Pagheremo
caro, pagheremo tutto, si potrebbe dire parafrasando un vecchio slogan
studentesco. E da come si sta mettendo pare che i 4 miliardi prestati da
Monti ai Paschi di Siena per superare la crisi dovuta alla folle
politica di acquisizioni e investimenti di Mussari (nome che la grande
stampa evita singolarmente di citare), finirà per essere pagato dai
cittadini. La restituzione del malloppo e dei suoi interessi, oltre che
la tenuta stessa dell’Istituto entro i criteri europei, può essere
garantita solo da un aumento del capitale di pari importo, quello
proposto dal presidente del Cda Profumo e perigliosamente rinviato
l’altro giorno per volontà dalla omonima Fondazione bancaria che detiene
il 33,5% delle azioni.
Il senso di questa vicenda, assai più intricata di quanto non appaia
in chiaro, è uno spaccato della classe dirigente di questo Paese, degli
intrecci tra politica e affari, della palude in cui ci troviamo. Ora
bisogna sapere che la Fondazione Monte Paschi, è di fatto un grande
elemosiniere della politica locale e nazionale e forse proprio per
questo non ha un soldo in cassa: quindi non è in grado di affrontare
alcun aumento di capitale. Se questo fosse stato deliberato per gennaio
come prospettato da Profumo, oggi di fatto dimissionario, la sua quota
azionaria sarebbe scesa vertiginosamente con la perdita del controllo
della banca, specie se poi fossero comparsi azionisti stranieri, come
erano quelli (Ubs in testa) trovati dal consiglio di amministrazione.
Verrebbe così compromesso il suo ruolo di cinghia di trasmissione fra
Siena, la politica nazionale, in particolare piddina, ma non solo perché
partecipa attivamente anche il Pdl e i suoi apparati o personaggi di
spicco fuori e dietro le quinte.
Vade retro dunque. Meglio un rinvio per vedere se sia possibile un
qualche grottesco marchingegno, vale a dire restituire i soldi dei
cittadini chiedendo un prestito di 4 miliardi alla Cassa depositi e
prestiti, cioè sempre con i soldi dei cittadini. Un vero pasticcio che
comunque o potrebbe portare a una nazionalizzazione di fatto (se la
banca non potrà ripagare i Monti bond, dovrà cedere azioni al ministero
dell’economia che così diventerebbe proprietario di una quota variabile
dal 16 al 28 per cento del Monte Paschi) oppure essere acquista per
quattro soldi da un forte istituto di credito europeo, vista la quasi
certa caduta delle azioni.
Ma chi dirige la Fondazione che ha deciso di affrontare questi rischi
e di farli affrontare al Paese pur di non perdere la primogenitura?
Antonella Mansi, ennesima figlia di papà proiettata nella stratosfera
della classe dirigente come jolly utile a “segnare il territorio”: oggi è
vicepresidente di Confindustria nazionale (con delega
all’organizzazione) dopo essere stata, giovanissima, presidente di
confindustria Toscana. E’ anche presidente di Sipi e Aedificatio due
aziende partecipate al 100% dall’organizzazione degli industriali.
Questo dopo aver annunciato al momento della suo insediamento che
avrebbe dato le dimissioni dalle cariche confindustriali . Insomma è
evidente che proprio quelli che straparlano di meriti, che
svergognatamente si infarinano nella retorica della stessa barca, che
recitano il paternoster al dio mercato, che incitano allo smantellamento
del welfare e il meno Stato possibile, hanno le mani in pasta nel
tentativo di conservare assetti opachi tra politica, industria e
finanza, che niente hanno a che vedere con la religione ufficiale e il
suo catechismo. E nei quali alla fine è proprio lo Stato, vale a dire i
cittadini, che paga il conto per tutti: solo che in questo caso i grandi
delocalizzatori e globalizzatori invocano l’italianità. Ma che
andassero a montepascolare.
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