Intervista di Roberto Polidori da Siderlandia
Abbiamo parlato di reddito
minimo con Antonella Stirati, economista e professore ordinario di
Economia presso la facoltà di Roma Tre, molto conosciuta per le sue
ricerche sulla distribuzione del reddito e mercato del lavoro.
Qual è la differenza tra reddito minimo garantito e reddito di cittadinanza?
Per reddito di cittadinanza si
intende un trasferimento monetario pubblico erogato a tutti i cittadini
indipendentemente dal reddito, dal patrimonio e dall’occupazione. Per reddito minimo garantito
si intende un reddito di sussistenza per chi è disoccupato, e la sua
erogazione viene spesso legata non solo alla mancanza di una occupazione
ma anche all’accertamento di una situazione di bisogno, accertata sulla
base del patrimonio e del reddito familiare complessivo. Naturalmente
la definizione di coloro che hanno accesso al reddito minimo può variare
molto.
Il M5S ha parlato di un reddito
di cittadinanza da 600 Euro mensili. Quanto costerebbe un sussidio del
genere, secondo i suoi calcoli?
Il movimento 5 stelle sostiene l’idea che si debba arrivare in prospettiva ad un reddito di cittadinanza.
Questo costerebbe grosso modo tra il 20% e il 40% del PIL a seconda
della somma erogata (tra i 350 e i 700 miliardi di euro). La proposta
concreta però avanzata oggi dal M5S è una proposta di reddito minimo
garantito da 600 Euro [in campagna elettorale Grillo aveva parlato di
1000 Euro, n.d.r.] da erogare a disoccupati in condizione di bisogno,
cioè con un reddito netto al di sotto di 7.200 Euro annui. Resta da
capire bene se deve essere considerato “bisognoso” il singolo individuo
con reddito al di sotto di questa soglia indipendentemente dal reddito o
dalla ricchezza del nucleo familiare di appartenenza. Proprio con
riferimento alla definizione di soglia di accesso, possono nascere
problemi. Se il reddito disponibile per l’individuo viene accertato a
partire da quello familiare, la proposta si configura come uno strumento
– assolutamente auspicabile – di contrasto alla povertà, ma che
lascerebbe fuori molti disoccupati che convivono all’interno di nuclei
familiari in cui entra un salario o stipendio, sia pure molto modesto.
D’altra parte però, se si tiene conto solo del reddito dell’individuo,
il numero di persone che avrebbe legittimamente diritto ad accedere al
sussidio potrebbe diventare altissimo, poiché accanto a 3 milioni di
disoccupati ufficiali in Italia ci sono molti milioni di persone che non
lavorano e non stanno cercando lavoro (e quindi non risultano
disoccupate) semplicemente perché non ritengono di poterlo trovare…
Quanto costerebbe?
Naturalmente come dicevo dipende da come si definisce il diritto all’accesso.
Se supponiamo di dare 600 euro al mese a 3 milioni di disoccupati
contati dall’Istat in Italia ed altrettanti inattivi perché scoraggiati
(ma potrebbero essere anche molti di più), ci vorrebbero circa 40
miliardi di Euro annui. Se venissero messe in discussione le politiche
di austerità europee risparmiandoci le sanguinose manovre finanziarie
di rientro da deficit e debito, trasferimenti pubblici da 40 miliardi
annui sarebbero molto ingenti, ma ipotizzabili. Mi chiedo se questi
trasferimenti sarebbero politicamente e socialmente sostenibili.
Che cosa vuole dire?
Non sono sicura che i lavoratori
dipendenti sarebbero felici di contribuire al trasferimento di 600 euro
annui al figlio disoccupato di un professionista benestante (nel caso il
reddito sia garantito ai disoccupati che non hanno un reddito
individuale, indipendentemente dal reddito della famiglia di
appartenenza). La verità è che in Italia il numero molto elevato di
persone che non hanno accesso ad una occupazione rende molto costoso
economicamente ma anche difficilmente sostenibile politicamente e
socialmente un reddito minimo garantito a tutti coloro che non hanno un
lavoro, anche se sarebbe desiderabile ampliare il Welfare in questa
direzione. Sono quindi essenziali politiche economiche di occupazione
elevata, utilizzando in maniera consistente il bilancio pubblico per
creare posti di lavoro. Fermo restando che sarebbe opportuno avere
comunque un reddito minimo garantito come strumento di contrasto alla
povertà.
Lei ha recentemente affermato in
che ‹‹intorno alle proposte di reddito minimo vi è una insolita
convergenza tra ‘movimenti’ radicali ed economisti liberisti››. Alla
luce dell’analisi economica, lei condivide la visione di chi dice che
“dobbiamo liberarci dal lavoro perché ce ne sarà sempre meno” e di chi
dice che “bisogna scambiare un po’ di reddito minimo con maggiore
necessaria flessibilità e precarizzazione?”
Dal punto di vista liberista il reddito
minimo garantito è essenzialmente visto in termini di uno strumento per
rendere possibile ancora più flessibilità e precarietà del lavoro. La
convinzione che regge questo modello è, però, del tutto errata: la
flessibilizzazione del mercato del lavoro, secondo i liberisti,
garantirebbe elevati livelli di occupazione e la flexsecurity,
quindi, sarebbe sostenibile in quanto si limiterebbe a garantire un
reddito a pochi lavoratori disoccupati nelle fasi di transizione tra
un’occupazione e l’altra. Gli studi scientifici dicono invece che non
esiste alcuna relazione tra maggiore flessibilità e maggiore
occupazione. L’elevata occupazione non può essere ottenuta rendendo più
flessibile ed insicuro il mondo del lavoro: ci vuole uno Stato in grado
di sviluppare una politica economica di alta occupazione.
I “movimentisti”, invece, partono dal
presupposto che il lavoro sia ormai poco e precario e, quindi,
considerano il reddito minimo come lo strumento per “liberarsi dal
ricatto del lavoro”. Proviamo a immaginare che sia possibile trasferire
una quantità tale di risorse da garantire a tutti senza condizioni
una esistenza libera e dignitosa (il reddito di cittadinanza): il
capitalismo probabilmente entrerebbe in grave crisi (perché le persone
non sarebbero disponibili al lavoro salariato), ma crollerebbe anche la
società civile. Chi, infatti, vorrebbe svolgere la pletora di lavori
ripetitivi che esistono? E soprattutto chi e come organizzerebbe la
produzione per mangiare, scaldarci e vestirci? Stiamo pensando ad una
economia pianificata? Bisognerebbe discuterne apertamente…
Io penso che molto più realisticamente si
debba pensare al reddito minimo garantito come ad un ampliamento del
Welfare – che ha sicuramente un valore progressista, ma evidentemente
non può da solo modificare radicalmente il sistema sociale ed economico.
Per restare ancorati alla realtà, un
reddito minimo garantito inteso come rete di protezione per chi non
lavora è auspicabile, mentre un reddito di cittadinanza dato ad ogni
cittadino, anche occupato, si tradurrebbe in un sostegno indiretto alla
imprese, che a quel punto potrebbero pagare meno i lavoratori [come
succede in Germania con i mini-job, n.d..r], e proprio non vedo per
quale motivo un’azienda privata che utilizzi lavoratori debba scaricare
parte del costo del lavoro sulla collettività.
Lei avrebbe una proposta immediatamente cantierabile per alleviare il dramma della disoccupazione in Italia?
Faccio un esempio: il minor gettito
incassato dal Governo per la riduzione del cuneo fiscale ammonta a circa
5 miliardi di Euro e si traduce in inutili vantaggi in busta paga dei
lavoratori di circa 10 euro mensili in media. Con questi 5 Miliardi lo
Stato avrebbe potuto dare lavoro a 500.000 persone pagandole 800 euro al
mese: un “piano del lavoro” di questo tipo avrebbe potuto mettere soldi
in tasca di lavoratori, utilizzandoli per la manutenzione del
territorio e degli edifici pubblici o per rendere più attrattive
turisticamente le risorse artistiche e ambientali del paese.
A Lei risulta che il Governo abbia stanziato somme per il sostegno al reddito nell’ultima Legge di Stabilità?
Il Governo ha stanziato 40
milioni all’anno per interventi di sostegno alle famiglie in condizioni
di povertà, che è un importo ridicolo: consentirebbe un trasferimento di
400 euro netti mensili a poco più di ottomila famiglie, quando secondo
l’Istat le famiglie italiane in condizioni di povertà assoluta erano
tre milioni nel 2012. E’ una presa in giro.
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