martedì 31 marzo 2015

Corruzione, un romanzo letto al contrario —  Massimo Villone, Il Manifesto

Abbiamo capito. La cor­ru­zione è il vero romanzo ita­liano, e un nuovo Man­zoni ci scri­ve­rebbe il sequel ai Pro­messi Sposi. A quel che si legge, nell’inchiesta su Ischia c’è tutto. Il poli­tico che rimane a galla tra­smi­grando da una sponda all’altra; i par­titi di suc­ces­siva appar­te­nenza che abbrac­ciano il suo pac­chetto di voti; i fun­zio­nari com­pia­centi che fir­mano le carte par­te­ci­pando al mal­tolto; i parenti; il fan­goso rap­porto tra poli­tica, ammi­ni­stra­zione, denaro; l’impresa, per di più amman­tata di una sto­ria antica e per­sino un tempo nobile; il poli­tico potente, magari un po’ deca­duto. E soprat­tutto l’omertà di tanti, che cer­ta­mente sape­vano o sospet­ta­vano, e hanno valo­ro­sa­mente taciuto.
È l’Italia di oggi. Un remake con un copione nem­meno ori­gi­nale, che non ci inse­gna nulla di nuovo. Ma ci dà l’ennesima prova di quanto debole sia l’argine che la poli­tica vor­rebbe costruire. Il dise­gno di legge con­tro la cor­ru­zione arranca in senato, e va ancora ricor­dato che il dise­gno di legge AS 19 a firma di Grasso e altri fu pre­sen­tato il 15 marzo 2013, all’avvio della legi­sla­tura. Sono pas­sati due anni, e non più di un mese fa venne negata l’urgenza.
La lotta alla cor­ru­zione arranca, men­tre con­ti­nuano le fibril­la­zioni sulla que­stione della pre­scri­zione. Il punto è che una parte della mag­gio­ranza con­si­dera la cor­ru­zione come un pec­ca­tuc­cio, da con­fes­sio­nale piut­to­sto che da galera. La rilut­tanza di pezzi della poli­tica verso inter­venti dra­stici riflette il pen­siero di pezzi del paese che con la cor­ru­zione vivono senza pro­blemi. Per­ché ne appro­fit­tano, per­ché la tol­le­rano, per­ché pen­sano che non li riguarda.
Com­bat­tere la cor­ru­zione è ovun­que dif­fi­cile, per­ché è un reato in cui è dif­fi­cile distin­guere un car­ne­fice e una vit­tima. Cor­rut­tore e cor­rotto sono indis­so­lu­bil­mente legati dall’interesse a coprire il reato, e man­ter­ranno entrambi il silen­zio se appena potranno.
E può essere anche dif­fi­cile dare la prova, che spesso richiede di sman­tel­lare appa­renze ben nasco­ste. Leg­giamo che i pro­venti della cor­ru­zione sareb­bero nella spe­cie venuti anche da con­su­lenze — mec­ca­ni­smo ben noto e ormai sospetto in prin­ci­pio — e dalla messa a dispo­si­zione di camere di albergo per i dipen­denti della impresa coin­volta. E qui un po’ di fan­ta­sia c’è.
Per que­sto la via di un con­tra­sto effi­cace è più nella pre­ven­zione che nell’inasprimento della san­zione penale. Biso­gna sti­mo­lare chi è fuori del dise­gno cor­rut­tivo a rico­no­scerlo, darne noti­zia, ren­dere visi­bile ciò che non lo è. Dando nuova vita­lità ai mec­ca­ni­smi di respon­sa­bi­lità poli­tica e isti­tu­zio­nale, agli stru­menti di con­trollo sociale, alla con­sa­pe­vo­lezza che la cor­ru­zione è in senso tec­nico un costo. Cer­ta­mente occulto, ma non meno reale. Anche se è dif­fi­cile quan­ti­fi­carlo, è un pacco di miliardi che viene sot­tratto al bene comune.
Ma pro­prio gli ele­menti del romanzo prima elen­cati ci dicono che la via è lunga. Non basta un tocco di bac­chetta magica. Come ripu­lire la poli­tica senza rico­struirla dalle fon­da­menta? Quella che abbiamo è fon­data sulla per­so­na­liz­za­zione estrema, sul suc­cesso com­mi­su­rato ai pac­chetti di voti di cui si dispone, su par­titi disgre­gati che vei­co­lano falsi riti pseu­do­de­mo­cra­tici come le pri­ma­rie. Né si ritro­vano stru­menti effi­caci di respon­sa­bi­lità poli­tica senza rivi­ta­liz­zare le assem­blee elet­tive regio­nali e locali, oggi in larga parte occu­pate da ecto­pla­smi di nuovo nota­bi­lato attenti solo al pro­prio con­senso. Né ancora si rin­salda una gestione cor­retta del denaro pub­blico se non si ripensa a fondo la sepa­ra­tezza tra poli­tica e ammi­ni­stra­zione costruita a par­tire dagli anni ‘90. È pro­ba­bile che, secondo le regole, il sin­daco di cui si parla non abbia fir­mato alcuna carta. Ma lo avrà fatto un fun­zio­na­rio da lui nomi­nato, o da lui lasciato sulla pol­trona già occu­pata. Di sicuro non il por­ta­tore di una diversa con­ce­zione di vita.
Quel che pre­oc­cupa è che le stor­ture in atto andreb­bero cor­rette con riforme oppo­ste a quelle che il governo porta avanti: sulla Costi­tu­zione, sul sistema elet­to­rale, sulla Pa, senza dimen­ti­care le inter­cet­ta­zioni e la respon­sa­bi­lità dei magi­strati. In spe­cie, un’occhiuta vigi­lanza e il ripri­stino dell’etica pub­blica si ritro­vano con una par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica effet­tiva e dif­fusa, e un sistema solido di checks and balances.
Al con­tra­rio, le pro­po­ste in discus­sione ridu­cono la rap­pre­sen­ta­ti­vità e con­cen­trano il potere in poche mani. Men­tre la lotta alla cor­ru­zione non guarda alla pre­ven­zione, ma si riduce a un dise­gno san­zio­na­to­rio penale che sof­fre di salute par­la­men­tare cagio­ne­vole. Non è un caso che rima­niamo sul fondo delle clas­si­fi­che inter­na­zio­nali sulla cor­ru­zione. Men­tre si affida ancora alla logica del deus ex machina — Can­tone e auto­rità anti­cor­ru­zione — il mes­sag­gio che il paese risale la china. È falso, e non dipende dalle per­sone. Qua­lun­que auto­rità può solo inter­ve­nire in pochi casi emble­ma­tici, a danno già pro­dotto. Non cura la malat­tia dif­fusa ed endemica.
La cau­tela è d’obbligo. Dun­que non distri­buiamo con­danne, e con la for­mula usuale auspi­chiamo che la magi­stra­tura fac­cia in fretta e bene. Ma intanto notiamo che è pas­sato appena qual­che giorno dall’esortazione di Mat­ta­rella a che la Pub­blica ammi­ni­stra­zione operi con tena­cia e tra­spa­renza con­tro la cor­ru­zione. E non c’è dub­bio che qual­cuno si muova con tena­cia: ma contromano.

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