di Andrea Fabozzi
Il caso. Così le norme
elettorali per il voto del 10 maggio finiranno alla Consulta. Ad aprile.
Super premi e regole su misura. Si rischia il copione del Porcellum:
che a elezioni fatte siano dichiarate illegittime
Si vota il 10 maggio, si va in
tribunale a metà aprile. Le leggi elettorali regionali sono tutte
nuove, e non c’è ne è una che non venga sospettata di
incostituzionalità. Colpa dei super premi di maggioranza,
introdotti per assicurare la governabilità sacrificando (troppo,
pare) la rappresentatività. In Veneto, Toscana, Marche, Umbria,
Campania, Puglia e Liguria, quasi ovunque le minoranze dei
consigli regionali che non hanno partecipato alla scrittura delle
nuove regole — in qualche caso le “riforme” non sono nemmeno
terminate — accusano le maggioranze di aver prodotto tanti
Porcellum regionali. Ma il paragone più giusto è con l’Italicum, la
“riforma” made in “patto del Nazareno” che il governo vuole approvare
entro l’estate. Apripista anche stavolta la Toscana, che già nel
2004 aveva aperto la strada alle liste bloccate (con qualche
differenza non da poco rispetto alla legge nazionale di Calderoli,
come le primarie regolamentate e le liste davvero corte). Adesso
l’ultimo grido è il ballottaggio. Renzi e Verdini si sono accordati
per fissarne la soglia nazionale sotto il 40% e sono stati profeti
in patria. A Firenze, per la regione, hanno deciso di fare lo stesso. Su
tutto si dovrà esprimere il tribunale civile. Prima udienza il 21
aprile.Cinque giorni prima, il 16 aprile, è fissata l’udienza davanti
alla prima sessione del tribunale di civile di Napoli per il ricorso
contro la legge elettorale campana. Ma è assai difficile che
i giudici possano decidere subito di chiamare in causa la Corte
costituzionale. Che in ogni caso ha i suoi tempi. Ed ecco che il
copione si ripete: si andrà a votare per le regioni accettando il
rischio che la legge elettorale venga successivamente giudicata
(almeno in parte) illegittima, com’è stato per il Porcellum
nazionale. Il protagonista del resto è lo stesso. Proponente
o consulente, dietro ai ricorsi che attraversano i tribunali
ordinari puntando alla Consulta c’è ancora l’avvocato “socialista
austro marxista” Felice Besostri, che (insieme ad Aldo Bozzi) ha
colpito e affondato la legge Calderoli. E che intanto sta provando
a ripetere il colpo con la legge per le elezioni europee: la Corte
costituzionale dovrà occuparsene sempre ad aprile, il 14.
Le nuove leggi elettorali regionali hanno in comune la rinuncia al listino del presidente, sostituito da un sovraccarico di maggioritario per l’assegnazione dei seggi. In Umbria si arriva a riconoscere alle liste del vincitore fino al 65% del consiglio regionale. In Toscana ci si ferma al 60%, in Puglia al 58%. Ma il vero problema è l’entità del premio riconosciuto al vincitore, che rappresenta pur sempre la prima minoranza. Tutti i sistemi prevedono una serie di “scalini”. In Toscana chi vince al primo turno con una percentuale compresa tra il 40 e il 45 per cento si vede riconosciuto il 57,5% dei posti in consiglio (23 seggi); dunque il premio — cioè i seggi regalati — può raggiungere e superare il 17%. In Puglia va anche peggio: se il candidato più votato dovesse fermarsi al di sotto del primo “scalino” (il 35%) si vedrebbe comunque consegnare il 54% dei seggi; il che vuol dire che in teoria il premio non ha limiti: in caso di forte frammentazione si potrebbe vincere anche con solo il 20% e guadagnare gratis 34 punti percentuali. Le cose peggiorano dal momento che ai premi di maggioranza, composti da seggi sottratti alle minoranze, si accompagnano ovunque le soglie di sbarramento. Diversamente articolate, ma comunque molto alte. In Toscana il 10% per le liste coalizzate, 5% per le non coalizzate e 3% per le liste all’interno delle coalizioni che superano il quorum. In Puglia lo sbarramento per i non coalizzati arriva all’8%. In Campania, sventate le modifiche dell’ultimo minuto, lo sbarramento è più basso (3%) ma vale soltanto per le liste collegate a un candidato presidente che resta al di sotto del 10%. E qui c’è il problema più grande di tutte le leggi elettorali, almeno secondo Besostri. Perché ogni sistema regionale consente il voto disgiunto: si può votare un candidato e scegliere contemporaneamente una lista che sostiene un altro presidente. Il premio, però, andrà sempre riconosciuto alle liste coalizzate con il presidente che al primo o al secondo turno (nel caso toscano) risulterà vincitore. E dunque a conti fatti il vantaggio per chi entra in scia al vincitore è spropositato. Irrazionale, potrebbe stabilire la Consulta, che entro l’estate dovrà pronunciarsi sulla legge elettorale della Lombardia (modellata, per esplicita ammissione degli avvocati di Maroni, sulla legge campana). «Gli elettori sono vittime di una truffa, il loro voto non è personale né uguale. E nemmeno libero perché non è cosciente», dice Besostri. Ma non finisce qui, perché a proposito di coscienza e conoscenza, la Toscana ha inventato i candidati senza volto: sono i tre componenti dei listini regionali i cui nomi non saranno stampati sulla scheda. Eppure saranno eletti prima dei candidati scelti con le preferenze.È con sistemi del genere che quasi 18 milioni di elettori sceglieranno tra due mesi i loro consiglieri regionali. Oltre che, se la riforma costituzionale di Renzi dovesse andare in porto, i nostri senatori.
Le nuove leggi elettorali regionali hanno in comune la rinuncia al listino del presidente, sostituito da un sovraccarico di maggioritario per l’assegnazione dei seggi. In Umbria si arriva a riconoscere alle liste del vincitore fino al 65% del consiglio regionale. In Toscana ci si ferma al 60%, in Puglia al 58%. Ma il vero problema è l’entità del premio riconosciuto al vincitore, che rappresenta pur sempre la prima minoranza. Tutti i sistemi prevedono una serie di “scalini”. In Toscana chi vince al primo turno con una percentuale compresa tra il 40 e il 45 per cento si vede riconosciuto il 57,5% dei posti in consiglio (23 seggi); dunque il premio — cioè i seggi regalati — può raggiungere e superare il 17%. In Puglia va anche peggio: se il candidato più votato dovesse fermarsi al di sotto del primo “scalino” (il 35%) si vedrebbe comunque consegnare il 54% dei seggi; il che vuol dire che in teoria il premio non ha limiti: in caso di forte frammentazione si potrebbe vincere anche con solo il 20% e guadagnare gratis 34 punti percentuali. Le cose peggiorano dal momento che ai premi di maggioranza, composti da seggi sottratti alle minoranze, si accompagnano ovunque le soglie di sbarramento. Diversamente articolate, ma comunque molto alte. In Toscana il 10% per le liste coalizzate, 5% per le non coalizzate e 3% per le liste all’interno delle coalizioni che superano il quorum. In Puglia lo sbarramento per i non coalizzati arriva all’8%. In Campania, sventate le modifiche dell’ultimo minuto, lo sbarramento è più basso (3%) ma vale soltanto per le liste collegate a un candidato presidente che resta al di sotto del 10%. E qui c’è il problema più grande di tutte le leggi elettorali, almeno secondo Besostri. Perché ogni sistema regionale consente il voto disgiunto: si può votare un candidato e scegliere contemporaneamente una lista che sostiene un altro presidente. Il premio, però, andrà sempre riconosciuto alle liste coalizzate con il presidente che al primo o al secondo turno (nel caso toscano) risulterà vincitore. E dunque a conti fatti il vantaggio per chi entra in scia al vincitore è spropositato. Irrazionale, potrebbe stabilire la Consulta, che entro l’estate dovrà pronunciarsi sulla legge elettorale della Lombardia (modellata, per esplicita ammissione degli avvocati di Maroni, sulla legge campana). «Gli elettori sono vittime di una truffa, il loro voto non è personale né uguale. E nemmeno libero perché non è cosciente», dice Besostri. Ma non finisce qui, perché a proposito di coscienza e conoscenza, la Toscana ha inventato i candidati senza volto: sono i tre componenti dei listini regionali i cui nomi non saranno stampati sulla scheda. Eppure saranno eletti prima dei candidati scelti con le preferenze.È con sistemi del genere che quasi 18 milioni di elettori sceglieranno tra due mesi i loro consiglieri regionali. Oltre che, se la riforma costituzionale di Renzi dovesse andare in porto, i nostri senatori.
fonte: il manifesto
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