiore
partecipazione: nel primo turno hanno votato 3 milioni di persone, un
numero grande, ma al di sotto dei 4 che portarono Prodi a capo della
coalizione del 2006. Nonostante questo non sembra si aprirà dentro SEL
lo spazio per una riflessione aperta sulla strada intrapresa.
Noi siamo il Quinto Stato
Vivendo il conflitto dall'interno, in questi mesi è stato evidente
quanto il deficit nella capacità di iniziativa politica di SEL
dipendesse anche da una scarsa propensione al confronto, al dibattito
interno e alla mancanza di processi decisionali condivisi. La capacità
di iniziativa politica è legata infatti alla qualità della democrazia
interna, a come stiamo assieme e dipende anche dalle regole che ci
diamo. Oggi nascono nuovi progetti a sinistra, quello di "Cambiare si
può" ad esempio, la candidatura a Sindaco di Roma di Sandro Medici.
Speriamo che chi oggi promuove questo nuovo progetto non rincorra ma si
faccia rincorrere dal centrosinistra e che questo percorso sia un passo
verso un rinnovamento profondo della sinistra, perché la politica non
sia più sequestrata da partiti e partitini, da personalismi e
opportunismo. Ma non solo. C'è bisogno di grande immaginazione e
generosità per impostare un progetto che non si esaurisca nel breve
periodo e non sia autoreferenziale.
E questa è la strada più difficile. Perchè quella che oggi chiamiamo
"sinistra" non si è mai confrontata con la trasformazione della società
italiana avvenuta almeno dalla metà degli anni Settanta, proprio quando
Pietralata si trasformava, faticosamente, da borgata in semi-periferia.
Roma è stata trasfigurata da una rivoluzione economica e sociale, una
nuova economia ha imposto nuove relazioni, lavori, significati,
percezioni. E' emerso qualcosa che la "sinistra" non ha mai compreso: i
bisogni, i tempi, la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori
autonomi, i freelance, gli intermittenti, il protagonismo professionale,
culturale, sociale di una larga fascia della popolazione attiva che
chiamiamo Quinto Stato.
E' la condizione di quella che Sergio Bologna ha definito "ceti medi
senza futuro", schiacchiati dalla precarietà, donne e uomini, studenti e
ragazze, operatori della cultura, della cura alla persona, ricercatori
senza futuro, atipici perché senza le garanzie e le tutele del lavoro
dipendente. A Roma, come in tutte le città italiane, siamo ovunque, vite
in affanno e inascoltate ma piene di enormi potenzialità, idee e
competenze. Noi oggi viviamo in questo paese, i nostri quartieri hanno
questi volti, e nessuno lo guarda in faccia, a cominciare dalla sinistra
culturalmente subalterna: ieri ai dogmi dell'economia neoliberale, oggi
a quelli opposti - ma convergenti - dell'austerità, del sacrificio, del
ritorno ad una miseria che ci riporterà a quella Pietralata della
guerra, quando al solo metterci piede Caproni sentiva una grande pietra
opprimere il suo cuore.
Oggi dobbiamo avere il coraggio di una rivolta totale, e senza
condizioni, contro questo agghiacciante ritorno al passato da cui le
nostre madri e i nostri padri si sono già emancipati. Non so se queste
nuove esperienze che stanno nascendo a sinistra riusciranno ad essere
all'altezza di questa sfida. Di certo se lo vorranno dovranno rivedere
molto di se stessi, a cominciare dai tempi della politica e della
militanza, inconciliabili con la quotidianetà delle vite precarie. E di
certo non basta enunciare un programma o semplici principi perchè il
cambiamento giustamente evocato da tanti diventi realtà.
Bisogna tessere le reti, costruire pratiche, inventare percorsi,
essere inflessibili nell'immaginazione di una vita migliore. Nel mio
piccolo, uscire da SEL non significa smettere di lottare o cessare di
provare a dare un contributo.
Fonte:
Huffington Post
| Autore:
Monica Pasquino
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