Premessa:
in questo blog dovrei parlare di tecnologia. Una volta all’anno, però,
mi prendo una licenza e tratto di un tema che mi è caro e per il quale
ho speso un po’ di anni della mia attività: l’acqua. Quell’acqua che, secondo tutti, sarebbe un diritto e un bene comune. Ma non in Italia.
Per capirlo basta leggere un’intervista fatta proprio oggi
da David Evangelisti. Quando il giornalista chiede conto al sindaco Pd
di Grosseto Emilio Bonifazi delle tariffe record per il servizio idrico in Toscana,
il primo cittadino risponde così: “In realtà il nostro è un sistema
all’avanguardia. Per comprendere bene i dati del dossier bisognerebbe
infatti ricordare che la Toscana è una delle poche regioni a applicare
la legge Galli, normativa che prevede il ricorso a tariffe e non a
tasse”. Bonifazi spiega: “Ricorrendo alla tariffa si coprono tutti i
costi del servizio idrico integrato, investimenti e spese di depurazione
comprese, senza gravare sulla fiscalità generale o senza ricorrere a
interventi pubblici. Il ricorso alla tassa comporterebbe invece una
compartecipazione del pubblico, spalmando così i costi restanti del
servizio sulla fiscalità generale, magari attraverso l’addizionale
Irpef”.
Insomma: la Toscana sarebbe una regione virtuosa (e all’avanguardia) perché ha trasformato l’acqua in una merce come tutte le altre,
escludendo qualsiasi intervento pubblico e affidando solo alle regole
di mercato la gestione del servizio idrico. Un ritorno a una logica
medievale e bottegaia, degna forse dell’Italia pre-riunificazione. La
candida ammissione di Bonifazi spiega alla perfezione come il pensiero
unico della “privatizzazione a tutti i costi” abbia fatto breccia
nell’immaginario degli amministratori del terzo millennio. Il risultato
del Bonifazi-pensiero è che sia normale che un bene primario come l’acqua sia pagato in base al consumo.
Quindi, in Toscana, una famiglia monoreddito di 5 persone paga una
bolletta più salata di un manager di Goldman Sachs. Alla faccia di
qualsiasi logica di solidarietà, degli appelli dell’ONU e di chi implora
una politica di gestione delle risorse idriche che ne rispetti la
dimensione di diritto fondamentale e bene comune. Il sindaco di
Grosseto, coerentemente, se ne frega anche del voto di 27 milioni di
italiani che hanno chiesto la ripubblicizzazione dell’acqua e preferisce
rivendicare la sua genuina renzianità.
Grosseto, infatti, non è un caso isolato. In tutto il paese il
servizio idrico è oggetto di un attacco senza precedenti. A chiederne a
gran voce la privatizzazione (oltre alle solite multinazionali) è il governo Renzi, che con il decreto Sblocca Italia ha assestato un colpo formidabile alla gestione pubblica del servizio idrico.
Con il processo di razionalizzazione della gestione dei servizi da
parte degli enti comuni, il governo centrale chiede praticamente di
affidare l’acqua (insieme agli altri servizi) ai privati, attraverso un
sostanziale ricatto nei confronti degli amministratori. Il sistema è ben
congegnato e sfrutta patto di stabilità e fiscal compact.
Insomma: da una parte lo stato riduce i finanziamenti ai comuni e gli
impedisce di investire, dall’altro gli dice che se privatizzano i
servizi pubblici (anche e soprattutto la gestione del servizio idrico)
quei soldi potranno essere usati in deroga al patto di stabilità. Un ricatto in piena regola, che spiega benissimo quale sia il concetto di “bene comune” nell’Italia del 2015.
Aspettiamo la prossima giornata mondiale dell’acqua sperando di avere notizie migliori.
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