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Ma probabilmente pochi sanno che tanta enfasi generazionale non è
nuova nel Paese, c’è già stata una stagione nella quale essa si è
imposta come paravento al nulla progettuale e alla chiacchiera
discutidora di un parlamento privo di coraggio e di idee. E non è stata
una stagione fausta. Basta scorrere i giornali dell’epoca o magari
leggersi il De Felice per rendersi conto che gran parte delle
arrendevolezza o delle complicità di parte cattolica e liberale nei
confronti dell’ “esperimento Mussolini” si basava proprio sulla retorica
del giovane quarantenne che sostituiva i vecchi arnesi come Facta,
Salandra, Giolitti . Era questo l’argomento principe che girava nel
Paese e quello evocato dopo il congresso dei popolari nel’aprile del ’23
dalla destra cattolica per attenuare le resistenze di Sturzo a
qualsiasi accordo con i fascisti e consentire ai “vaticanisti” di
conservare i propri posti al governo.
Ricambio generazionale, largo al quarantenne Mussolini (nonostante a
quei tempi la prima decade degli anta fosse considerata piena mezza età)
e alla sua “giovinezza”. Naturalmente non intendo fare paralleli,
sebbene, mutatis mutandis, l’obbedienza prona ai diktat finanziari e
agli stravolgimenti di campo che Renzi ha inaugurato, possa anche
consentirlo. Mi interessa invece notare che quando svaniscono le
impalcature ideali e la politica diventa politicismo, il vuoto viene
riempito con i dati anagrafici, con i discorsi generazionali, con un
rumore di tamburi che confonde e permettere di nascondere le intenzioni.
Ed è qualcosa che poi rimane appiccicato: pensiamo solo all’ homo novus
Berlusconi, costretto per vent’anni al botulino, al silicone ed altre
più intime diavolerie o a Mussolini che senza chirurgia estetica doveva
andare a cavallo, mietere il grano, pilotare l’areo per essere sempre il
quarantenne della marcia su Roma.
Per fortuna che Napolitano si vestiva da vecchio anche da giovane.
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