Nell’agenda politica europea continuano a riverberarsi gli echi
dell’intervista del presidente della Commissione Europea Junker, che ha
evocato la necessità di un esercito europeo. La proposta di Juncker ha
trovato qualche prevedibile resistenza nella stessa Unione europea,
soprattutto da parte degli stati più legati agli Stati Uniti. Si
segnalano infatti il no scontato del premier inglese, David Cameron e
della Polonia. La Francia nicchia ma non nella sostanza. Essendo l’unica
potenza dell’Eurozona (la Gran Bretagna ne è fuori) a possedere le armi
nucleari, non nasconde l’ambizione di voler essere l’azionista di
riferimento di un esercito europeo. Al contrario la ministra della
Difesa tedesca Von der Leyden è stata invece tra i primi ad esprimersi
favorevolmente verso il progetto evocato domenica scorsa da Juncker su
un esercito europeo, spiegando che “il nostro futuro di europei esigerà
un giorno che ci dotiamo anche di un esercito comune”. In Germania, da
almeno due anni stanno cambiando di molto gli orientamenti sulla
politica militare. Qualcosa si era intuito già nella annuale Conferenza
sulla Sicurezza a Monaco dello scorso anno.
Il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, quando ha
presentato la legge di bilancio per il 2015, ha annunciato che la
Germania aumenterà la spesa per la difesa. Schauble non ha dettagliato
le cifre, ma la decisione è presa ed è emblematica. In piena guerra
fredda la Germania spendeva per la difesa il 3,2% del Pil. Ne tre
decenni successivi, le spese militari si erano ridotte, scendendo
all'1,4% del Pil nel 2013, che corrispondono però ad una spesa di 48,8
miliardi di dollari (secondo altre fonti come l’Istituto Internazionale
di Studi Strategici sarebbero invece 43,9 miliardi di dollari). La
Francia ad esempio ne spende 53,1 per la Difesa. Dal settembre 2014, la
Germania, al pari degli altri membri della Nato, si è impegnata a
portare le spese nella difesa al 2% del Pil. Il ministro della Difesa,
Ursula Von der Leyen, ha inoltre costituito una commissione composta da
duecento esperti militari per ridefinire la strategia delle forze armate
tedesche del XXI Secolo. Juncker nell'intervista al giornale tedesco
Die Welt am Sontag ci ha tenuto a spiegare che: “L'immagine dell'Europa
ha sofferto drammaticamente anche in termini di politica estera: non
sembra che siamo presi completamente sul serio”. Per Juncker dunque la
debolezza della politica estera europea dipende dal fatto che l'Europa
non ha un esercito proprio, ma ha aggiunto anche qualcosa di più: “La
Nato non può bastare, visto che non tutti i Paesi membri dell'Alleanza
atlantica sono anche della Ue. Una forza armata europea, invece,
mostrerebbe al mondo che non ci saranno mai più guerre tra gli Stati
membri, aiuterebbe a disegnare una politica estera e di sicurezza
comune, e permetterebbe all'Europa di assumersi le sue responsabilità
nel mondo”.
Era il 1996 quando Helmut Khol, in una conferenza all’università di
Lovanio disse che “l’integrazione europea sarebbe stata una questione di
pace o di guerra nel XXI Secolo”. Un concetto ribadito da Khol dieci
anni dopo in una intervista al Corriere della Sera. E ancora dieci anni
dopo, il 22 febbraio scorso, durante un colloquio in Vaticano, è stata
Angela Merkel ad affermare che “La pace in Europa? Non è un fatto
scontato”.
Molti di questi aspetti, anche sul piano del crescente sganciamento
dell’Unione Europea dagli Usa e dalla Nato, soprattutto in materia di
tecnologie satellitari, droni, settore aereospaziale, sono stati
analizzati nel recente forum della Rete dei Comunisti a Bologna su “Il
piano inclinato degli imperialismi”. Il cerchio di fuoco dei conflitti
che circonda l’Europa (da Est a Sud) non solo non lascia affatto
indifferenti gli apparati dirigenti della Ue ma sta rafforzando le
ambizioni globali della stessa Unione Europea per dotarsi di tutti i
“fattori di egemonia” necessari ad un polo imperialista: quello
economico, quello ideologico e infine quello militare. Un nuovo status
che preoccupa molto gli Stati Uniti, i quali vedono configurarsi la
possibilità di un polo rivale nella competizione globale. Ma è una
ambizione che deve preoccupare – e molto – anche i popoli dell’Europa
dell’Est e della regione afro-mediterranea. Quanto sta già accadendo con
gli interventi militari europei nell’Africa Centrale o quanto avvenuto
contro la Libia nel 2011, indicano che le questioni della pace e della
guerra in Europa stanno cambiando di passo e di segno. Continuiamo a
ritenere che sia un errore – anzi un grosso guaio – che questo
“dettaglio” nella strutturazione dell’Unione Europea continui ad essere
sottovalutato. Combattere ed indebolire il “proprio imperialismo” è un
compito dal quale nessuna forza internazionalista o che lotti per la
pace dovrebbe sottrarsi.
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