venerdì 14 dicembre 2012

RISPONDIAMO A BERSANI CON VOCE FORTE E UNITARIA


Pierluiigi Bersani, il candidato premier del PD e di Sel, incontrando la stampa estera ha dichiarato che “Monti l’abbiamo voluto noi e io interpreto l’agenda Monti come un’agenda di rigore, rispetto dei vincoli europei, lavoro per incidere sull’evoluzione della politica europea. Questi sono punti di non ritorno”. Ha dichiarato ciò per rassicurare in primo luogo chi teme che il suo futuro governo possa essere in qualche modo influenzato dalla sinistra vendoliana. Non a caso, aggiungendo maggiori rassicurazioni, fra le altre cose ha ribadito che anche l’articolo 18, in caso di vittoria, “non si tocca”, cioè resta così com’è perchè “è’ uguale a quello tedesco. Non è un problema perché allude alla flessibilità del mercato del lavoro ma in termini simbolici.”
La sinistra dei diritti del lavoro, quella coalizione di forze che si sta mobilitando nel Paese per i referendum che hanno come obiettivo il ripristino totale dell’articolo 18 e l’abrogazione dell’articolo 8, non può rimanere silente. Non riproporre l’agenda del rigore monetarista di Mario Monti e rilanciare i diritti e la democrazia nei luoghi di lavoro sono punti irrinunciabili per chi vuole governare l’Italia dando speranza e futuro ai lavoratori, ai precari e alle giovani generazioni.
La Fiom, le forze della sinistra di alternativa, i movimenti e le soggettività che si propongono di costruire uno spazio autonomo rispetto al perimetro eccessivamente liberista del Partito Democratico, devono poter riuscire a rispondere con voce forte e unitaria alle parole di Bersani.
FONTE:www.lavorincorsoasinistra.it

Bersani ‘apre’ al Professore

di Daniela Preziosi, Il Manifesto

Daniela Preziosi - «Monti dovrebbe tenersi fuori dalla competizione, ma se decidesse di candidarsi, rispetteremo la sua scelta e segnaleremo la nostra volontà di collaborare». Bersani lo dice in tedesco, al Die Welt, dopo averlo detto in inglese al Wall Street Journal e ripetuto in tutte le lingue che può. Le parole sono quasi le stesse di sempre, ma stavolta sul tavolo c’è la richiesta del partito popolare europeo a Monti di presentarsi al voto per restare a Palazzo Chigi. Chi è vicino al leader Pd racconta che fino a qui ha sempre creduto, persino creduto di sapere, che Monti non avrebbe fatto «il salto» in politica e avrebbe atteso il voto per «essere consultato nel suo ufficio di Palazzo Giustiniani», come anche il capo dello stato Giorgio Napolitano aveva suggerito. Magari per ricevere la proposta di un’elezione alla presidenza della Repubblica.
Ma negli ultimi giorni l’accelerazione della crisi ha impresso un altro segno all’attivismo di Monti. I segnali sono molti. Dal suo entourage c’è chi dice che si sta «informando tecnicamente» sui termini della sua possibile corsa per restare a Palazzo Chigi. Un’eventualità che Bersani teme (smentendo però ufficialmente chiunque gli attribuisca affermazioni di questo tipo). Fin qui l’appoggio del Pd a Monti è valso, negli ambienti della finanza internazionale, come la garanzia dell’affidabilità di Bersani. Ora il candidato del centrosinistra deve valutare la possibilità concreta di averlo come avversario. O come alleato? «Monti sarà utile per una funzione di garanzia», dice Stefano Fassina, il responsabile economico del Pd che in questi mesi ha criticato di più gli aspetti recessivi delle riforme di Monti. «Quanto alle forme di collaborazione, saranno i risultati elettorali a definirle». Il messaggio sembra: nel caso, sarà l’elettorato a decidere il nuovo ruolo dell’ex premier. E certo è difficile che l’ex premier vinca su Bersani.
Bersani infatti sceglie di evitare lo scontro frontale e di offrire collaborazione. A Roma si confronta con la stampa estera. A cui ripete il suo rosario: «Ritengo che Monti debba continuare ad avere un ruolo per il nostro paese. Il giorno dopo le elezioni, se toccasse a me, il primo colloquio vorrei farlo con lui per ragionare assieme». Ma, fosse per lui, «Monti deve stare fuori dai giochi. Vederlo raccogliere le firme in una settimana per presentarsi alle elezioni non ci sembra una cosa di cui l’Italia senta il bisogno. L’Italia ha bisogno che Monti rimanga una risorsa». Poi si spertica in rassicurazioni. Su Berlusconi: «Non è tornato, ci prova soltanto: non vincerà». Sui trattati internazionali: «Rigore e rispetto dei vincoli europei, unita a più riforme. Siamo il primo partito italiano sopra il 30 per cento in tutte le rilevazioni e siamo la forza più europeista del paese, quelli che hanno portato l’Italia nell’euro». Sull’affidabilità del suo governo: «Non ci sarà ingovernabilità nei numeri e nella politica». Sull’apertura al centro: «In qualsiasi condizione numerica siamo disponibili ad un dialogo con le forze del centro europeiste e costituzionali». Di più: «Il rigore e la credibilità di Monti nel mondo sono per noi un punto di non ritorno». Alla Welt aveva inchiodato l’art.18: «Lo lasceremo così come è. È uguale a quello tedesco».
Quello che suona rassicurante nell’Europa a trazione tedesca, suona inquietante in Italia. E per l’alleato Vendola, la cui «affidabilità» pure Bersani difende davanti ai cronisti esteri, suona veramente male. Sull’art.18, il leader di Sel raccoglie le firme sul referendum per il ripristino del testo precedente. E quanto alla «collaborazione» con Monti, da giorni ripete: «Se c’è lui non ci sono io». Ieri dal presidente della Puglia non è arrivato nessun commento. Ma chi ci ha parlato dice che stavolta il silenzio è gelo. Così come è sferzante il commento di Casini, ringalluzzito dalla possibilità che Monti scenda in campo: le aperture di Bersani al centro «non sono una novità. Chiedete a Vendola cosa ne pensa».
Vendola parlerà, spiegano i suoi, al congresso dell’Alleanza dei progressisti convocato sabato a Roma dal Pd. I quali progressisti si sono lanciati in grandi apprezzamenti verso Monti, quando ha sostituito Berlusconi, ma ora dovrebbero sostenere Bersani con un po’ più di calore. L’appoggio del Ppe a Monti «non è una sorpresa, né niente di drammatico», spiega il presidente dell’europarlamento Martin Schulz, ma ora «il problema è come gestirà il fatto che finora anche il leader del Pd lo ha sostenuto». Dai bersaniani arrivano le rassicurazioni di sempre: «Il Pd e Bersani sono gli unici, a due mesi dal voto, a essere pronti. Adesso forse è il caso che anche gli altri facciano chiarezza sulle candidature e il perimetro delle coalizioni». Il messaggio è a tutti, ma soprattutto a Monti.

Bersani ridimensiona l’alleato Vendola. E conferma: «Dopo il voto, aprirò al centro»

di Luca Sappino, Pubblico

I sondaggi lo fanno forte, a Bersani, e lo rendono molto sicuro di sé. «Non ci sarà alcuna situazione di ingovernabilità – dice infatti alla stampa estera – e avremo una maggioranza numerica e politica». Vedrete, insomma, ci sarà di che rassicurare lo Spread. Però, tanto ne è Bersani, che una porta la apre comunque. E prosegue così il leader del Pd: «Ma io intendo che i progressisti siano generosi e aperti». Verso chi? Verso le forze del centro «europeista e costituzionale», dice, citando la carta d’intenti delle primarie, «perché abbiamo davanti la possibilità di dare governabilità a questo Paese». E verso però anche Mario Monti, perché «io ho detto al presidente -dice Bersani – che lui è una figura che deve continuare ad avere un ruolo nel nostro Paese». Certo, «dopo di che – aggiunge – mi fermo lì», perché il ruolo lo si deciderà dopo il voto, pur sapendo che «se toccasse a me – dice immaginandosi premier – il primo colloquio lo farei con Monti. Per ragionare assieme». Ma il messaggio, se non si fosse capito, è chiaro: «Confermo la mia assoluta intenzione di vedere impegnato il presidente Monti», anche perché, «Monti l’abbiamo voluto noi e io interpreto la sua agenda come un’agenda di rigore e rispetto dei vincoli europei». Monti insomma, dice però Bersani cercando così di disinnescare anche le avances berlusconiane e ogni tentazione di misurarsi col voto del professore, che «deve stare fuori dai giochi». Perché «vederlo raccogliere le firme in una settimana per presentarsi alle elezioni non ci sembra una cosa di cui l’Italia senta il bisogno. L’Italia ha bisogno che Monti rimanga una risorsa». Il presidente, insomma, deve tutelarsi e deve tutelare la vittoria di Bersani.
Ma come? E Vendola? A sentire queste parole, e ad incrociarle con quelle sull’art. 18 («È un problema solo simbolico», dice Bersani), e ancora con quelle sull’agenda del rigore, confermata, seppur, confessa Bersani, «io ci voglio mettere più riforme, frutto di una maggioranza politica e coesa», la sinfonia potrebbe non piacere all’orecchio dell’al – leato di sinistra. Sel è «portatore di sensibilità sui temi ambientali e dei diritti», è «una risorsa preziosa», ma – è il messaggio – non si illuda. Perché «non siamo ai tempi di Prodi quando c’erano 12 partiti», e ora è difficile immaginare condizionamenti da parte di Vendola nei confronti del Pd, perché oggi, dice il candidato premier, «il Pd è di gran lunga il più grande partito del Paese, ben sopra il 30%».
È dunque una questione di rapporti di forza, che certo le elezioni potranno pure, teoricamente, ribaltare, ma che per ora sembrano invece radicalizzarsi. Anche perché la partita delle primarie per i parlamentari, ha fatto segnare al Pd un altro punto, anche nel confronto diretto con Sel, che ha dato l’impres – sione di andare un po’ a ricasco sulla scelta dei democratici, che quindi capitalizzeranno anche questo, continuando così la rimonta ai danni dell’antipolitica grillina, ovviamente, ma non solo.
Ma se ci dovessero poi essere problemi, con Sel, incomprensioni e divergenze sui voti in aula e sulle scelte del prossimo governo? La risposta che Bersani dà ai cronisti stranieri è rassicurante: «se ci saranno dei problemi – dice il segretario – li risolveremo». D’altronde nella carta d’intenti c’è scritto chiaramente: se non si è d’accordo su qualcosa, prima di andare in aula si vota a gruppi riuniti. E lì, in effetti, contano i rapporti di forza.


 

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