Scuola, dalle Province maxi tagli ai fondi. Per le bollette i genitori fanno la colletta
Troppi vincoli di bilancio, pochi soldi in cassa: le Province agonizzanti dopo i tagli del governo Monti e la riforma Delrio
non sono più in grado di assolvere i loro compiti. Anche quelli
fondamentali, come il funzionamento degli istituti superiori: in primis,
il pagamento delle bollette. È già successo nel 2014, al Nord come al
Sud: “Prendiamo atto delle vostre comprensibili problematiche
contabili – ha risposto nel 2014 la provincia di Verona alle richieste dei presidi – ma non abbiamo possibilità di comunicare l’ammontare delle risorse per le spese di funzionamento. E non è dato sapere se e quando sarà eventualmente possibile provvedere”. Così
alle scuole, allora, devono pensare i genitori, con i presidi che hanno
utilizzato i contributi delle famiglie per pagare le bollette.
E nel 2015, con l’entrata in vigore dei nuovi risparmi stabiliti dalla
manovra, quello dei fondi potrebbe diventare una vera e propria
emergenza su scala nazionale.
Gli istituti superiori a carico delle Province
Da circa vent’anni (dalla famosa legge 23/1996), gli istituti secondari (licei, professionali, tecnici e via dicendo) sono di competenza delle Province. Parliamo di oltre 5mila edifici, in cui studiano 2,5 milioni di ragazzi. Nel bilancio di ogni ente locale c’è un capitolo destinato all’istruzione, con le spese di manutenzione (l’edilizia scolastica, al netto degli investimenti per lavori straordinari), e le spese per il funzionamento ordinario. Bollette, internet, cancelleria e segreteria, costi amministrativi: ciò che serve per mandare avanti materialmente una scuola. Non esiste una stima precisa su scala nazionale (l’importo varia di territorio in territorio, per numero di strutture, densità di popolazione ed altre variabili). In totale una cifra che – secondo alcuni esperti – si può quantificare fra i 100 e i 150 milioni di euro. Peccato, però, che le Province non abbiano più in cassa questi soldi.
Da circa vent’anni (dalla famosa legge 23/1996), gli istituti secondari (licei, professionali, tecnici e via dicendo) sono di competenza delle Province. Parliamo di oltre 5mila edifici, in cui studiano 2,5 milioni di ragazzi. Nel bilancio di ogni ente locale c’è un capitolo destinato all’istruzione, con le spese di manutenzione (l’edilizia scolastica, al netto degli investimenti per lavori straordinari), e le spese per il funzionamento ordinario. Bollette, internet, cancelleria e segreteria, costi amministrativi: ciò che serve per mandare avanti materialmente una scuola. Non esiste una stima precisa su scala nazionale (l’importo varia di territorio in territorio, per numero di strutture, densità di popolazione ed altre variabili). In totale una cifra che – secondo alcuni esperti – si può quantificare fra i 100 e i 150 milioni di euro. Peccato, però, che le Province non abbiano più in cassa questi soldi.
Gli effetti delle presunta “abolizione”
L’abolizione delle Province è uno dei cavalli di battaglia sia dell’esecutivo Monti che di Matteo Renzi. È stato il “governo dei tecnici” a cominciare a smantellare il sistema, azzerando il fondo sperimentale di riequilibrio (circa 1,5 miliardi di euro). Poi sono venuti i 444 milioni di taglio del decreto 66/2014, che diventano 576 milioni nel 2015. E la stangata finale dell’ultima legge di stabilità: un altro miliardo nel 2015, poi due nel 2016 e addirittura tre nel 2017. Le Province, però, non sono state abolite. “Siamo di fronte ad una riforma dislessica: ci hanno svuotato di risorse, non di competenze”, afferma Luigi Oliveri, dirigente dell’amministrazione provinciale di Verona.
L’abolizione delle Province è uno dei cavalli di battaglia sia dell’esecutivo Monti che di Matteo Renzi. È stato il “governo dei tecnici” a cominciare a smantellare il sistema, azzerando il fondo sperimentale di riequilibrio (circa 1,5 miliardi di euro). Poi sono venuti i 444 milioni di taglio del decreto 66/2014, che diventano 576 milioni nel 2015. E la stangata finale dell’ultima legge di stabilità: un altro miliardo nel 2015, poi due nel 2016 e addirittura tre nel 2017. Le Province, però, non sono state abolite. “Siamo di fronte ad una riforma dislessica: ci hanno svuotato di risorse, non di competenze”, afferma Luigi Oliveri, dirigente dell’amministrazione provinciale di Verona.
La
legge Delrio, infatti, riafferma tra le funzioni fondamentali
dell’ente il mantenimento degli istituti superiori. Senza indicare,
però, con quali fondi ottemperarle, visto che negli ultimi 5 anni la
spesa corrente è calata del 15% e quella degli investimenti addirittura
del 44%.
Ad alleviare il carico dovrebbe provvedere la redistribuzione delle
competenze fra gli altri enti locali: tutte le Regioni dovevano varare i
provvedimenti di riconversione entro la fine del 2014, termine
prorogato al 30 aprile. Ma ad oggi solo la Toscana è riuscita ad approvare un testo. In tutte le altre Regioni siamo ancora alla discussione in Consiglio, in Emilia-Romagna e Calabria
l’iter non è neppure cominciato. E a rimetterci da questa situazione
sono i servizi basilari nella vita dei cittadini. Come le scuole.
Tagli e vincoli: a Verona niente soldi per gli istituti
Emblematico a tal proposito il caso di Verona. Nel 2014 gli istituti non hanno avuto un centesimo per pagare le spese di funzionamento. E le proteste dei presidi hanno ricevuto in risposta solo poche, inequivocabili righe. “Prendiamo atto delle vostre comprensibili problematiche contabili, ma non abbiamo possibilità di comunicare l’ammontare delle risorse per le spese di funzionamento. E non è dato sapere se e quando sarà eventualmente possibile provvedere”. “Ma non è colpa nostra, infatti con le scuole non c’è stata conflittualità”, spiega Oliveri. Nella città veneta hanno contribuito al problema una serie di fattori: prima la “gestione provvisoria” determinata ex lege dalla riforma Delrio, che bloccava tutte le spese tranne quelle per pagare contratti già in essere; poi, quando è venuto meno questo status, un taglio improvviso di circa 5-6 milioni di euro. “Con il bilancio già approntato rischiavamo di far saltare il patto di stabilità e andare in squilibrio”, aggiunge il dirigente. “Perciò abbiamo liquidato solo le spese di mantenimento in sicurezza, che potevamo giustificare di fronte ai vincoli”. Appena 160mila euro dei 600mila stanziati per l’edilizia; neanche un centesimo, dei 400mila euro per il funzionamento. Né si è trattato di una situazione isolata: in Veneto è successo anche a Venezia. In Piemonte, a Biella, a causa del dissesto di bilancio l’ente ha potuto erogare solo la metà dei fondi previsti, già tagliati del 30%. Oppure a Savona in Liguria, o a Taranto in Puglia. Una casistica a macchia di leopardo, ma che testimonia di un disagio diffuso dal Nord al Sud della penisola.
Emblematico a tal proposito il caso di Verona. Nel 2014 gli istituti non hanno avuto un centesimo per pagare le spese di funzionamento. E le proteste dei presidi hanno ricevuto in risposta solo poche, inequivocabili righe. “Prendiamo atto delle vostre comprensibili problematiche contabili, ma non abbiamo possibilità di comunicare l’ammontare delle risorse per le spese di funzionamento. E non è dato sapere se e quando sarà eventualmente possibile provvedere”. “Ma non è colpa nostra, infatti con le scuole non c’è stata conflittualità”, spiega Oliveri. Nella città veneta hanno contribuito al problema una serie di fattori: prima la “gestione provvisoria” determinata ex lege dalla riforma Delrio, che bloccava tutte le spese tranne quelle per pagare contratti già in essere; poi, quando è venuto meno questo status, un taglio improvviso di circa 5-6 milioni di euro. “Con il bilancio già approntato rischiavamo di far saltare il patto di stabilità e andare in squilibrio”, aggiunge il dirigente. “Perciò abbiamo liquidato solo le spese di mantenimento in sicurezza, che potevamo giustificare di fronte ai vincoli”. Appena 160mila euro dei 600mila stanziati per l’edilizia; neanche un centesimo, dei 400mila euro per il funzionamento. Né si è trattato di una situazione isolata: in Veneto è successo anche a Venezia. In Piemonte, a Biella, a causa del dissesto di bilancio l’ente ha potuto erogare solo la metà dei fondi previsti, già tagliati del 30%. Oppure a Savona in Liguria, o a Taranto in Puglia. Una casistica a macchia di leopardo, ma che testimonia di un disagio diffuso dal Nord al Sud della penisola.
Emergenza nazionale in arrivo?
Un po’ ovunque le scuole per andare avanti si sono aggrappate alle famiglie degli studenti, come denuncia Arianna Vecchini, del Coordinamento genitori scuole superiori di Verona. “Gli istituti hanno dovuto coprire con un anticipo di cassa queste spese inderogabili, ricorrendo al contributo volontario delle famiglie. Sono anni che andiamo avanti così: soldi che dovrebbero servire per l’ampliamento dell’offerta formativa e per attività supplementari vengono utilizzati per sopperire alle carenze dello Stato. Ma la situazione non è mai stata così drammatica”. E potrebbe anche peggiorare, sottolinea l’Upi (Unione delle Province d’Italia): “Con la nuova sforbiciata sancita dalla legge di stabilità, nel 2015 quasi nessuno sarà in grado di garantire queste fondi”.
Un po’ ovunque le scuole per andare avanti si sono aggrappate alle famiglie degli studenti, come denuncia Arianna Vecchini, del Coordinamento genitori scuole superiori di Verona. “Gli istituti hanno dovuto coprire con un anticipo di cassa queste spese inderogabili, ricorrendo al contributo volontario delle famiglie. Sono anni che andiamo avanti così: soldi che dovrebbero servire per l’ampliamento dell’offerta formativa e per attività supplementari vengono utilizzati per sopperire alle carenze dello Stato. Ma la situazione non è mai stata così drammatica”. E potrebbe anche peggiorare, sottolinea l’Upi (Unione delle Province d’Italia): “Con la nuova sforbiciata sancita dalla legge di stabilità, nel 2015 quasi nessuno sarà in grado di garantire queste fondi”.
“È improprio parlare di tagli – conclude Roberto Carucci, dirigente della ragioneria della Provincia di Taranto –, dopo il governo Monti non c’è più nulla da tagliare:
adesso siamo alla restituzione. Continuiamo a riscuotere le entrate ma
le consegniamo allo Stato: quest’anno invece di pagare i servizi per i
cittadini dovremo versare un bonifico di quasi 15 milioni al Ministero
dell’Interno. E se non lo facciamo ce lo confisca l’Agenzia delle
Entrate. È normale che poi non siamo in grado di far fronte a certe
spese: nell’ipotesi di bilancio 2015 gli stanziamenti per l’istruzione
sono ridotti almeno del 60%. E noi non siamo neanche quelli messi
peggio”. Così al funzionamento delle scuole devono pensare i genitori.
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