L’Italia non è mai stata così divisa. Agli
economisti di destra piace dire che la marea alza e abbassa le barche,
gli yacht come i gozzi, tutti allo stesso modo e così avviene
nell’economia. Ma non è vero. Cinque anni di crisi — la crisi più lunga
dal dopoguerra — hanno segnato la società italiana. Gli indici con cui
le statistiche misurano le disuguaglianze sociali crescono
inesorabilmente dal 2007, l’ultimo anno prima della recessione. E il
modo in cui questo è avvenuto mostra che la teoria della marea non
tiene.
Ricchi più ricchi
La crisi non ha reso i ricchi meno ricchi. Se la sono cavata
egregiamente, con appena qualche piccolo tremolio, che non ha
compromesso le quote in più di ricchezza nazionale, guadagnate negli
anni e nei decenni precedenti, a scapito del resto del Paese. E’
all’altro capo della scala sociale, però, che è avvenuto lo sfondamento.
Anzi, lo sprofondamento. In confronto a quei ricchi, infatti, i poveri,
a cominciare dalle classi medie in declino, sono diventati più poveri.
Soprattutto al Sud, dove erano già più poveri. L’allargarsi della
forbice è anchepiù vistoso se non si considera solo come i 4 milioni di
italiani ricchi (e, in mezzo a loro, i 40 mila straricchi) hanno
cavalcato gli ultimi anni di crisi, ma se si guarda a come i più
fortunati hanno saputo gestire e utilizzare il lungo ristagno che, dagli
anni ‘90, imprigiona l’economia italiana.
I 40 mila dello 0,1 per cento
L’ultima Italia egualitaria è ancora quella dei primi anni ‘80. Nel
1983, calcolano Paolo Acciari e Sauro Mocetti in uno studio (“Una mappa
della disuguaglianza del reddito in Italia”) pubblicato dalla Banca
d’Italia, i 4 milioni di contribuenti, che costituiscono il 10 per cento
più ricco degli italiani, assorbivano il 26 per cento del reddito
nazionale. In realtà è di più, dato che lo studio analizza le
dichiarazioni dei redditi e, dunque, non tiene conto dell’evasione e
neanche dei redditi fuori Irpef, in particolare gli interessi sui
depositi, le cedole dei titoli, i dividendi azionari, insomma, le
rendite finanziarie in genere che, per i ricchi, pesano. Acciari e
Mocetti sono, però, convinti che, anche se il livello assoluto non è
affidabile, il movimento dei redditi può essere disegnato dalle
dichiarazioni Irpef. Dieci anni dopo, dunque, nel 1993, il 10 per cento
più ricco intasca il 30 per cento del reddito dichiarato, lasciando il
70 per cento a tutti gli altri. E’ il momento in cui l’economia italiana
si ferma, smette, sostanzialmente, di crescere per non ripartire più,
fino ad oggi, accontentandosi di allargarsi ad un ritmo paragonabile a
quello di Haiti o dello Zimbabwe, lontano dal resto dell’occidente. Ma
questo non impedisce ai 4 milioni di italiani più ricchi, quelli con un
reddito sopra i 35 mila euro, di ritagliarsi una fetta di torta sempre
più grande: al 2003, sono arrivati sopra il 33 per cento. Nel 2007, alla
vigilia della crisi, sono saliti ancora, sopra il 34 per cento. In meno
di25 anni, la fetta del 10 per cento è cresciuta di quasi un terzo.
Ma ai 40 mila superstipendi, superpensioni, superparcelle, superrendite,
che costituiscono lo 0,1 per cento dei redditi trasparenti all’Irpef e
per i quali bisogna dichiarare dai 250 mila euro in su è andata anche
molto meglio. Nel 1983, questa categoria di maxiredditi assorbiva meno
dell’1,50 per cento del totale delle dichiarazioni. Nel 1993, già
sfiorava il 2 per cento. Ma il passo lo hanno allungato dopo, a ristagno
iniziato: nel 2007, la quota dei 40 mila straricchi era salita oltre il
3 per cento. In pratica, in 25 anni è raddoppiata. E la crisi? A queste
altitudini è un venticello, che non compromette la presa delle classi
più agiate sulla torta nazionale. Fra il 2007 e il 2009, la quota del 10
per cento più ricco scende dal 34,12 al 33,87 per cento.
La capacità dei più ricchi di intercettare quote crescenti di reddito è
il segnale più vistosodi una società ineguale, ma ne fornisce una
immagine parziale. Il 10 per cento più ricco diventa più ricco, ma che
succede nell’altro 90 per cento? Da questo punto di vista, la crisi
sembra aver segnato una netta cesura. Il processo di progressiva ascesa
dei ceti medi che, sgranandosi lungo la scala sociale, riduceva gli
indici di disuguaglianza si è bruscamente interrotto con il 2007.
L’indice nazionale, ora, è in risalita, ma la mappa che Acciari e
Mocetti hanno disegnato, secondo gli indici statistici di
disuguaglianza, provincia per provincia, consente di vedere che
l’impatto è assai diverso nelle diverse zone del Paese, fino a suggerire
una geografia anche politicoelettorale. La disuguaglianza è nettamente
inferiore nel Centro-Nord. Ai minimi, anche se a livelli non
propriamente scandinavi, in realtà come Lodi, Biella, Vercelli ma, in
generale, in buona parte dell’Italia padana e delle regioni rosse del
centro.
La linea Roma-Pescara
Una situazione che muta di colpo sulla linea Roma-Pescara, sul confine di quella che eral’area di intervento della Cassa del Mezzogiorno, soprattutto se si tiene conto anche della disoccupazione. Qui, quasi tutta la Sicilia, la Calabria e, soprattutto, Campania, Molise, il grosso della Puglia, in buona sostanza, l’Italia meridionale, con l’eccezione della Basilicata, registra tassi di ineguaglianza paragonabili a quelli della Turchia. Nel Nord, il quarto più povero della popolazione dispone del 5,7 per cento del reddito complessivo. Nel Sud, questa quota crolla al 3,7 per cento. Una frattura geografica che si affianca e si somma a quella nazionale ricchi- poveri e che rende ancora più incerto il cammino di uscita dalla crisi.
Una situazione che muta di colpo sulla linea Roma-Pescara, sul confine di quella che eral’area di intervento della Cassa del Mezzogiorno, soprattutto se si tiene conto anche della disoccupazione. Qui, quasi tutta la Sicilia, la Calabria e, soprattutto, Campania, Molise, il grosso della Puglia, in buona sostanza, l’Italia meridionale, con l’eccezione della Basilicata, registra tassi di ineguaglianza paragonabili a quelli della Turchia. Nel Nord, il quarto più povero della popolazione dispone del 5,7 per cento del reddito complessivo. Nel Sud, questa quota crolla al 3,7 per cento. Una frattura geografica che si affianca e si somma a quella nazionale ricchi- poveri e che rende ancora più incerto il cammino di uscita dalla crisi.
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