La "riforma" della Rai è un passo gigantesco nella costruzione del regime. Il progetto illustrato da Renzi prevede infatti:
a) un assetto di "governance" che porta a 4 i consiglieri di
amministrazione nominati dal Parlamento; se le prossime elezioni
avverranno con l'Italicum è assai probabile che la maggioranza
venga nominata dal partito vincente (con premio di maggioranza e il 60%
di deputati "nominati" dalla segreteria); il governo nomina un altro
consigliere e l'amministratore delegato, ovvero quello che viene
chiamato da Renzi "capo" perché non ci siano dubbi su chi comanda; i
dipendenti della Rai, infine, potranno nominare un altro consigliere
(pura presenza simbolica).
b) una sola rete "generalista", che fa informazione e
intrattenimento; una seconda rete dedicata all'"innovazione"
(documentari e servizi pubblicitari mascherati a favore delle aziende
che "sviluppano l'innovazione") e una terza alla cultura e senza
pubblicità; chiaro il regalo alla concorrenza quindi soprattutto a
Mediaset (che vuole prendersi anche la rete dei ripetitori, ovvero
RayWay), perché toglie dalla piazza due reti, consegnandole
all'anonimato delle reti "tematiche", con pochi spettatori ognuna, che
affollano il telecomando.
Queste le due novità princiapli, dunque: impoverimento drastico
dell'offerta "pubblica" e centralizzazione all'esecutivo. Se ci
aggiungiamo l'ulteriore "semplificazione" costituzionale (una sola
Camera), quella elettorale (via tutti i "parttini"), ecc, abbiamo un
quadro dove il "pluralismo", sia pure nelle vesti inguardabili del
"consociativismo" vecchio stile (Dc-Pci-Psi), diventa un ricordo
lontano. Un uomo solo al comando. Per sempre (cambierà l'uomo,
evidentemente, non il comando).
Lasciamo stare tutte le sciocchezze marginali sul "merito" con cui lo
stesso Renzi ha infiocchettato il suo disegno. Concentratevi sullo
schema decisionale e sull'offerta. Scoprirete probabilmente che l'Eiar
mussoliniana era più "aperta"...
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