Renzi
in pochi giorni è riuscito a squadernare, in modo erratico e goffo,
tutto l’armamentario, la “machina” del teatro politico: la genericità
ipocrita con cui dice che l’articolo 18 non è un totem, intendendo che
andrebbe eliminato, ma che ahimè magari non può dirlo apertamente
adesso; la finzione, come è accaduto per la legge pro biscazzieri, di
essere contrario, ma solo dopo il voto come se fosse segretario del Pd a
sua insaputa; il ribaltamento tra una presunta rotta di collisione con
Alfano prefigurata prima dei gazebo e il pappa e ciccia successivo di
fronte a Vespa, parroco benedicente del berlusconismo; il baratto in sé
ignobile, ma nei fatti solo solo surreale e inutilmente retorico con
l’offerta di una la rinuncia del Pd ai suoi 45 milioni di finanziamento
pubblico in cambio dell’appoggio del M5S su una nuova legge elettorale.
Verrebbe da dire che in tutto questo di nuovo e di vero c’è
pochissimo, se non lo stile, le modalità in cui il vuoto si muove. Ma
purtroppo come Berlusconi fu a suo tempo espressione di un Paese
confuso, schizofrenico tra voglia di cambiamento e immobilismo finendo
per scegliere il primo sotto forma di slogan e il secondo nella
sostanza, anche Renzi, sebbene personaggio costruito a tavolino,
rappresenta il male oscuro di una generazione di mezzo nata prima della
rivoluzione digitale e dopo la morte delle ideologie, ossia dopo la
vittoria dell’ideologia unica e il decesso delle idee politiche. A una
persona della mia età quando dici “fare” e “nuovo” la prima cosa cosa
che viene in mente è fare che cosa e nuovo in che senso. Per la
generazione di mezzo, essenzialmente televisiva, (ma per fortuna non per
i più giovani, consapevoli del furto di futuro che che si sta attuando,
anche se immersi nel deserto di idee italiano) queste parole d’ordine
valgono invece di per sé, non hanno bisogno di essere riempite di senso.
Sono esse stesse il senso, il riferimento a suggestioni che rimangono
ancora tali nella nostra remota provincia. Il nuovo e il fare sono il
bene. Tutto questo è evidentissimo nelle parole del doppio in rete di
Renzi, ovvero Francesco Nicodemo il quale scrive “ Noi sentiamo il
pensiero di Matteo Renzi, prima di conoscerlo. Perché è una sintonia
culturale, politica, etica, pratica. È vicinanza anagrafica e simbolica.
È la storia di uno di noi, dell’amico con cui ti scrivi i messaggi su
WhatsApp, per organizzare la partita di calcetto del giovedì sera”.
Dopo il calcio il calcetto come elemento unificante, un’immagine che
sembra l’incarnazione di uno spot. Però non si tratta solo di una
generazione che nelle sue espressioni politicanti bussa alla porta e
vuole il potere, ma di una cultura della non politica che vuole
affermarsi. Disgraziatamente per questo Paese, afflitto da ritardi
giganteschi tutto ciò avviene in controfase: la generazione di mezzo non
ha la minima consapevolezza che la nozione e la suggestione di moderno
che essa ha in testa, i pensieri fatti che coltiva, tutte cose di cui
sente deprivata e che vorrebbe confusamente realizzare, sono ormai
invecchiati, mentre la direzione del vento è cambiata, nonostante i
poteri che essa ha creato siano fortissimi e spingano disperatamente per
evitare cambiamenti, come si vede perfettamente in Europa e come lo
stesso caso Renzi dimostra.
Non è un fenomeno solo italiano benché vent’anni di sostanziale
berlusconismo lo abbiano esaltato, si è verificato in tutte le
socialdemocrazie europee, quelle magari con un ricambio generazionale
più dinamico, che infatti oggi sono marginali rispetto al governo delle
cose e marginali anche nei riguardi del malessere sociale che sempre più
spesso vede emergere altri e inquietanti interpreti. Però qui siamo
ancora all’equazione da bar Paese – azienda , all’idea che i diritti
sul lavoro siano un ostacolo al lavoro senza pensare che a questo punto
lo schiavismo sarebbe la cosa più razionale e senza nemmeno darsi pena
di leggere la letteratura economica che smentisce totalmente questo
totem da affabulazione marchionnesca, alle vulgate di un’economia vista
solo dalla parte dell’offerta (per i più raffinati). Insomma la solita
solfa che non rimane moderna solo perché non si è realizzata se non in
parte: è puro modernariato senza prospettive. Quello che si esprime con
l’ orgogliosa idea che Renzi sia il Blair italiano, senza essere
sfiorati dal sospetto che si sta parlando di un’esperienza ormai
conclusa e considerata ampiamente fallimentare, ancora rimuginata solo
nei circoli più reazionari dell’occidente per la sua capacità di essere
stata un ottimo cavallo di Troia per la destra finanziaria.
Qualunque cosa avvenga, qualunque rotta prenderanno le cose non sarà
quello che si pensava in quegli anni’80 ai quali l’Italia è rimasta
confinata come per sortilegio. Ma tutto questo in un certo senso è anche
la fortuna di Renzi: il suo essere politicamente informe, il suo
consistere in immagine a due dimensioni nello spazio tridimensionale
della politica, rende spontaneo e sincero, al di là di un consueto
marpionnismo politico, il suo essere nulla. Che viene avvertito dalla
generazione di mezzo come se fosse qualcosa. What’s happened?
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