Nel marzo del 1870 Marx, nella “Comunicazione confidenziale” al Consiglio Generale della Prima Internazionale, spiegava che “il comune operaio inglese odia quello irlandese in cui vede un concorrente che comprime i salari e il livello di vita”
(cioè l’operaio inglese è corrotto materialmente dal colonialismo, tesi
che sarà sviluppata da Lenin). Ma la corruzione è anche ideologica: “Nei
suoi confronti prova delle antipatie nazionali e religiose. Egli lo
guarda quasi con gli stessi occhi con cui il bianco povero degli Stati
meridionali del Nordamerica guardava gli schiavi neri” (ibid.; abbiamo dunque il razzismo). “Il popolo che soggioga un altro popolo appronta le sue proprie catene” (ibid., p. 15). Circa una settimana dopo, Marx ripeté: “Il
suo atteggiamento è molto simile a quello dei bianchi poveri nei
confronti dei negri nei vecchi stati schiavistici degli Stati Uniti” (Marx a S. Meyer Hae A. Vogt, Londra, 9 aprile 1870). E continuava: “Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, malgrado la sua organizzazione”
(ibid.). Questo antagonismo faceva parte dell’antagonismo generale
metropoli-colonia all’interno della classe operaia mondiale. Adesso, 100
anni più tardi, questa posizione di Marx è sconosciuta o totalmente
ignorata da tutte le Internazionali ufficiali, senza eccezione. E questo
fatto è esso stesso un prodotto di quella corruzione che indusse Marx
ad esprimerla.
Hosea Jaffe, “Marx e il colonialismo”, Jaca Book
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