Se esaminiamo i risultati delle primarie del Partito Democratico
dell’Umbria, dovremmo concludere che l’attuale assetto istituzionale è
governato da esponenti totalmente delegittimati dal voto popolare.
Presidente della Regione, gran parte della Giunta e tantissimi sindaci
dovrebbero rimettersi in posa davanti al Palazzo della Provincia di
Perugia per l’ultima foto ricordo di una classe dirigente che non c’è
più. Con quei numeri, per loro, le primarie sembrano ineluttabili e
proibitive. Ma non è così. L’analisi del voto di domenica, vista, letta e
propinata in questi giorni, mi dispiace dirlo, pecca di superficialità.
I commentatori nazionali vivono a Roma e non conoscono o fanno finta di
non conoscere che sul territorio la situazione è totalmente diversa. E
sono diversi anche i rapporti di forza. Da Settebagni in su e da
Fiumicino in giù il dominio delle correnti è totale. E fanno finta di
non sapere che siamo di fronte ad una parcellizzazione del potere che ha
raggiunto gli angoli più remoti del paese e dimensioni che ricordano,
per la grandezza, la divisione dell’atomo. Ho già spiegato più volte che
il Pd funziona per aree di riferimento organizzate in maniera
“medioevale”. Siamo nel regno dei re (i capibastone), dei vassalli, dei
valvassori e dei valvassini. Con un effetto perverso in più. Non esiste
fedeltà assoluta al capo e alla corrente. Ogni gruppo fa per se e, se
necessario, viene spostato dal ras locale, sull’aggregazione più
conveniente in termini di potere. Parafrasando la Bibbia verrebbe da
dire ”Dio creò il Pd e fu il caos”. Così, per tornare dalle nostre
parti, succede che per l’elezione dei segretari provinciali il candidato
renziano prenda solo il 21%, perché molti dei suoi sostenitori hanno
fatto scelte diverse. La conseguenza è che mentre il Sindaco di Firenze
spopola tra la folla, il Pd umbro elegge due segretari provinciali, gran
parte di quelli comunali e una valanga di quelli di circolo, scegliendo
uomini e donne che hanno fatto campagna per Cuperlo. La dicotomia tra
partito virtuale e partito reale è servita al coscio. E ancora. Il
credo Renziano resta ancorato ad un modello organizzativo delle forze
politiche tipico della seconda repubblica. Un modello incentrato sulle
capacità di attrazione del capo. Quando la presenza e la figura del
leader non si fa sentire adeguatamente, come nel caso delle dispute
politiche e amministrative locali, i risultati elettorali cambiano e di
brutto. Non è un caso che dalle nostre parti nel Pd “non si muove foglia
che Bocci non voglia”. E il Sottosegretario all’interno non è nè
renziano, nè cuperliano, nè civatiano; è un abile dialogante, che sposta
il suo granitico e sostanzioso gruppo da una parte e dall’altra,
risultando sempre l’azionista di riferimento della varie maggioranze che
di volta in volta si formano per la strutturazione di organismi e per
la composizione delle candidature. Allora, in una situazione così
fluida, dare per morti Catiuscia Marini, Vladimiro Boccali, tanti altri
sindaci e soprattutto provare a derubricare Bocci è un esercizio
pericoloso. Chi sottovaluta il nemico o l’avversario ha già fatto un
passo verso la sconfitta. In conclusione i giochi per le amministrative
del 2014 e le regionali del 2015, nonostante la valanga renziana, sono
ancora tutti aperti. Diciamo che la vecchia classe dirigente parte
sfavorita. Ma non tanto per questo voto, quanto per la bassa popolarità
che ha tra la gente e la cronica incapacità a dialogare con essa. Ma ha
ancora qualche chance di recupero, soprattutto se, come è costume di
questi tempi, a votare vanno principalmente nomenclatura e
“interessati”. Tutto questo si sta svolgendo in un clima surreale, che
non tiene conto ci ciò che si muove all’esterno e nella società. Perché
non è più come una volta quando il candidato del centrosinistra era
praticamente eletto al primo turno. Adesso ci sono altri concorrenti
oltre alla destra e al blocco moderato. C’è innanzitutto il movimento 5
stelle, che però, a livello locale soffre di quella sindrome “della
mancanza del capo” di cui abbiamo parlato prima. Ha comunque come si è
visto a Corciano e a Trevi una consistenza a due cifre che può
determinare una marea di ballottaggi. Ballottaggi che sono il terrore
della sinistra perché in una situazione “tripolare”, la parte esclusa
finisce per riversare i propri voti sul concorrente più debole. Ma non è
finita qui perché i concorrenti, perlomeno nelle realtà più grosse,
potrebbero essere addirittura 4. C’è un lavorio di fondo a destra e a
sinistra per la formazione , non di liste, ma di coalizioni civiche che
tendono, in questa fase, o a condizionare le scelte dei principali
partiti, o addirittura a preparare una loro candidatura alla guida delle
città. Stirati a Gubbio e Romagnoli a Foligno sono i primi esempi di
questa tendenza. Ma si tratta ancora di cose interne al centrosinistra
che, però, se non ottenessero gli effetti sperati potrebbero anche
trasformarsi in pericolosi concorrenti delle liste ufficiali. A Perugia
invece si parla di nomi molto, ma molto appetibili (un uomo e una donna)
pronti a scendere in campo e ad essere sostenuti un raggruppamento di
civiche di sinistra. Una ipotesi che sta tentando anche diversi piccoli
partiti dell’attuale coalizione che governa Palazzo dei Priori. Ma non
basta. Anche a destra ci sono personaggi che si sarebbero stufati di
“partecipare”. Anche qui nomi roboanti. Ed è forse per questa ragione
che il centrodestra, stavolta, avrebbe pensato di non correre più con un
candidato di bandiera, ma con un vero e proprio concorrente. Si parla
del Presidente di Confcommercio Giorgio Mencaroni che non avrebbe ancora
detto di si ma che, fanno notare quelli di Forza Italia “non ha nemmeno
detto di no”. Questo ingarbugliamento e questa possibile multipolarità
di liste pone, per la necessità del centrosinistra di vincere a tutti i
costi al primo turno, anche il problema dell’allargamento dell’alleanza.
Il primo indiziato è il “centro” e in particolare l’Udc. Si parla già
di un accordo sottoscritto tra il sindaco di Foligno Mismetti e il
capogruppo Udc in Provincia Ronconi per le prossime amministrative. Ma
la cosa non piace agli attuali alleati del Pd. Il rischio, quindi è che,
per la legge della coperta corta, la coalizione si allarghi a destra e
si restringa a sinistra. Insomma la situazione non è stata mai più
fluida e incerta di adesso. L’aria che tira sembra essere quella di un
cambiamento radicale. Ma bisogna stare molto attenti. Perché il
cambiamento deve essere palpabile e visibile per far si che l’umbro lo
sposi. Questa è una terra di origine e cultura contadina. E il
“mezzadro” deve avere una ragione forte per lasciare “il certo dell’oggi
per l’incerto del domani”. E, per adesso, questa ragione non c’è.
di Darko Strelnikov
di Darko Strelnikov
Strelnikov.d@libero.it
l'articolo è stato pubblicato sull'ultimo numero di Umbriasettegiorni
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