sabato 14 marzo 2015

Irresponsabile è la politica della Ue non il nuovo governo greco

di Alfonso Gianni
Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble insiste nel pronunciare il suo duro nein nei confronti delle richieste della Grecia. La trattativa si fa così incandescente ed è a rischio la tenuta stessa della Ue, visto che una uscita della Grecia dall'euro, che quest'ultima non vuole affatto, potrebbe provocare un contagio incontrollabile. Schaeuble ha anche accusato il governo greco di essere "irresponsabile":
dichiarazione non solo pesante e inusitata, ma gravissima, dal momento che viene rivolta a un governo che porta avanti una linea votata recentemente dal suo popolo e che quindi è perfettamente responsabile verso quest'ultimo. Se guardiamo bene le cose l'irresponsabilità sta casomai tutta dalla parte di coloro che seguono una intransigente politica di austerity nella quale la Germania primeggia.
Da lunedì è attivo il quantitative easing voluto dalla Bce che prevede l'acquisto di titoli di stato per 60 miliardi al mese da qui fino al settembre 2016, ma con la possibilità di andare anche oltre se per quella data l'inflazione non si assesterà attorno al 2%. Come minimo 1140 miliardi. Quei soldi non andranno direttamente ai cittadini, ma alle banche dei paesi europei, ad esclusione della Grecia e di Cipro, le cui emissioni non sono considerate affidabili. Come è avvenuto finora, le banche perlopiù capitalizzeranno quel fiume di denaro anziché trasformarlo in crediti alle famiglie e alle imprese per promuovere la ripresa. Dall'altro lato la Bce nega la possibilità al governo greco persino di emettere titoli a breve oltre una certa soglia e sottopone alla verifica delle riforme la concessione dell'ultima tranche del prestito a suo tempo deciso, pari a 7,2 miliardi, che darebbe un po' di ossigeno finanziario al paese ellenico. Da un lato 1.140 miliardi concessi, dall'altro 7,2 miliardi negati. Sono cifre, che nella loro diversità, danno la vera spietata dimensione della ipocrisia con cui la Ue sta affrontando la vicenda greca.
Bruxelles dice che l'elenco di riforme non è ancora sufficiente. Ma non è un problema di quantità ma di qualità. In effetti queste sono molto diverse dalle ingiunzioni a licenziare e tagliare gli stipendi, a chiudere le università e le strutture sanitarie, che erano giunte dalla Troika ai precedenti governi greci. La natura dello scontro è chiara. La nuova Grecia intende impegnarsi seriamente sul fronte della evasione fiscale così endemica in quel paese, ma da subito vuole combattere l'emergenza umanitaria provocata dalle politiche di austerity imposte dalla Troika. Gli esiti di quelle politiche li ha riassunti in poche parole Alexis Tsipras in una recente intervista al più importante settimanale tedesco Der Spiegel: "Oggi il 35% dei greci vive al di sotto della soglia di povertà e 600mila bambini non hanno abbastanza da mangiare". Nello stesso tempo il debito greco prima dell'intervento della Troika era pari al 129% (inferiore a quello attuale dell'Italia) e ora è arrivato al 176%. Questi numeri danno il segno del fallimento e della disumanità delle politiche di austerity.
La scelta di Syriza non è quella della Grexit, cioè l'uscita della Grecia dall'Euro. Sarebbe peggio. Ma neppure quella di sottostare ai diktat. Il rifiuto della Troika non è una questione lessicale. Prima questa mandava una mail zeppe di ordini da eseguire senza discussione. Oggi la Grecia fa essa in prima persona proposte alle istituzioni europee e tratta con queste. Contemporaneamente e giustamente il parlamento greco ha riaperto la questione della riparazione dei danni di guerra provocati dalla Germania nella Seconda guerra mondiale. E apre a est: Tsipras sarà in Cina in maggio. Pare che titoli greci a breve siano stati comprati proprio dai cinesi. Questo dovrebbe spingere la Bce, punzecchiata da interessi anche geopolitici, ad innalzare la soglia dei 15 miliardi per questo tipo di emissione. Il che darebbe un po' di fiato finanziario al governo greco che non ha colpe sul disastro nel quale i governi precedenti hanno gettato quel paese, in quel caso con il beneplacito degli organi di controllo europei fattosi ciechi, sordi e muti per l'occasione.
Il vero contagio di cui le elites europee hanno paura è quello politico, non quello finanziario, come potrebbe avvenire con la eventuale vittoria delle sinistre in Spagna. C'è da augurarsi che avvenga proprio questo se si vuole salvare l?unità europea dalle politiche irresponsabili che ancora la dominano.
Kiev può "ristrutturare" il debito, Atene no
Kiev può "ristrutturare" il debito, Atene no
Adesso non dite che siamo prevenuti... L'Unione Europea e gli altri componenti della Troika hanno deciso oggi che per l'Ucraina nazionalista si può fare quello che per la Grecia syrizista è assolutamente vietato: ristrutturare il debito.
Il negoziato è partito proprio oggi, nelle stesse ore in cui Wolfgang Schaeuble ribadiva che Atene potrebbe anche uscire dall'eurozona, se non farà quel che le viene ordinato. Il fortunato ministro delle finanze di Kiev, Natalie Jaresko, ha quantificato il guadagno per la sua parte di paese: «la combinazione di un taglio del capitale, una estensione delle scadenze e una riduzione delle cedole» consentirebbe di risparmiare 15 miliardi di dollari in 4 anni, più o meno il 10% del Pil. I creditori, in questo caso, sarebbero disposti a perdere il 50% di quanto avevano prestato a Kiev. Se non è amore questo...
Anche il debito delle banche di stato – come Ukreximbank e Oshadbank, così come il debito del comune di Kiev – entreranno nel calderone della ristrutturazione. Anche qui con modalità vietate per l'attuale governo di Atene.
C'è un però. I creditori privati occidentali, come Pimco, Blackrock (il fondo gestito da Warren Buffett) e Franklyn Templeton sono ampiamente disposti a rinunciare alla metà dei soldi prestati pur di mantenere Kiev nell'alleanza antirussa (tanto rientreranno tramite altri meccanismi, gestiti direttamente dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea). Il problema è costituito dai 3 miliardi di dollari che nel corso del 2015 Kiev dovrebbe restituire... a Mosca, in virtù di vecchi accordi firmati al tempo del governo Yanukovich. In teoria, se i rapporti internazionali fossero improntati alla logica del "diritto commerciale" normale, l'eventuale - probabilissima - opposizione russa alla ristrutturazione del debito sarebbe motivo sufficiente per bloccarlo. Ma naturalmente...
Farà la sua parte anche il Fondo Monetario Internazionale, che ha già versato in queste ore i primi 5 miliardi di un prestito complessivo di 17,5, appena stanziato (sia mai detto che a Kiev venga a mancare l'ossigeno proprio mentre è in guerra con i 'separatisti'...). Naturalmente senza alcuna garanzia di poter rientrare di questa cifra, visto che il Pil ucraino l'anno scorso è precipitato del 7,5% (e già veniva da un paio d'anni negativi) e la moneta nazionale non vale più nulla.
Naturalmente un prezzo non finanziario per questi prestiti c'è: il governo Poroshenko si impegna a realizzare una serie di “riforme strutturali” che a noi suonano molto familiari: Naftogaz, la compagnia statale del gas, che rappresenta da sola il 6% del Pil, sarà privatizzata. Il prezzo del gas venduto ai cittadini ucraini sarà triplicato. Varie ed eventuali saranno discusse nei prossimi giorni.
Anche qui la differenza è chiara: si tratta delle “riforme” che il governo di Atene, a costo di ballare sui carboni ardenti, ha fin qui dichiarato di non voler accettare.
Due pesi, due misure, l'imperialismo eruopeo funziona come tutti gli altri, anche se è più "ggiòvane".

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