L'anno
prossimo verranno celebrati, non trovo altro termine, i cento anni
dall’inizio della guerra mondiale, quella che solo alla fine degli anni
’20 cominciò ad essere definita Prima visti gli sconquassi che erano
seguiti all’orrenda strage e la sensazione che un’altra tragedia stesse
incombendo sotto l’infuriare della crisi. Si tratta di un sinistro
anniversario perché sembra che anche l’orologio del continente stia
tornando indietro alla condizione iniziale che provocò la scintilla:
grande integrazione economica voluta e attuata dai banchieri unita a
grandi rivalità nazionali.
Ieri è stato fermato il vicepresidente di Casa Pound l’organizzazione
apertamente fascista tollerata, permessa poi addirittura sovvenzionata
dai poteri di uno stato berlusconico e ambiguo non per una
ricostituzione che aveva già di fatto attuato senza che nessuno avesse
qualcosa da dire, ma per aver tentato di sostituire il tricolore alla
bandiera europea, gesto che a giudicare dal web non è stato considerato
negativamente anche da gente che con i forconi o con la destra non ha
nulla da spartire. Ma questo mostra con terribile chiarezza che il
governo continentale della finanza con la complicità miope della
Germania ha ottenuto proprio l’effetto che il sogno dell’Europa unita
voleva allontanare per sempre: quello di tornare a dividere i popoli e
di far rinascere nazionalismi che parevano ormai dietro le spalle.
Talvolta come nel caso dell’Ungheria barattando i massacri sociali e la
svendita dei beni con l’oppio di uno sciovinismo fascistoide. In altri
casi cercando di dividere il fronte della resistenza alla strage di
diritti tacendo e anzi in qualche modo compiacendosi della nascita del
neo nazismo in Grecia. In altri casi come in Ucraina, sollecitando il
nazionalismo e mettendo il continente in rotta di collisione con la
Russia pur di favorire il business delle delocalizzazioni e infine come
in Spagna, premendo sui “governi di servizio” nazionali, tutti
rigorosamente di destra, per reprimere l’indipendentismo catalano. Una
costruzione sempre più rivolta al conflitto, alle derive oligarchiche,
ma che ormai mostra le sue fragilità come dimostra l’Italia e ancor più
la Francia: se alle europee il lepenismo dovesse affermarsi come primo
partito avremmo una rapida disgregazione che è in ogni caso già scritta
e una situazione esplosiva: aux armes citoyens, Wir sind bereit.
Chi avesse avuto davvero a cuore l’Europa politica e non quella
eterodiretta dei presunti mercati, avrebbe dovuto arrestare questo
processo di mutazione maligna e di decomposizione ideale, con il
coraggio di dire no ai meccanismi messi in piedi dalla finanza per
inserirsi di forza nell’intercapedine tra sovranità degli stati e una
sovranità europea ancora in nuce con lo scopo di impadronirsi del
comando ed ottenere quei risultati politici di “riduzione della
democrazia” che venivano auspicati dai circoli reazionari. Chi avesse
davvero avuto a cuore l’Europa avrebbe dovuto impedire che i popoli
fossero estromessi dal processo di unificazione, perché una ristretta
élite potesse mettere a punto non una unione continentale, ma un parco
giochi per multinazionali, con una costituzione che pare un regolamento
di borsa. E anche negli ultimi terribili anni avrebbe dovuto dire no a
ricatti in spread che di fronte anche solo all’evocazione di un
consolidamento del debito sarebbero caduti come fichi troppo maturi: i
banchieri non vanno contro i loro interessi. E’ questo il loro punto
debole.
Invece è stato tutto un pappa e ciccia con le imposizioni
continentali tra interessi interni di una politica giunta a fine corsa,
una sinistra intenta a cullare i suoi feticci come nella casa di Psyco
per mancanza di idee, illustri professori rincoglioniti, una classe
dirigente avida e incapace, un ambiente intellettuale salottiero dove
fra dame banali che parlano di Europa per diritto ereditario, autorevoli
personaggi la cui tribuna dipende dall’editoria dei due grandi clan di
padroni, cretini di giornata concentrati soprattutto nello sforzo di
fingersi economisti, non si è fatto che elevare peana e odi a questa
Europa del disastro. E fino a qualche mese fa chi non giurava sull’euro,
l’arma letale di tutto questo, rischiava l’inquisizione come Galileo,
dovendosi limitare a sussurrare “eppur si muore”. Così si è anche
consumato il suicidio della sinistra che non solo non è stata in grado
di immaginare e sorregge un pensiero alternativo, non solo si è piegata a
tutto per convenienza dei suoi gruppi dirigenti e per carenza di
analisi, ma alla fine è divenuta così “moderna” da essere
paradossalmente l’interprete dell’ortodossia liberista.
Ora stiamo raccogliendo i frutti, stiamo assistendo alla
disgregazione del consenso sociale in Italia che ha come unico punto di
contatto fra diversissime e arrabbiate confusioni, proprio l’odio contro
l’Europa dei massacri, anche perché è del tutto evidente che il Paese
non può ragionevolmente sottostare ai trattati firmati dai suoi
governatori e onorevoli presidenti in età da rosario. Ed è così
praticamente dappertutto lungo il continente. Ancora qualche anno e
mancherà solo Sarajevo.
Se George Clemanceau diceva che la guerra è una cosa troppo seria per
farla fare ai generali, oggi risulta evidente che anche l’Europa è una
costruzione troppo seria per farla fare agli europeisti, specie quelli
che dietro questo abracadabra retorico o dagherrotipo di un progressismo
di facciata, hanno accettato la trasformazione dell’Ue in una sorta di
consiglio di amministrazione nel quale i cittadini non hanno alcuna
voce, non essendone più gli azionisti. L’Europa potrà salvarsi solo
gettando alle ortiche l’europeismo di maniera che ha permesso la
crescita di organismi e relazioni geneticamente modificati. Bisogna dire
no a questa Europa, cresciuta come una torre storta per poterla davvero
recuperarla al futuro.
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